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Gang a Milano

In centro come in periferia. Di giorno e di sera. Una realtà che è importante conoscere e che richiede un programma preciso da parte dell'amministrazione locale.

Giovedì 21 luglio, ore 20, Milano, via Torino angolo via Spadari, fermata Duomo linea tranviaria 3 direzione Abbiategrasso.

Il rumore di una bottiglia che va in frantumi. Tre ragazzi si allontanano a raggiera dall'epicentro rivelando una porzione di marciapiede costellata di cocci marroni e un ragazzo seduto davanti alla vetrina del grande magazzino alle spalle della fermata. Il ragazzo è composto e fissa un punto nel vuoto; ha briciole di vetro sui capelli e non si arrabbia. Forse sono gocce di birra. Forse lui è strano e per questo è stato aggredito: a volte leggi di qualcuno che ha preso a calci un barbone senza motivo. Il suo volto è impassibile; guarda altrove, in un punto fisso e in nessun posto. I miei occhi, invece, sono incollati su uno dei tre responsabili. Grosso, pelle scura, occhiali neri sulla testa, maglietta verde brillante, ampia sopra i bermuda larghi, sotto il ginocchio. Anche le scarpe da ginnastica sono grosse. Non è sporco; uno che rompe una bottiglia contro una vetrina te lo aspetti sporco, o ubriaco. Lui sembra un bullo. Si allontana sorridendo. Sorridendo.

Nessuno può osservare attentamente tre persone che camminano in direzioni diverse: sapevano cosa stavano facendo, penso più tardi. E così, degli altri due, niente saprei dire.

Mi avvicino. La vetrina non è danneggiata; mi stupisco che della bottiglia siano rimaste solo briciole. Sono tutte intorno al ragazzo seduto, ma lui non urla. E perché nessuno si muove?

La guardia all'ingresso del grande magazzino esce: guarda, rientra. Il ragazzo non è più seduto; il suo lato sinistro, finora nascosto, sanguina: l'orecchio, la palpebra; sangue che sgorga ma non scorre.

La bottiglia era vuota, non c’è odore di birra. Banditi, il ragazzo dice, calmo, Banditi. Lo dice in italiano, ma non è la sua lingua. Ripete, scandendo meglio; io capisco, gli altri capiscono. Una signora con i capelli neri lo accarezza, fa cadere i vetri dai capelli chiari corti. Io chiamo la guardia. Io lavoro qua, indica il grande magazzino; mi dà le spalle e torna all’interno, a osservare persone che non aggrediscono nessuno.

Imbocco via Spadari a passo svelto, forse corro: una maglia verde brillante con due complici si ritrova facilmente. Cosa io intenda fare se li trovassi non saprei dire. E comunque loro non sono lì. Non nei vicoli laterali. Non nel grande magazzino. Dove, dove. In lontananza passa il 14. Torno alla fermata; la signora ha smesso di accarezzare. Non li trovo più, mi dispiace, non capisco. E ricordo che anche i ladri sanno svanire senza essere stati visti correre.

Cinque, sei, sette persone sono attorno al ragazzo; lui scivola via senza aggiungere altro. Il mio tram arriva mentre gli estranei ripetono, forse più a se stessi che ai presenti, Com’è possibile.

Le porte si chiudono, forse dovrei rimanere, potrebbe servire un testimone; ma vedo solo la signora delle carezze e gli altri passanti. Non c’è il ragazzo con il sangue e allora posso andarmene. Ma invece questa è quasi indifferenza e mi vergogno mentre salgo lentamente i tre scalini alti del tram, e scendo di due. Il conducente chiede, Signora sale?, non conosce la ragione della mia esitazione, Non posso fermare il servizio.

Ora le porte sono chiuse, e io sono in alto, occhi incollati su chi, invece, è rimasto. Parlo al macchinista; è dispiaciuto. Non potevo fermarmi, capisce. Capisco.

Una ragazza interviene: Anche tu hai visto. Sì, la maglietta verde, gli occhiali scuri, gli altri due facevano da scudo in modo che nessuno notasse. Lei ha visto uno degli altri due. Com’è possibile, dice, ma il suo tono non è quello dei passanti. Erano sudamericani, crede; anche il ragazzo aggredito.

Se qualcuno mi rompe una bottiglia in testa io urlo, io chiamo aiuto, perché lui no? Così hanno avuto tempo di scappare. Lei mi spiega che, nelle gerarchie, se il più forte ti aggredisce, tu non reagisci: è un codice di comportamento. Studia scienze sociali. Una volta ha assistito a un accoltellamento a Cimiano, insieme a una sua insegnante: ne è nato uno studio. A Cimiano ci sono molte scuole, e molte bande rivali, storie di droga e di donne, non puoi toccare le loro donne. L'accoltellamento è avvenuto alle 8 del mattino, nessuno si fermava, il ragazzo era coperto di sangue. L'ambulanza non voleva venire perché io non sapevo dire il civico. Poi l'insegnante ha preso il telefono e loro sono venuti. Quaranta minuti dopo, sono arrivati i Carabinieri. No, lei non ha testimoniato: volevano una sola persona; hanno preso il documento di un altro. C’era stata una discussione quando lei aveva chiesto perché tante camionette in Duomo e nessuna in una zona notoriamente ad alto rischio. Il Duomo è il Duomo; ma non deve preoccuparsi: lei è italiana, non la toccano. E lei aveva rifiutato di chiudere l'argomento: Intende dire che se non sono in pericolo, devo abituarmi a questo?

Avrei chiesto lo stesso.

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