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Francia e Jobs Act: continua la manifestazione contro la riforma del lavoro. Soffia forte il vento della democrazia

Loi Travail. La riforma sul lavoro duramente contestata in Francia, che somiglia maledettamente al Jobs Act italiano. Non si contano gli scioperi che sono stati fatti, che trovano poco eco sulla stampa, indaffarata a narrare le mirabili gesta renziane.

Una legge sentita dai francesi come troppo sbilanciata a dare garanzie alle aziende ma non ai lavoratori, costretti a rinunciare al contratto nazionale ed accettare quello di imprenditori che vogliono le mani libere e soprattutto sbarazzarsi del sindacato.

Una riforma che sta provocando un sommovimento tale da portare in piazza un grande schieramento di forze sociali. Il 15 giugno scorso, la Francia si era fermata e durante lo sciopero non sono mancati i tafferugli di piazza che hanno condotto al fermo di quarantadue persone e fatto registrare il ferimento di altre quaranta tra agenti e manifestanti. Parigi naviga a vista. Deve barcamenarsi tra strategie antiterroriste e su come garantire la sicurezza per via degli hooligan che stanno mettendo a ferro e fuoco la Francia.

E così il Prefetto aveva ritenuto cosa buona e giusta vietare la manifestazione del 23 giugno. Una decisione senza precedenti, poiché l’ultimo divieto risale al 1962, anno in cui il governo dell’epoca guidato dal gollista Michel Debrè, con il pretesto di un colpo di Stato, aveva impedito di manifestare contro la guerra in Algeria. Ritornando alla situazione attuale e ai venti di protesta che agitano la Francia, la decisione di non manifestare nasceva dalla mancanza di sicurezza e dai continui disordini che si stanno verificando, per via dei campionati europei di calcio. Per evitare ulteriori scompigli, alle sette sigle sindacali era stato vietato il corteo da Place de la Bastille a Place de la Nacion ed il Prefetto aveva optato per un evento statico. Decisione disattesa i cui effetti hanno indotto la società civile a sottoscrivere una petizione su Change.org dal titolo “Io non rispetterò il divieto di manifestare” che nel giro di 24 h è diventato virale tanto da raccogliere la bellezza di oltre centotrentamila firme. A favore dei sindacati si era schierata la fronda interna del partito socialista di Hollande, contraria alla politica liberista abbracciata dal Governo.

Un errore di valutazione il divieto a manifestare, in un momento in cui la società civile è privata dei suoi diritti e si sta andando incontro a diseguaglianze che si accentuano ancora di più tra chi è ricco e chi è povero. Un male che accomuna alcuni stati membri dell’UE ed una Troika che parla solo il linguaggio dei mercati e della finanza, rafforzando ancora di più lo scollamento tra società civile e governi alle prese con provvedimenti d’austerità. L’autoritarismo non conduce da nessuna parte ed alla fine il Governo ha dovuto fare marcia indietro ed i francesi il 23 giugno potranno manifestare, anche se il corteo avrà un tragitto ridotto che terminerà a Place de la Bastille come da consuetudine. Fare un raduno statico sarebbe stato un non sense e per fermare la deriva democratica che si respira in Europa non serve vietare per impedire alla gente di dissentire. 

Nascondersi dietro la scusa della mancanza di sicurezza per beni e persone non serve. Intanto sindacati e studenti hanno per il momento il permesso di manifestare il 28 giugno, secondo modalità che verranno discusse con il Prefetto. Non ci può essere Democrazia senza pubblica opinione, se ogni cittadino non è messo in condizione di contribuire alla sovranità di uno Stato. L’autoritarismo è l’esatto opposto, forse per questo la Francia vorrebbe imboccare una strada autoritaria. Ma ciò non è possibile. Almeno per il momento.

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