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Gheddafi a La Sapienza: due ore di ritardo e tafferugli. Una giornata da dimenticare

Corrispondenza dall’Aula Magna della Sapienza di Roma. Gheddafi ospite in Italia ed è subito polemica: mentre al Senato si spacca il PD, all’università fioccano le proteste dei ragazzi dell’onda. E’ polemica: il rettore de La Sapienza replica alle agitazioni: “Sono quattro gatti!”, ma Amnesty International denuncia la posizione ambigua del colonnello: “La Libia applica la pena di morte anche per i reati non di sangue e cancella con la violenza il dissenso politico”.

Era partita stranamente in modo tranquillo la giornata presso l’aula magna dell’università La Sapienza di Roma. Adibita per l’occasione con fari televisivi, con le rappresentanze tutte in ghingheri, la presenza (forse smodata ed eccessiva, ma voluta dall’ospite) di securiy, polizia in tenuta antisommossa, cecchini sui tetti, forze dell’ordine in borghese, elicotteri e guardie del corpo, la città degli studi si è apprestata così ad un evento storico: ospitare il leader della Gran Jamahiria Arabica Libica Popolare Socialista Muammar Gheddafi, per parlare di diritti umani, rapporti internazionali, storia e relazioni tra stati, con un occhio alla pace fatta tra lo stivale e la Libia.

Ne dava notizia, dal microfono da dove avrebbe poi parlato Gheddafi, il rettore Luigi Frati che ha voluto spegnere alcune polemiche sul nascere affermando che La Sapienza non crea muri ma ponti, l’università è aperta al dialogo, al dibattito, al diritto di critica, di analisi e di ricerca, nonché all’attualità e al mondo. “Quest’anno abbiamo ospitato altri leader come quello albanese, il leader della Croazia e dell’Olanda”, ha affermato il rettore. Accogliere il colonnello, quindi, è per Frati un’occasione di aperto confronto che fa bene al dibattito culturale. Belle parole sgonfiate sul nascere dal comportamento dello stesso leader libico, che ha quasi disertato l’incontro, presentandosi con ben due ore di ritardo; un ritardo che non è piaciuto alla stampa: alcuni giornalisti hanno infatti dato la notizia della mancata presenza dell’atteso personaggio. Un’iniziativa, quella dei giornalisti, che ha indispettito il rettore, riapparso davanti al tavolo della conferenza (vacante di ogni ospite) producendosi in un affondo polemico: “La mamma dei cretini è sempre incinta!”, ha sentenziato rivolto ai media che avevano dato la notizia della lunga attesa e del probabile fallimento dell’iniziativa. Di vera e propria diserzione non s’è trattato, ma quasi: Gheddafi s’è presentato due ore dopo il previsto davanti ad operatori e giornalisti indispettiti e pubblico affamato ad attenderlo con innaturale pazienza.

 

Guadagnato il microfono e attivato il traduttore sono molteplici le frecciatine contro l’Italia colonialista di Muammar Gheddafi, il leader libico precisa più volte di pretendere le scuse dell’Italia ed esorta professori e ricercatori a riscrivere i libri di storia raccontando la verità sul colonialismo violento dell’occidente nei confronti di terre come la sua. Attacca gli USA e precisa che la nostra non è una democrazia perché è basata sulla rappresentanza, “se governano in dieci non è una democrazia, è una decicrazia”. E’ un soliloquio piuttosto lungo ma l’atmosfera si anima finalmente appena prendono la parola gli studenti. Chiedono di specificare cosa intende lui per democrazia, se tratta umanamente profughi e rifugiati politici, si parla di petrolio, di donne e di politica, di immigrazione e di dittatura.

Risposte sfuggenti che divengono ancora più sfuggenti quando interviene a sorpresa una delegazione dei ragazzi dell’Onda che è riuscita a passare il varco di militari in tenuta di guerra; una ragazza guadagna il microfono ma non fa in tempo a prendere la parola, riesce solo a dire: “siamo dell’Onda…” e subito la zittiscono dando la parola ad un’altra persona che subito recupera dicendo “volevo farle i complimenti al leader…”, dal pubblico parte un’applauso indirizzato ai coraggiosi ragazzi promotori dell’iniziativa e un coro di proteste per l’atto censorio subìto. La conferenza finisce lì: nella concezione di democrazia di Gheddafi iniziative del genere non sono previste né tollerate!

PERCHE’ TANTO INTERESSE PER GHEDDAFI?

Sono molteplici gli interessi economici tra Libia e Italia che spingono il nostro governo ad accettare rapporti con un uomo discutibile come il colonnello libico: l’Eni è in affari con la Libia per l’estrazione di gas e petrolio; Finmeccanica costruirà una parte del sistema di controllo delle frontiere libiche; le aziende italiane saranno coinvolte nella costruzione delle infrastrutture in Libia; Gheddafi ha investito fondi governativi nelle nostre banche.

LA LIBIA E’ UN GRANDE LAGER!

La Libia è un grande lager. Così titola Carta nell’edizione ora in edicola e lo fa proponendo un film in dvd (in regalo a tutti gli abbonati), intitolato «Come un uomo sulla terra», che racconta attraverso le testimonianze di chi ha fatto il terribile viaggio, come i libici trattano i profughi. Le persone che parlano in queste pagine sono etiopi, profughi e richiedenti asilo. Per arrivare in Italia hanno dovuto attraversare il Sudan e la Libia! Testimonianze come risposta all’accoglienza riservata a Gheddafi dal governo italiano, mentre l’Italia si spacca: oggi a Roma polemiche a non finire: il PD si divide in due, l’Italia dei Valori minaccia azioni di protesta, mentre i radicali confermano lo sciopero della fame, affermando che ospitare Gheddafi “rappresenta un’inaccettabile sdoganamento politico di un dittatore”. Dure critiche da Amnesty International, che ieri sera ha partecipato alla manifestazione contro i respingimenti in Libia dei clandestini e le gravissime violazioni dei diritti umani nei campi di detenzione libici. Spiega Riccardo Nuori di Amnesty International al quotidiano Metro: “La Libia applica la pena di morte anche per i reati non di sangue e cancella con la violenza il dissenso politico”.

ECCO LE TESTIMONIANZE DI CHI HA FATTO ESPERIENZA IN LIBIA

Tsegay, 25 anni
[…] A Bengasi e Misurata il carcere si chiama Giuazat: non è un vero carcere ma un centro di detenzione per migranti clandestini. Mi hanno arrestato e messo nella Giuazat di Guarscia, da questo centro si dice che per sette che ne scappano settanta ne entrano. Se qualcuno scappa la polizia esce in città a fare le retate e ne riporta dieci volte tanti, una volta che era scappato un ragazzo la polizia ne ha riportati quindici, lui non l’avevano trovato, ma non importava. Ci avevano promesso che ci avrebbero liberato alla fine della Quaresima e invece no, così noi abbiamo sfondato la porta e siamo scappati, ma subito sono arrivati i rinforzi, abbiamo ripiegato e siamo rientrati in cella e abbiamo riaggiustato la porta che avevamo rotto per scappare, poi sono arrivati i poliziotti, sono entrati, noi eravamo tutti agli angoli della stanza per proteggerci, quelli hanno cominciato a picchiarci uno per uno, poi il capo ha sparato per far fermare le sue guardie che ci stavano andando giù pesante.

Nega, 21, anni
Anche io sono stato quattro mesi in prigione a Bengasi. Lì c’erano i lavori forzati, ci facevano trasportare sabbia, costruire altre strutture per il carcere e lavare le macchine dei militari. Qualcuno di noi sceglieva di uscire a lavorare almeno per respirare un po’ d’aria e per vedere la luce del sole. Ti fanno lavorare come animali. Poi un giorno arriva il solito camion che trasporta un container per riportarci a Kufra. La cosa più brutta del viaggio è quando il camion si ferma sotto il sole prima di entrare ad Ankar, nel carcere di Kufra. In quei momenti pensi che non ce la farai, fa caldo, non si respira, la gente urla, si spinge, si mena, si prende a mozzichi per farsi un po’ di spazio, per guadagnarsi quella po’ d’aria che viene dal finestrino, le persone battono sulla lamiera e più battono e più i libici restano fermi.

Jhon, 34 anni
Loro parlano in arabo, c’è sempre qualcuno di noi che li capisce perché tutti siamo passati per Karthoum e qualcuno si è fermato di più e ha lavorato e ha imparato un po’ di lingua. Tra di noi si dice: «Se non ci fosse il Sudan non potremmo arrivare in Italia», per dire che la sola tappa del viaggio un po’ più leggera, dove le persone non ti perseguitano.

Tsegay
Da Misurata, che sta sul mare, ti riportano indietro verso Kufra con il camion dentro un container in cento persone, tutto chiuso, puzza di escrementi, senza finestrini, ci sono anche donne e bambini. Buttavano sulla lamiera del container l’acqua per raffreddarlo e non farci morire tutti soffocati, così come ho visto fare dai nazisti con gli ebrei caricati sui treni diretti nei campi di concentramento nel film Schindler’s list. […]


Foto da La Sapienza: Fabio Barbera
Foto d’apertura da Il Corriere del Ticino


Commenti all'articolo

  • Di Enricolt (---.---.---.63) 12 giugno 2009 11:50

    Cronaca interessante di un incontro che NON andava fatto e che i media ci hanno comunque edulcorato raccontandolo in modo diverso. Però caro Fabio, per tre volte mi crivi Libano e leader libanese!! So che si tratta di un refuso, ma suggerisco un po’ più di attenzione

  • Di Fabio Barbera (---.---.---.192) 12 giugno 2009 11:57
    Fabio Barbera

    D’accordo con te sul fatto che l’incontro (che è sembrato più uno scontro) non andava fatto. Grazie anche per la segnalazione sugli errori che provvedo sùbito a fare aggiustare. A volte la velocità genera brutti scherzi: l’articolo l’ho consegnato poche ore dopo l’incontro non accorgendomi del ripetuto refuso. Saluti. Fab

  • Di marco (---.---.---.137) 12 giugno 2009 12:59

    Nei discorsi degli anni Settanta, Gheddafi interviene più volte sull’importanza fondamentale della religione. "La religione - dice - è un fatto basilare nella vita umana e la stabilità dell’uomo riposa sulla religione". E ancora, in una conferenza stampa del 13 maggio 1973: "Non si può immaginare un uomo senza religione, poiché un uomo del genere sarebbe un idolatra. Noi abbiamo, grazie a Dio, una religione celeste e non adoriamo né un idolo, né un pupazzo di paglia, né un Dollaro, né una macchina".

    L’ottica religiosa è diversa da quella "democratica". Non si possono paragonare. Per cui guardare agli altri con gli occhi da "democratico" (noi) è sbagliato e non serve a nulla.
    In ogni caso a me pare che non ci sia niente da dire di Gheddafi. Lui fa il suo mestiere come lo fanno le guardie carcerarie. Se lì da loro il carcere è duro, va bene così. Se c’è la pena di morte va bene così.
    Io credo che noi occidentali dovremmo guardare meglio il nostro modello "democratico", ma molto, molto più in profondità. Allora forse troveremmo tanti di quei problemi che finalmente ci terrebbero occupati per aggiustarli e smetteremmo di criticare a destra e a manca. 

  • Di Sergio (---.---.---.67) 12 giugno 2009 13:06

     "per parlare di diritti umani"
    Nessuno si rende conto che ci stanno prendendo in giro?
    Quasi quasi emigro in Congo....

  • Di l’incarcerato (---.---.---.27) 12 giugno 2009 17:23

    Veramente un ottimo articolo. Questo si che è giornalismo partecipativo, non sarebbe male creare piccole redazioni di Agoravox locali in maniera tale che si uniscano le forze per fare un vero e proprio giornalismo! Magari competitivo nei confronti degli altri giornale. E sicuramente molto più liberi...


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