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Ghettizzazione dei rom a Roma: cinque associazioni si ribellano

Con una lettera aperta, cinque organizzazioni, Associazione 21 luglio, Controcampo, Cooperativa Berenice, Fondazione Romanì e Popica onlus, contribuiranno alla tavola rotonda "Oltre il campo, testimonianze sulla condizione dei rom a Roma” che si svolgerà oggi presso le sale della Provincia di Roma.

Le cinque organizzazioni prendono spunto dal nuovo «villaggio attrezzato» La Barbuta che il Comune di Roma si appresta a inaugurare, e che definiscono «l'ultimo modello di ghetto per i rom, uno spazio perimetrato, videosorvegliato e organizzato su base etnica».

«Concordiamo con gli organizzatori della tavola rotonda - si afferma nella lettera - nel definire ogni "villaggio attrezzato" della Capitale, e quindi anche l'ultimo, quello costruito a La Barbuta - un ghetto concepito dall'antiziganismo dei nostri giorni, l'ennesimo prodotto di un pregiudizio etnico, il risultato della istituzionalizzazione della segregazione e della discriminazione che si consuma nella nostra città».

E' possibile allora un lavoro sociale al suo interno? E' possibile se «ingabbiato in un sistema di sospensione del tempo, sospensione dei diritti, in un non luogo - quale è anche quello del “villaggio attrezzato” La Barbuta - in cui non esistono e non sono date possibilità di cambiamento, vie di fuga e d'uscita»? In realtà, si legge nella lettera, «il lavoro delle organizzazioni che decideranno di lavorare all'interno del nuovo "campo nomadi" La Barbuta, non potrà che ridursi ad un indiretto supporto alla una politica ghettizzante e deumanizzante imposta dall'attuale amministrazione».

«In coerenza a tale posizione espressa e condivisa, - si conclude - invitiamo tutte le organizzazioni del terzo settore cittadino ad esprimere formalmente la volontà di autoescludersi dal lavoro interno (gestione dei servizi e scolarizzazione) alla nuova istituzione - come è quella del "campo" La Barbuta" - destinata a produrre discriminazione, sofferenza, esclusione sociale. Chiediamo un segno coraggioso, un gesto di obiezione di coscienza per invertire la tendenza ed esprimere un segno di discontinuità. Comprendiamo come una tale scelta potrebbe avere risvolti negativi in relazione al lavoro di tanti operatori. Ogni scelta di coscienza non è mai gratuita e implica sempre un prezzo. Lo stesso prezzo che è costretto a pagare l'operaio di una fabbrica che produce armi e che decide di smettere. Lo stesso prezzo che potrebbe decidere di pagare un'organizzazione che lavora all'interno di un piano, il Piano Nomadi, la "fabbrica" che a Roma produce discriminazione e segregazione».

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