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Grecia, senza via d’uscita

La Grecia ha deciso di avvalersi della possibilità di cumulare in unica soluzione al 30 giugno il pagamento di una serie di rate dei prestiti ottenuti dal Fondo Monetario Internazionale. La decisione è giunta all’ultimo minuto, dopo che una rivolta della base sinistra di Syriza ha stoppato il premier Alexis Tsipras, che apparentemente stava per avviarsi alla stretta finale di una soluzione di compromesso con la Ue. Pare che il documento governativo greco contenesse un percorso di ricostituzione dell’avanzo primario che, con l’eccezione del blando (ma nel frattempo divenuto impegnativo) obiettivo di avanzo primario allo 0,6% di Pil per il 2015, saliva rapidamente e ripidamente al target di mantenimento del 3,5% già dal 2018. A parte ciò, ed a parte le proposte di “ristrutturazione” del debito greco, che di fatto sono solo ottimizzazione delle strutture di costo sui differenti creditori, la situazione resta molto difficile ed il rischio di esito traumatico cresce col passare dei giorni.

Esaminando alcune delle proposte greche, si nota come i punti del contendere siano essenzialmente due: il “riordino” Iva e quello del sistema pensionistico. Sul primo punto, Atene chiedeva di ridurre le due aliquote agevolate, dal 6,5 al 6% e dal 13 all’11%, mantenendo invariata al 23% quella ordinaria. Dal posizionamento dei beni tra aliquote emerge forse il tentativo di aumentare il gettito, visto che alla prima aliquota erano assegnati unicamente farmaci, libri e biglietti teatrali, e non gli alimentari. Riguardo alle pensioni, Atene offriva l’innalzamento dell’età pensionabile per anzianità a 62 anni, ma con eccezioni tali da vanificare il tutto. Ad esempio, la specifica che “i diritti pensionistici acquisiti” non sarebbero stati toccati, che le categorie “protette” di baby pensionabili (ad esempio madri con figli minori o disabili) sarebbero rimaste tali, che il percorso di innalzamento dell’età pensionabile sarebbe decorso dal primo gennaio 2016 al 2025 ma di fatto frenato nella progressione sino al 2022. Su tutto, si manteneva la possibilità di ritiro anticipato con decurtazione massima del 16% dell’assegno pensionistico.

Malgrado questo evidente trascinamento di piedi da parte di Atene, le pensioni greche sono già state letteralmente massacrate durante questi anni. Dal 2010 ad oggi, l’assegno pensionistico medio è stato tagliato del 44-48%, a 700 euro mensili. Circa il 45% dei pensionati greci ricevono una pensione mensile inferiore a 665 euro, la soglia di povertà del paese. I creditori chiedono che il sistema sia messo in equilibrio e mantenuto tale sino all’orizzonte di previsione del 2060. Il dramma risiede nel fatto che i fondi pensione greci hanno perso, con il default del 2012, ben 25 miliardi di euro di riserve, che non sono state ricostituite. In un infernale circolo vizioso, inoltre, la contribuzione pensionistica è crollata in conseguenza dell’esplosione della disoccupazione e dei pensionamenti anticipati del settore pubblico, mentre le aliquote contributive sono talmente elevate da rappresentare un potente incentivo all’economia sommersa. Il combinato disposto di queste situazioni mantiene il sistema in fortissimo sbilancio, corrente ed attuariale, malgrado i pesantissimi tagli agli assegni pensionistici. Un crack di portata e proporzioni assimilabili ad un evento bellico.

Come uscirne? In nessun modo, la risposta brutale di sintesi. Esiste comunque una fase di transizione, durante la quale il paese, che non esporta praticamente alcunché, si troverebbe privo di accesso ai mercati dei capitali (post default e post eventuale Grexit), ed avrebbe quindi una esplosione di deficit e debito. Potrebbe ricorrere alla monetizzazione ma sarebbe il caos, soprattutto se tentasse di emettere dei pagherò restando nell’euro. Ancora peggio se decidesse di stampare direttamente una propria valuta. Anche ipotizzando che il paese superi la transizione senza finire spappolato (perché il peggio non si è ancora visto, malgrado quello che credono in moltissimi, dentro e fuori la Grecia), resta il suo pressoché nullo potenziale di export (e questo era alla base della prognosi sfavorevole, come vi abbiamo già segnalato), che ne fa un’eccezione eclatante, non solo in Eurozona. Per contro, Atene non può puntare ad un accordo con i creditori su base incondizionata, cioè basato solo sulla ricezione di sussidi più o meno indiretti, che peraltro finirebbero col gonfiarne il debito a livelli grotteschi ed insostenibili sul piano razionale ed economico.

Quindi, comunque vada, la Grecia dovrà ristrutturare la propria economia, e questo avverrà nel modo più traumatico e doloroso possibile. Si può discutere delle responsabilità, remote e prossime, interne ed esterne al paese. Ma la realtà non cambia. Il dramma nel dramma è che i greci forse non hanno compreso appieno quello che li attende.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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