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I Traditori: tre domande a Giancarlo De Cataldo, ospite al Tàtà

I Traditori: dietro le quinte del Risorgimento: passioni, intrighi e squarci di presente.

Attorno ad un libro, alle volte, capita che si diffonda una sorta di chiarore fatto di impressioni, idee, immagini, rimandi a percezioni accumulate in anni di letture, ricordi sfocati, curiosità, attrazione o rinuncia. Attorno a “I traditori” di Giancarlo De Cataldo sembra esserci piuttosto un colore: il rosso dei capelli della donna preraffaellita che squarcia il nero dello sfondo, il rosso che si percepisce scorrere tra le righe delle pagine più appassionate del romanzo, il rosso delle camicie dei giovani garibaldini impegnati in battaglia.

A dispetto, ma forse anche più provocatorio appare, il titolo non introduce a nulla di ciò che il romanzo snocciola in oltre 500 pagine di serrato coinvolgimento emotivo. Il Risorgimento è la lente di ingrandimento che Giancarlo De Cataldo usa per meglio osservare i meccanismi del potere e le dinamiche che conducono, per mano, le passioni degli uomini ad interagire con la storia, come in un mosaico che alla fine lascia l’incanto del tutto e lo stupore per ogni singola parte. Il tutto calibrato tra una rigorosa divisione cronologica degli avvenimenti e l’uso degli artefici necessari per trasformare un romanzo di impostazione storica in una narrazione scorrevole.

Ospite al TaTà, per un reading abilmente curato dall’Associazione il Granaio, De Cataldo sommerge il pubblico con nomi, aneddoti, relazioni e connessioni storiche, illustrate con la disinvoltura di chi ha rimestato tra le fonti con metodo e tanta curiosità. Riporta all’attenzione le vicende “epiche” della storia patria che puntualmente tediano migliaia di studenti per qualche settimana all’anno e le fa vibrare per le strette analogie con il presente. In uno stile corrosivo e garbatamente polemico, l’autore sottolinea la carica emotiva e passionale dei protagonisti, appena più che adolescenti, rigorosamente divisi fra personaggi del romanzo e personaggi storici , mediamente transitati per la nostra memoria scolastica piuttosto come sterili icone di un’epoca fatta di ripetuti fallimenti, isolati atti eroici, flemmatica attitudine al cambiamento.

Punta i gomiti sulle ginocchia, come per avvicinarsi a ciascuno, e De Cataldo scandisce “Mazzini fu considerato dai suoi contemporanei il più pericoloso e ricercato sovversivo del mondo. Prima di ricomparire a Londra, Mazzini fu convocato da Cavour per concordare un piano al fine di spingere gli austriaci a dichiarare guerra al Piemonte. Invece Mazzini organizza una insurrezione altrove, ricercato, scappa in Inghilterra senza smettere di occuparsi delle sorti degli italiani”. Il romanzo traccia le basi di ciò che la storia più recente considera “la parte oscura” degli affari di Stato: intrecci fra criminalità e politica, logiche campanilistiche, contrapposizione fra nord e sud del Paese.

Cosa ha scoperto delle dinamiche che portano alcuni personaggi del Risorgimento ad essere famosi e ricordati ed altri meno o completamente dimenticati?

Alcuni personaggi storici ebbero la capacità di entrare in risonanza emotiva con le masse. Su ben altro livello i cosiddetti “eroi”. I fratelli Bandiera sono diventati leggenda. I martiri di Gerace, tre anni dopo, non li ricorda nessuno. E’ la capacità di trascinare e coinvolgere che fa la differenza.

Quindi c’è un chiaro riferimento alla “fortuna” nelle vicende storiche?

Assolutamente. La fortuna nella storia è fondamentale. Garibaldi fu un generale fortunatissimo, scampò attentati e non lo beccarono mai. Per Pisacane le cose andarono diversamente.

Nella ricostruzione storica si può essere scevri da ideologie? Soprattutto quando le vicende storiche rimandano a questioni sempre attuali?

Il racconto segue una logica fatta di caratteri spiccati, scontri, passione e in ogni personaggio lo scrittore mette comunque anche parte di sé. Certamente poi non si possono ignorare le analogie, come tra i giovani patrioti risorgimentali e i nostri giovani italiani, buoni solo a consumare beni e televisione e per i quali si attua, per lo più, un voluto genocidio culturale. Comunque non è sempre necessario che l’impegno si traduca in rivolta. Basterebbe saper dare un senso alle “sparse membra” dell’Italia. E comunque io diffido sempre di chi dice che non ci sono ideologie nelle parole.

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