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Hotspots in Sicilia: un fallimento Europeo. La denuncia del rapporto LasciateCIEntrare

Dal documento dell'Unione Europea che sancisce la costituzione dei centri Hotspots per la primissima accoglienza dei migranti all'ultimo rapporto dei membri di LasciateCIEntrare che denuncia violazioni dei diritti nei centri Hotspots siciliani e il fallimento delle politiche di ricollocazione auspicate dall'UE.

Ultima novità delle politiche migratorie dell’Unione Europea, i centri definiti “Hotspots” hanno generato sino ad ora più polemiche che risultati concreti. Dopo le denunce sulle gravi violazioni dei diritti umani riguardo i primi Hotspots realizzarti a Lampedusa e Pozzallo, anche il rapporto annuale elaborato dai membri della campagna LasciateCIEntrare presentato il 25 febbraio scorso, boccia la logica insita in questi nuovi mega centri di primissima accoglienza per migranti.

Per capire le critiche di associazioni e società civile, dobbiamo prima fare un passo indietro e descrivere cosa sono esattamente gli Hotspots e da cosa differiscono dagli altri centri ministeriali sorti sul territorio italiano in generale e siciliano in particolare negli ultimi decenni.

In un documento intitolato: “il metodo basato sui Hotspots per la gestione dei flussi migratori eccezionali”, l’apposita commissione europea spiega di aver presentato nell’agenda europea di Maggio 2015 una proposta “per sviluppare un nuovo metodo basato sui Hotspots per dare sostegno agli Stati Membri in prima linea nell’affrontare le fortissime pressioni migratorie alle frontiere esterne dell’UE”. Il 15 luglio 2015 il Commissario Avramopoulos ha inviato agli Stati membri una tabella di marcia per l’attuazione del sistema basato sui Hotspots per l’Italia e la Grecia.

La prima differenza che spicca rispetto agli altri centri ministeriali, è il coinvolgimento diretto degli operatori di diverse agenzie comunitarie come l’EASO (Ufficio Europeo di sostegno per l’Asilo); Frontex (l’agenzia dell’Ue per la gestione delle frontiere), Europol (l’agenzia di cooperazione di polizia dell’UE); Eurojust (agenzia per la cooperazione giudiziaria dell’UE). Gli operatori di queste agenzie sono inviati in supporto degli agenti dei singoli Stati per le operazioni di identificazione, registrazione e rilevamento delle impronte digitali dei migranti appena sbarcati sul territorio comunitario. Successivamente gli agenti UE sono impegnati nelle operazioni di verifica (o debriefing) dei richiedenti asilo e di conseguenza, nelle eventuali successive operazioni di rimpatrio. Delle richieste d’asilo si occuperanno ovviamente i membri dell’EASO, mentre Frontex “aiuterà gli Stati membri coordinando il rimpatrio dei migranti irregolari che non necessitano di protezione internazionale. Europol e Eurojust assisteranno lo Stato membro ospitante nelle indagini per smantellare le reti della tratta e del traffico di migranti”. L’agenzia per il controllo delle frontiere si è impegnata ad offrire altri 12 operatori per il rilevamento delle impronte digitali che vanno a sommarsi ai 33 già attivi sul territorio italiano (11 esperti di screening e 22 di debriefing). L’EASO dispone di 45 esperti pronti a raggiungere l’Italia.

In Italia, dall’aprile dello scorso anno il quartier generale di Frontex si trova in Sicilia, a Catania e coordina le operazioni in quattro porti (Pozzallo, Porto Empedocle, Trapani e Lampedusa) che sono stati identificati come Hotspots nella prima bozza della Commissione Europea. Queste le motivazioni ufficiali per l’individuazione dei centri: “vi sono strutture di prima accoglienza che possono ospitare complessivamente circa 1,500 persone ai fini dell’identificazione, della registrazione e del rilevamento delle impronte digitali”. Ancora in forse però la trasformazione del centro di Augusta in Hotspots originariamente prevista già per la fine del 2015, con il possibile ripiego sulla città di Messina, secondo quanto rilevato dal quotidiano Repubblica.

Relocation è la parola d’ordine che anima il progetto Hotspots. In seguito alle procedure di identificazione, nelle intenzione della commissione europea c’è l’attuazione di “meccanismi temporanei di ricollocazione proposti dalla Commissione europea il 27 maggio e il 9 settembre: le persone che hanno evidente bisogno di protezione internazionale saranno individuate negli Stati membri in prima linea e trasferite verso altri Stati membri dell’UE nei quali sarà trattata la loro domanda d’asilo”. Dopo l’attivazione del primo centro Hotspots a Lampedusa, però, le perplessità sollevate dal progetto esplodono con l’evidenza dello scandalo. A fallire è sin dal principio la politica di ricollocazione dei richiedenti asilo dai paesi di frontiera (Italia e Grecia) ad altri Stati Membri. “Prima ancora che vi fosse certezza sulla reale disponibilità dei paesi dell’Unione Europea ad accettare le persone che dovevano essere ricollocate (in misura assai mutevole, ad ogni riunione del Consiglio Europeo) – spiega il giurista Vassallo Paleologo in un paragrafo del rapporto LasciateCIEntrare dedicato agli Hotspots in Sicilia - fino ad un tetto massimo di 40.000 persone in due anni per l’Italia, poi ampliato ma senza alcun avvio di queste operazioni, l’Italia presentava al Consiglio una Road Map centrata proprio sull’apertura degli Hotspot in vista della possibilità successiva di una ricollocazione dei migranti verso altri stati dell’Unione Europea che avessero consentito, su base volontaria, ad accogliere tali persone. In una audizione del Capo Dipartimento del Ministero dell’interno dott. Morcone, davanti alla Commissione di indagine sui centri per stranieri, il 3 dicembre scorso, veniva documentato il mancato avvio dei ritrasferimenti verso altri paesi europei, ma si insisteva sulla necessità di attivare al più presto gli Hotspots, anche per evitare l’avvio della procedura di infrazione contro l’Italia davanti alla Corte di Giustizia di Lussemburgo. La relocation dai centri siciliani è fallita completamente e negli ultimi mesi dello scorso anno non si riuscivano a ritrasferire verso altri paesi europei più di 200 richiedenti asilo, a fronte di diverse migliaia di persone sbarcate, appartenenti alla categoria di richiedenti asilo in clear need of protection, una categoria, tra l’altro, priva di fondamento legale, e discriminatoria, perché includeva solo siriani, eritrei ed irakeni, ma non, ad esempio, afghani, somali o maliani”.

Detenzione amministrativa. Oltre il fallimento delle politiche di ricollocamento europee, la cronaca dei centri, iper militarizzati, racconta quotidianamente di abusi e violazioni dei diritti. Uno dei problemi è legato al prelievo delle impronte digitali, prese con la forza o attraverso il ricatto di una detenzione prolungata nel centro, secondo le testimonianze dirette degli stessi migranti. “Il prelievo delle impronte digitali, ai fini del fotosegnalamento per il sistema EURODAC, non può essere estorto con il ricorso all’uso della forza – denuncia Vassallo Paleologo - come prevedeva la circolare del ministero dell’interno del 26 settembre 2014, e come vorrebbe imporre adesso FRONTEX, e neppure con il prolungamento del trattenimento amministrativo, come avviene periodicamente a Lampedusa o a Pozzallo. Si tratta di una prassi di polizia del tutto priva di basi legali, tanto che, a livello europeo, si discute da mesi su quale possa essere la base legale per l’uso della detenzione amministrativa al fine di prelevare le impronte digitali.”. Per quanto riguarda le identificazioni forzate spicca su tutti il centro di Pozzallo. Al contrario di quelli di Lampedusa e Trapani, il centro in provincia di Ragusa non è stato ancora ufficialmente convertito in Hotspots e il rapporto LasciateCIEntrare denuncia casi di identificazioni forzate e trattenimenti prolungati oltre le 48 ore in una situazione di promiscuità che coinvolge minori, donne e uomini privi di assistenza legale, come denunciato anche da Medici Senza Frontiere.

Respingimenti differiti. Oltre a subire la pratica del trattenimento prolungato, spesso le persone che rifiutano la prassi del prelievo delle impronte digitali ricevono un provvedimento di respingimento differito, questa prassi viene inflitta indiscriminatamente a tutti coloro che vengono schedati come “migranti economici” o i cui paesi siano inseriti nella dubbia classificazione dei “paesi terzi sicuri”. “Su questo punto una recente circolare del Ministero dell’interno dell’8 gennaio 2016 – continua Paleologo - recepisce gli orientamenti critici delle associazioni e delle organizzazioni internazionali, ma se questa circolare viene applicata a Trapani, sembra rimanere lettera morta ad Agrigento ed a Pozzallo. E sono centinaia i migranti che vengono abbandonati per strada”. Vera e propria fabbrica di clandestinità, la pratica dei respingimenti differiti abbandona senza alcun tipo di assistenza legale persone che si ritrovano con l’intimazione di lasciare entro 7 giorni l’Italia, senza, ovviamente, i mezzi per farlo. Nel rapporto LasciateCIEntrare viene denunciata anche la prassi delle identificazioni sommarie effettuate con il ricorso alle autorità consolari dei paesi di origine.

(Foto: Noborder Network/Flickr)

 
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