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 Home page > Attualità > Cultura > Giancarlo Siani: passione e morte Intervista con Bruno De Stefano

Giancarlo Siani: passione e morte
Intervista con Bruno De Stefano

Nel panorama giornalistico italiano Bruno De Stefano rappresenta il cronista, lo scrittore di razza, quello che non si accontenta delle verità confezionate da altri o dal passare del tempo. Per onestà devo subito anticipare che con De Stefano siamo legati d’amicizia, quindi se qualcuno vuole obbiettare alle mie parole, ne avrebbe di ragione. Quando ho affrontato il testo su Siani ("Giancarlo Siani: passione e morte di un giornalista scomodo", Giulio Perrone Editore) mi sono sinceramente chiesto che cosa ci fosse ancora da dire, cosa ancora da scoprire o mettere in luce.

La qualità di De Stefano è una sua rigida morale deontologica che fa della ricerca e dell’approfondimento le armi per comprendere, e non le opinioni o le sensazioni generali. Infatti "Passione e Morte", dedicato a Siani, non è una biografia, ma per meglio dire una radiografia della morte del giornalista napoletano e una radiografia del tempo in cui è avvenuto il suo omicidio. Leggendo il testo le certezze lasciano spazio a fin troppi interrogativi, al punto che di sicuro ci sono mandanti ed esecutori, ma non appare soddisfacente a completare un quadro di morte e di dolore. Un quadro che negli anni ’80 era fatto di troppe verità incastrate e artefatte, se non per chissà quali costrutti malefici, per la mera voglia di nascondersi e non esporsi.
 
Prima di intraprendere questa intervista ho telefonato a De Stefano, come lettore per chiedergli spiegazioni, sul libro mai trovato, sulle discrepanze degli amici e degli ufficiali di polizia, per avere conferme perché troppi i dubbi e gli interrogativi aperti: “Sono tutti soggetti affidabili quelli che di poi danno risposte diametralmente opposte e questo mi conferma che la morte di Siani è un punto interrogativo che non ha ancora tutte le risposte che meriterebbe di avere.
 
Il tuo testo è un reportage vecchio stile, che più che celebrare cerca di indagare, come mai questa scelta?
“Perché penso che il ruolo del giornalista sia uno solo: raccontare i fatti. Quando si scrive un libro che racconta le vicende di persone in carne ed ossa, bisogna attenersi esclusivamente ai fatti. Non è una scelta, è piuttosto una questione di onestà intellettuale nei confronti del lettore, chi legge deve sapere che quel che ho scritto è rigorosamente documentato”.
 
La lettura del libro lascia con diversi interrogativi aperti, in cui si è certi dei mandanti e degli esecutori, ma sembra che ci siano zone d'ombra proprio sulle persone più vicine a Siani, è un'impressione sbagliata?
“No, l'impressione è esatta. Scorrendo le pagine del mio libro emerge in maniera lampante che proprio alcuni tra i cosiddetti amici di Giancarlo hanno riferito cose non vere durante le indagini e anche al processo. Non solo: c'è anche chi ha cambiato versione più volte, chi si è contraddetto, chi ha riferito di non ricordare episodi che sarebbe stato difficile rimuovere dalla memoria. Paradossalmente il contributo alla verità è arrivato più dai collaboratori di giustizia che dalle persone più vicine a Siani”.
 
Nelle tue ricerche quali sono stati i passaggi che ti hanno lasciato più perplesso e inquieto?
“A mio avviso tutta la storia è caratterizzata da episodi che si lasciano dietro una sia di inquietudini e perplessità. Ad ogni modo, l'aspetto che più mi ha sbigottito è quello relativo alla scomparsa delle carte che Siani aveva raccolto per una inchiesta sui rapporti tra politica, camorra e affari. Un giornalista conserva tutto, anche il più sgualcito degli appunti, eppure gli inquirenti non hanno mai trovato nemmeno un bloc notes, né una delibera e neppure gli incartamenti che gli avevano fornito alcune sue fidatissime fonti”.
 
Come vedi la relazione tra Siani giornalista e il quotidiano per cui lavorava, Il Mattino?
“Sui rapporti con il suo giornale si è sempre detto di tutto e di più. Io penso che Siani doveva ancora prendere le misure con un ambiente nel quale, probabilmente, non era a suo agio. Non dimentichiamoci che negli anni '80 Il Mattino non era affatto un giornale aggressivo e battagliero, ed è probabile che Giancarlo non si fosse ancora abituato a fare i conti con un quotidiano non esattamente in linea con il suo modo di intendere il giornalismo”.
 
Nei mass media, di recente, c'è una forte celebrazione alla ricerca del martire giornalista è un'impressione sbagliata?
“No, sono d'accordo. Oramai è un modello che imperversa dappertutto, ma per fortuna in circolazione ci sono ancora tanti giornalisti seri che continuano a fare il loro lavoro senza prestarsi a numeri da circo per impressionare i lettori”.
 
La lettura del tuo testo su Siani quali sensazioni dovrebbe suscitare nel lettore, quali interrogativi?
“Intanto penso che il mio libro possa diventare uno strumento per conoscere una storia attraverso un racconto basato rigorosamente sui fatti, perché finora tutti hanno parlato di Giancarlo senza sapere esattamente cos'è accaduto dalla sera del 23 settembre 1985 fino alla condanna in Cassazione di killer e mandanti. Spero che il lettore capisca che spesso la realtà è molto più complessa di come ci viene rappresentata, e che quindi vale la pena approfondire anziché fermarsi davanti a banalizzazioni o a stereotipi piuttosto diffusi”.
 
Il libro è una ricerca puntuale di verbali, di testimonianze, di riscontri, oggi si può ancora scrivere un libro reportage che non sia d'effetto ma vera e propria ricerca estensiva della verità?
“Io ho sempre pensato che ci sia ancora spazio per un giornalismo impegnato nella ricerca della verità. Una convinzione che si è consolidata dopo aver registrato la favorevole accoglienza riservata al mio libro; oltre che ai lettori, “Giancarlo Siani. Passione e morte di un giornalista scomodo” piace a colleghi, addetti ai lavori, rappresentanti delle forze dell'ordine, magistrati. Evidentemente non tutti si fanno annebbiare da celebrazioni, agiografie ed effetti speciali”.
 
Qual è il tuo prossimo progetto in cantiere? Mi confermi che questo testo di Siani, che ha vinto anche il premio dedicato proprio al giornalista napoletano, era stato rifiutato da un'altra casa editrice?
"Sì, confermo. E ringrazio l'editore Giulio Perrone e il responsabile della saggistica Cristiano Armati per aver scommesso su un libro che non inseguiva le mode del momento e che sta regalando a tutti noi grosse soddisfazioni. Il prossimo progetto? Parliamone tra qualche mese".

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