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Guardar l’Isis per non guardar la luna

Aliens

(di Salam al Kawakibi, per al Nahar. Traduzione dall’arabo di Khouzama Reda).

All’ultima conferenza cui ho partecipato, tutti blateravano dello “Stato islamico” come chi, chiamando la persona amata, ripete incessantemente il suo nome, in questo caso l’acronimo “Isis”. L’Isis compare decine e decine di volte in ogni intervento che abbia come oggetto la situazione in Medioriente – qualsiasi esso sia – e sembra sia diventato opportuno aggiungere qua e là qualche riferimento a esso.

Oltre a questa ridondante prassi verbale, sembra ci sia un profondo sbigottimento cognitivo. Chiunque si avvicini all’argomento, aggiunge in maniera “scientifica” – dunque senza lasciar spazio ad alcun dubbio – che “sappiamo poco su questa nuova organizzazione sul fronte terroristico”. In questo modo, si dà l’impressione di oggettività lasciando la porta aperta a molteplici interpretazioni, per poi spostarsi – en passant – nel vivo del proprio argomento d’interesse, anche se quest’ultimo è ben lontano dal riguardare l’Isis in sé.

Dentro e fuori dalle sale ove avvengono queste discussioni pseudo-scientifiche piovono analisi su questo nuovo “extraterrestre”. Abbondano specialisti ed esperti di Islam e di cellule jihadiste di tutti i tipi. Costoro non temono di cadere in alcun errore storico, d’analisi, o persino linguistico, in quanto confidano nell’ignoranza – in questo come in altri casi – di quanti ricevono le informazioni.

E nonostante non si possa non riconoscere l’importanza di questo fenomeno e la gravità delle sue conseguenze, qualora si desiderasse uscire dal seminato, magari suggerendo un altro argomento che riguardi la Siria che umilmente si considera altrettanto importante, la propria argomentazione viene considerata debole, di scarsa eco, di poco impatto, carente di informazioni, in fuga dalla realtà, nonché preda della superficialità eccetera. Ergo, non si può parlare di comunità locali, né di organizzazioni civili, di attività umanitarie, di dialoghi politici, oppure di programmi di transizione, poiché è considerata una perdita di tempo.

E allora perché tanti traggono vantaggio dal trascinare il discorso esclusivamente sull’Isis?

Quando il movimento di protesta è cominciato in Siria nel 2011 e per un bel po’ di tempo si è sviluppato in modo pacifico, i media del regime hanno intrapreso – assieme ai loro alleati in Iran, Russia, Cina e ai media di quella che nel caso siriano viene chiamata “la sinistra Pavloviana” ma che è un fenomeno mondiale – una campagna volta a esagerare la minaccia terroristica di “jihadisiti” e “fondamentalisti islamici”. Non era accettabile per alcune autorità della carta stampata e dei media occidentali, come Robert Fisk ad esempio, parlare di proteste popolari, di rivendicazioni sociali, economiche e politiche legittime da parte di un popolo che ha vissuto per oltre quarant’anni sotto un regime dittatoriale con le sue leggi ingiuste.

Quando, a causa della sanguinosa repressione contro civili disarmati, una parte dei manifestanti ha imbracciato le armi, cosa che è avvenuta in concomitanza con numerose defezioni di soldati dell’esercito, le trombe politiche e mediatiche pro-regime se ne sono servite per rivendicare la validità della loro tesi iniziale. L’evolversi dell’azione militare e l’intervento di forze regionali, ciascuna con una propria agenda diversa e in contraddizione con l’altra, insieme con le dimissioni della cosiddetta comunità internazionale dal proprio ruolo – per lo meno umanitario – congiunti all’ipocrisia diplomatica occidentale in generale, e statunitense in particolare, hanno portato poi alla diffusione del fenomeno religioso che è sfociato nell’estremismo.

Questo fondamentalismo religioso è stato accompagnato da vari fattori interconnessi che hanno fatto pensare a un “matrimonio di convenienza” tra il regime e le forze estremiste – prima e dopo che diventassero ciò che sono diventate. Oggi è diventato “legittimo” dire che il regime sta affrontando terroristi di varie nazionalità, in seguito al silenzio generale di fronte ai soprusi di questo stesso regime nei confronti di tutto il popolo. Così l’attenzione si è completamente riversata su questa nuova “creatura” pericolosa per tutti e al contempo si è imposta la frase che esonera tutti da una doverosa empatia: “Non ve l’avevamo detto?”.

L’opposizione d’altra parte, nelle sue varie forme, componenti, differenze e appartenenze ideologiche, ha trovato nel pericolo dello “Stato islamico” il pretesto per le responsabilità mancate, per i conflitti crescenti, per la dispersione e per le contraddizioni, sia sul fronte nazionale che su quello internazionale. Essa, a torto o a ragione, pone la minaccia dello “Stato islamico” come premessa alle sue argomentazioni e alla denuncia persistente di emarginazione o di assenza di aiuti.

L’opposizione dimentica che alcuni dei suoi simboli “laici” hanno in precedenza lodato dei focolai “estremisti” che sono stati i nuclei iniziali nella formazione di questa organizzazione fascio-terrorista. Dimentica anche che alcuni dei suoi leader religiosi “moderati” hanno criticato la decisione di inserire la Jabhat al Nusra tra i movimenti terroristici, per conservare quella che hanno allora chiamato “l’unità”. In aggiunta a questo, una parte significativa dell’opposizione dovrebbe assumersi una responsabilità politica, dal momento che non è stata in grado di svolgere quel ruolo che ci si aspettava: indirizzando la mobilitazione politica e militare e offrendo un programma nazionale chiaro da seguire. Per non parlare poi delle “star” tra le file dell’opposizione, il cui ego ha ucciso qualunque possibilità di lavoro di squadra oltre alla coerenza e alla chiarezza delle loro posizioni.

L’Isis ha fatto la sua comparsa anche per salvare l’impotenza occidentale incoronata dagli Stati Uniti, che sin dall’inizio del massacro siriano non hanno saputo svolgere un ruolo politico chiaro e risoluto. E adesso tutto si limita ad affrontare un terrorismo islamico radicale.

A tutto questo, per rendere il piatto “più gustoso”, va aggiunta anche un po’ di preoccupazione per il destino delle minoranze, in un revival della teoria coloniale orientalista. Si tralascia di comprendere, così, l’evoluzione dei concetti di maggioranza e minoranza, nella loro dimensione politica, economica, culturale e religiosa sotto governi autoritari, dal momento che questi governi hanno rapito le minoranze convincendo parte di esse di esserne gli unici protettori e hanno oscurato la cultura della cittadinanza nella teoria e nella pratica e diffuso una cultura di subordinazione e obbedienza.

Tale atteggiamento è stato accompagnato dall’idea occidentale un po’ “naive” che queste dittature fossero laiche e moderne. Certo, pur con la timida ammissione di una tendenza autoritaria, tendenza tuttavia “necessaria” in una regione problematica e instabile. Tutto ciò, nonostante tanti studiosi occidentali abbiano ampiamente dimostrato come la libera vita intellettuale sia stata depauperata e siano state incoraggiate pratiche religiose oscurantiste purché restassero confinate agli atti di devozione e rimanessero ben lontane dall’attività politica. Dunque, la possibilità di allearsi con Satana per scacciare questo pericolo imminente diventa un “punto di vista” che può essere studiato e analizzato. Nella storia recente non mancano esempi numerosi di alleanze simili tra Paesi democratici del “mondo libero” e regimi tirannici che – forse vincenti nel breve periodo – hanno portato a disastrose conseguenze nel lungo termine.

I media occidentali dal canto loro hanno iniziato a cercare “jihadisti” mesi prima della loro comparsa in Siria, trovando così un argomento che “vende” e attira lettori e spettatori. E oggi sono all’apice di quest’attività. Tanti reporter di varie nazionalità, da ultimo James Foley, hanno cercato di trasmettere tutta la complessità della situazione nella sua realtà variegata, soffrendo le limitazioni e le persecuzioni del regime da un lato, e rischiando il rapimento e le azioni criminali dei terroristi dall’altro. Tuttavia, nel giro dei media vengono il più delle volte ignorati, e si preferiscono invece notizie piene di cadaveri e teste tagliate. A chi interessa la vita di milioni di rifugiati, l’attività delle centinaia di consigli locali, delle migliaia di associazioni civili e il lavoro dei media locali, nonché l’attività medica e scolastica nelle varie zone? Pochissimo di tutto questo trapela a beneficio dello spettatore occidentale.

La priorità è dunque la strana creatura chiamata Isis e le organizzazioni terroristiche hanno capito la logica dei media occidentali e hanno sviluppato delle strategie per appagarli.

Volente o nolente, lo “Stato islamico” è alla fin fine il partner di più di uno schieramento. Il maggior beneficiario della presenza di questo mostro rampante è chi è interessato al perdurare del massacro siriano. Chi crede di poter affrontare questa crisi complessa semplicemente trovando soluzioni parziali, temporanee o selettive, si sbaglia di grosso ed è responsabile delle morti passate e di quelle a venire.

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di Persio Flacco (---.---.---.217) 27 ottobre 2014 00:49

    Il tentativo di rendere lineare il corso degli eventi che ha condotto la Siria ad un passo dal baratro è ammirevole per l’impegno che viene profuso. Lo schema che si vuole affermare è semplice: masse di cittadini costretti da decenni a vivere sotto un regime oppressivo manifestano pacificamente la loro aspirazione alla democrazia e il regime reprime nel sangue la loro ansia di libertà.

    Semplice, soprattutto ben comprensibile all’opinione pubblica occidentale, ma falso.

    La destabilizzazione della Siria è in un programma voluto da G.W. Bush (per meglio dire: voluto dai suoi consiglieri neocon) diventato esecutivo nel 2005, che prevede la costituzione di gruppi di oppositori al regime siriano, il loro addestramento, la fornitura di armi.
    Immediatamente dopo la prima repressione sanguinosa (qualcuno ha sparato sia alle forze dell’ordine sia ai manifestanti) si è costituito sotto la guida USA un gruppo di 89 paesi: gli Amici della Siria, che ha decretato l’illegittimità del regime e la legittimità degli insorti a rappresentare il popolo siriano.
    E’ stato istituito il solito Osservatorio per i Diritti Umani a Londra (una sorta di ufficio stampa destinato ad alimentare con le sue veline il circo mediatico occidentale) e il solito governo in esilio, questa volta in Turchia, composto da personaggi la cui caratteristica saliente è il gradimento del dipartimento di stato americano.

    Mi fermo qui, perché già questo è sufficiente a rompere il giocattolo mediatico di chi vorrebbe presentare il sanguinoso conflitto dal quale è sorto l’ISIS come una contrapposizione tra l’ansia di democrazia e di libertà dei siriani e la ferocia del regime che la nega.

    Non è così semplice. La partita vera è tra chi, non essendo siriano, vorrebbe dissolvere la Siria e chi vorrebbe invece conservarne l’integrità.

  • Di (---.---.---.71) 27 ottobre 2014 10:39

    A. Savioli - 1) Persio Flacco scrive: " La partita vera è tra chi, non essendo siriano, vorrebbe dissolvere la Siria e chi vorrebbe invece conservarne l’integrità". Però nello stesso tempo da "non siriano" definisce false le argomentazioni di un siriano (Salam Kawakibi è un ricercatore siriano. Dal 2006 dirige l’istituto di ricerca Arab Reform Initiative. Dal 2009 è ricercatore della facoltà di scienze sociali e politiche dell’università di Amsterdam).

     

    Chi come lui sostiene la tesi del complotto destabilizzatore, parla di disegno globale e di primavere arabe tout court, di Siria, Libia e anche Ukraina, ma omettono sempre di parlare di Tunisia, dove tutto è cominciato con un "dittatore" rimosso immediatamente senza portare il paese nel baratro siriano con uno scontro fratricida e dove alle recenti elezioni ha vinto un partito laico. Dimenticano anche di dire che in Egitto c’è stata una restaurazione dell’esercito, lì si che ha fatto da garante prima e dopo, non schierandosi con Mubarak prima né col vincitore estremista poi. E non parlano nemmeno dello scoppio di manifestazioni di piazza e pacifiche in paesi alleati dei cattivoni americani, come la Giordania.

     

    Il tentativo di rendere lineare il corso degli eventi, in realtà viene fatto da chi sposa la tesi complottista, negando le manifestazioni di piazza pacifiche immortalate in centinaia di video (le ho postate centinaia di volte a quelli come lei PF, ma non servono a nulla, siete arroccati nelle vostre costruzioni ideologiche), tacendo di arresti e torture, tacendo dell’opposizione politica interna ospitata da San Egidio, che non chiedeva la caduta del regime, ma costretta all’esilio o alla prigione. (continua)

  • Di (---.---.---.71) 27 ottobre 2014 10:39

    A. Savioli – 2) Questi personaggi da subito han parlato di complotto, han chiamato terrorista Yara Badr arrestata mentre vestita da sposa chiedeva la fine delle ostilità su tutti i fronti e del marito arrestato perché da giornalista denunciava le violazioni del regime. Han chiamato terroristi i membri dell’Esl (fine 2011) soldati allora laici che avevano defezionato dall’esercito regolare, han parlato di imperialismo americano ma non di quello russo e iraniano, han accusato poi (giustamente) i paesi del Golfo di sostenere e armare il jihadismo sunnita, omettendo il jihadismo sciita di Hezbollah, delle milizie irachene, iraniane e dei paramilitari russi (http://www.sirialibano.com/short-news/mercenari-stranieri-e-guerra-imperialista-per-la-siria.html).

     

    In Francia queste tesi non vengono minimamente sostenute da chi fa un serio lavoro di analisi o si occupa di geopolitica, ma vengono pubblicate da Reseu Voltaire, una rivista con idee di estrema destra.

    E infatti la stessa delegittimazione del SOHR, “gestito da una sola persona con sede a Londra”, è tipica degli ambienti antimperialisti e di Reseu Voltaire.

    A parte che il SOHR basa le sue fonti su una rete di persone in Siria, ma il SOHR ha denunciato sia le violazioni del regime che quelle dei ribelli o dei jihadisti, fu il SOHR per primo a denunciare il ribelle siriano con il cuore del nemico in mano.

     

    Ma la delegittimazione del SOHR serve solo a chi, in modo miope, lo considera l’unica fonte occidentale di notizie sulla Siria. Chi si occupa seriamente di questo paese, attinge a innumerevoli fonti, anche locali, spesso in lingua araba o direttamente sul posto (come feci io stesso relativamente all’articolo sulle crocifissioni a Meskene: http://www.sirialibano.com/short-news/quando-morire-i-cristiani.html).

    Chi scrive seriamente di Siria, utilizza il SOHR come una qualsiasi delle diverse fonti, non come La Fonte.

  • Di (---.---.---.71) 27 ottobre 2014 10:43

    PS: errata corrige: "Yara Badr, giornalista è stata arrestata con il marito. Rima Dali è stata arrestata mentre manifestava vestita da sposa".

    Utile lettura per chi non si chiama Persio Flacco: Siria, perché la non violenza sembra aver fallito. http://www.sirialibano.com/siria-2/...

  • Di (---.---.---.71) 27 ottobre 2014 10:53

    A. Savioli - 3) Chiedo venia per gli innumerevoli commenti e concludo. Quella società civile (ora più silenziosa certamente) che protestava pacificamente nel 2011 (non vista o negata da Persio Flacco) esiste ancora.

    Denuncia a rischio del carcere o della vita le violazioni del regime e dei ribelli (a seconda di dove vive), sviluppa progetti locali di solidarietà tra comunità, sostiene progetti legati all’informazione, all’istruzione o agli aiuti materiali.

    Continuiamo a ignorarla come abbiamo fatto nel 2011, ma nel 2015 o 2016 non lamentiamoci per la nascita del nuovo mostro peggiore della Nusra prima, e dell’Isis poi. Certo per PF sarà la prova provata che Lui aveva ragione "i dittatori sono gli unici garanti della stabilità e dell’ordine mondiale", peccato che lui viva nella democratica Italia e a morire o a finire torturati ci finiscano altri...
  • Di Persio Flacco (---.---.---.217) 27 ottobre 2014 19:11

    Premetto che ammiro e ringrazio, non retoricamente, SiriaLibano per le informazioni dettagliate che fornisce ai suoi lettori; informazioni che considero attendibili e veritiere.

    Molto sinteticamente: il punto centrale delle mie osservazioni critiche non è che SiriaLibano diffonde informazioni false, è che non fornisce TUTTE le informazioni che concorrono a formare il quadro della situazione. In questo senso ho definito falso il quadro proposto dall’articolo. Lo è perché omette alcuni dei fatti più rilevanti tra quelli che concorrono a determinare la tragedia siriana: le ingerenze straniere. Non solo degli USA ovviamente. 

    Come abbiamo visto in questo ultimo periodo la Turchia ha svolto il ruolo di levatrice e di balia nei confronti dell’ISIS, così come Arabia Saudita, Qatar e altri hanno contribuito ad allevare il mostro, semplicemente agendo sulla base del principio che chiunque combatta contro Assad ha diritto a transito libero, armi e pagnotta. E, palesemente, non per il nobile intento di offrire democrazia e libertà ai siriani ma per certe loro peculiari esigenze che prescindono di netto dall’interesse dei siriani.

    Non occorre essere un genio superinformato né per notare queste omissioni né per affermare con sicurezza che qualunque ricostruzione della crisi siriana ne sia affetta risulta fondamentalmente falsa.

    Quanto agli americani: non penso assolutamente che siano dei "cattivoni", lo sono eventualmente i decisori che elaborano la politica estera degli Stati Uniti quando decidono cambi di regime che costano centinaia di migliaia di vittime e distruzioni senza fine. Va riconosciuto anzi che i cittadini americani con l’elezione di Barack Obama hanno tentato di imprimere uno "stile" differente alla politica estera del loro Paese. Basti considerare con obiettività il programma politico del primo Obama per averne conferma. Ma è durato poco.

    Saluti.

  • Di (---.---.---.71) 27 ottobre 2014 20:30

    PF, penso che il problema nel considerare i fatti sia legato alla diversa prospettiva tra me e lei. Io non nego l’ingerenza (anche) dei paesi del Golfo, della Turchia e degli americani, ma questa è avvenuta a rivoluzione scoppiata, non ha fatto scoppiare la rivoluzione come invece lei pensa.

    Tutto qui.
    Condivido con lei invece tutto quello che dice e scrive su questi paesi che hanno "svolto il ruolo di levatrice e di balia nei confronti dell’ISIS".
    Ammetto anche che SiriaLibano è sbilanciata verso la prospettiva degli attivisti e della società non violenta, ma è inevitabile per noi, nessuno ne parla. Molti giornalisti con il pass concesso da Damasco fanno le veline del regime, questi sono i giornalisti non parziali e attendibili?
    Per quanto mi riguarda ho scritto ben 5 articoli contro l’Isis, denunciando anche i suoi finanziatori quindi questa omissione io non la vedo.
    Ma per farle un esempio, in questi periodo di bombardamenti americani contro l’Isis, che assedia i curdi dell’Ypg a Kobane, tutti stanno scrivendo dei poveri curdi assediati.
    Naturalmente lo penso anche io, ma se dovessi scrivere un articolo sulla popolazione assediata, in questo momento non scriverei l’ennesimo pezzo (il 102° ?) sui poveri curdi di Kobane, e nemmeno sui poveri Yezidi dello Sinjar (ho visto con i miei occhi la loro fuga in Iraq!). Ma forse ne scriverei uno sugli 80-100 morti giornalieri fatti dall’aviazione siriana (l’80% di questi sono sempre civili).
    Questo non perchè voglio omettere le sofferenze curde o yezide, oppure per essere indulgente verso l’Is, e nemmeno perchè la "mia fissa" è quella di accusare Assad; lo farei perchè di quest’ultimo fatto nessuno più parla, e non parlarne è fare informazione parziale.
    Certo lo sarei anche io, ma mi creda, non sarebbe un calcolo voluto o malafede.
    Comunque potrei ribaltare il discorso, tutti parlano dei jihadisti sunniti, lei ha mai letto degli sciiti afghani che stanno combattendo per Assad ad Hama? Non penso... e omettere queste notizie non è fare informazione parziale?
    A. Savioli

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