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I maiali di Orwell e il mito dell’uguaglianza

I maiali di Orwell e il mito dell'uguaglianza

Il nuovo peccato originale che macchia il mondo, secondo alcuni, si chiama "discriminazione".

Il nuovo sacramento laico che intende lavare il mondo dal nuovo peccato originale si chiama cultura del politically correct; ossia una "normalizzazione" forzata della parola e, conseguentemente, del pensiero che la parola esprime.

La normalizzazione in atto nel nostro tempo ha - come tutte le normalizzazioni - un volto rieducativo ed uno poliziesco in quanto, più del loro aspetto, il senso delle "normalizzazioni" sta interamente nel diniego implicito o espresso di qualunque forma di dissenso rispetto ad un’idea ritenuta normale o giusta, comunque prevalente su tutte la altre e, quindi, non discutibile.

Prendiamo il caso del Regno Unito.

Gianfranco Amato, dalle colonne di ilsussidiario.net/News/, ci informa dei guai giudiziari subìti dall’onorevole "Philip Hollobone denunciato per aver criticato il burqa islamico durante un dibattito parlamentare sull’immigrazione tenutosi nella Westminster Hall lo scorso 2 febbraio". Nella circostanza, la libertà d’espressione dell’onorevole cozzava, a quanto sembra, contro il principio della non discriminazione razziale e per questo motivo è stato denunciato, agli organi giudiziari, dal Northamptonshire Racial Equality Council, un organismo pubblico la cui mission è combattere le discriminazioni sociali.

Lo stesso volto poliziesco si è rivolto verso Shawn Holes, un quarantasettenne americano che è stato arrestato dalla polizia a Glasgow, processato per direttissima e condannato a una multa di 1000 sterline, per asseriti commenti omofobici con l’aggravante del pregiudizio religioso nel contesto di una predica "di strada". Il poveretto, in realtà, spinto da alcuni presenti al suo discorso, aveva osato affermare che "l’omosessualità, secondo la visione cristiana, è un peccato mortale e che il peccatore, in caso di mancato pentimento, è destinato alla dannazione eterna".

La dannazione gli è stata comminata, invece, per una bestemmia simile, dai nuovi guardiani delle eresie post-moderne, nei termini di un patteggiamento di pena che gli ha evitato il carcere a prezzo di un’oblazione pecuniaria.

Se questo è il volto poliziesco e repressivo del fantasmatico politically correct alla Tony Blair, occorre fare attenzione anche al volto rieducativo dello stesso fantasma ideologico.

Sempre nello United Kingdom, ad esempio, il Ministero dell’istruzione ha emanato precise direttive per l’insegnamento scolastico dei c.d. "transsexual rights". "Dietro tutto ciò, ovviamente, - osserva ancora G. Amato - sta la potentissima lobby gay Stonewall".

Si tratta di linee guida, riassunte in una guida di 46 pagine, con le quali "il ministero spiega come evitare e punire qualunque tipo di linguaggio o comportamento che possa comunque qualificarsi come ’sexist, sexual or transphobic’. Si arriva persino ad incoraggiare gli istituti scolastici ad utilizzare tutta la vasta gamma di punizioni a loro disposizione contro i ragazzi che non si adeguino alla “guideline” ministeriale... Nei confronti dei genitori che si rifiutassero di accettare tali sanzioni, potrà essere emesso un provvedimento giudiziario («civil court order») che li costringa a partecipare ad un corso rieducativo per un periodo superiore a tre mesi."

Un vero e proprio indottrinamento di stampo sovietico.

Ma anche in casa nostra non si scherza quanto a pulsioni educativo-rieducative.

Nella regione Toscana - una regione tradizionalmente rossa, non a caso - vige la Legge regionale 15 novembre 2004, n. 63, dove all’art.2, terzo comma, si legge che "i transessuali e i ’trans gender’ sono destinatari di specifiche politiche regionali del lavoro, quali soggetti esposti al rischio di esclusione sociale di cui all’articolo 21, comma 2, lettera c), della l.r. 32/2002".

Lo stesso Amato riferisce, inoltre, dell’iniziativa regionale di "una card prepagata per transessuali e transgender"; 2.500 euro da spendere in due anni, messi a disposizione dei transessuali per attività formative liberamente scelte, in quanto "transessuali e transgender rischiano più di altri di perdere il lavoro o non trovare una nuova occupazione, soprattutto nella delicata fase di passaggio da un sesso all’altro."

L’elenco dei discriminati storici, attuali e potenziali si ingrossa di giorno in giorno, rivendicando speciali tutele, speciali agevolazioni, speciali privilegi e speciali riconoscimenti pubblici; tutte misure "sociali" finalizzate a parificare i discriminati ai non discriminati, i diseguali agli uguali, i lontani ai vicini, i diversi ai soliti, gli anormali ai normali, i bassi agli alti, i brutti ai belli e via discorrendo.

Ma, naturalmente, la discriminazione per eccellenza la subiscono - secondo alcuni/e - le donne.

Il tema è, ad esempio, la discriminazione delle donne nel mercato del lavoro.

La soluzione prospettata: l’ennesima agevolazione giuridico-burocratica che sta alle capacità femminili come una corsia preferenziale sta alla velocità degli autobus nel traffico cittadino.

La proposta trarrebbe origine da un libro pubblicato nel 2009 dagli economisti di sinistra (non a caso) A. Alesina e A. Ichino: "L’italia fatta in casa" edito da Mondadori ma, in realtà, la loro idea era in gestazione da tempo e la teorizzazione ufficiale - oggetto di ampie risonanze nel mondo politico e giornalistico - risale, da parte degli stessi autori, ad articoli di alcuni anni prima proposti dalle colonne del Sole24ore e, in quella stessa sede, poi, sviluppata ed ampliata da altri favorevoli interventi.

Di cosa si tratta?

E’ semplice e netto come un taglio chirurgico: "ridurre le tasse sul reddito da lavoro per le donne e aumentarle per gli uomini".

Ma non sarebbe una discriminazione a sua volta?

Sì, ma nella logica degli ingegneri sociali ci sono discriminazioni inammissibili (quelle a danno delle donne, degli omosessuali, degli immigrati, etc.) e discriminazioni ammissibilissime se non, addirittura, giuste; ovviamente, si tratta di quelle a svantaggio del mondo maschile.

Se qualcuno pensasse che aberrazioni simili restano solo sulla carta e sia aria fritta che resta appesa alle pagine di qualche pubblicazione editoriale deve prontamente ricredersi.

La proposta è stata fatta propria dal mondo politico (di sinistra, ma non solo) e su quelle basi sono stati presentati diversi disegni di legge - di iniziativa parlamentare, non governativa - attualmente all’esame delle Camere.

Tra questi, l’atto senato n. 2102, presentato il 13 aprile scorso dai Senatori Morando, Ichino ed altri del PD, già assegnato alla Commissione Finanze e Tesoro, e il disegno di legge n. 784, presentato il 13 giugno 2008 da parlamentari dello stesso PD e che, probabilmente, verrà riassorbito dall’atto più recente.

Si legge nella relazione introduttiva del disegno di legge n. 2102:

"... il presente disegno di legge propone, in via sperimentale, una semplice misura di incentivazione fiscale che mira direttamente a promuovere il lavoro delle donne, in funzione del raggiungimento dei traguardi fissati dalla citata strategia di Lisbona... La misura non può essere qualificata come discriminatoria in ragione del genere dei lavoratori, dal momento che essa è – tutt’al contrario – esplicitamente mirata a superare un assetto socioeconomico produttivo di effetti discriminatori a carico delle donne: essa può e deve dunque essere qualificata come «azione positiva» volta a raggiungere un obiettivo al cui perseguimento la Repubblica italiana è vincolata dall’Unione europea.

La norma punta esplicitamente a far sì che, a parità di reddito percepito, il prelievo IRPEF su quello della contribuente lavoratrice donna sia significativamente inferiore a quello esercitato sul reddito identico del lavoratore maschio".

Insomma, i maiali di Orwell provengono sempre da sinistra, fanno strada e mistificano le parole per farle digerire meglio agli animali della fattoria.

La questione - solo brevemente accennata - non ha mancato di suscitare reazioni di cui tratterò in un articolo specifico, anche per le notevoli implicazioni sotto il profilo, non solo dell’equità giuridica, ma anche degli equilibri socio-familiari, dei presupposti di valore e delle conseguenze anche sul piano individuale.

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