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 Home page > Tribuna Libera > Francesco Totti: una lettera aperta

Francesco Totti: una lettera aperta

In un panorama calcistico globalizzato, che ha visto finire Milan e Inter in mano cinesi, la mafia vicino alle grandi squadre, le scommesse con la complicità di malavita e calciatori, la presenza dominante di giocatori stranieri, l’omaggio commosso della Roma giallorossa alla figura di Totti in ragione del fatto di essere romano, romanista fedele, nonché grande campione, è comunque un fatto che dà da pensare. Per me questa immensa popolarità di Totti esprime un sentimento dei tifosi che intimamente approvano e godono del fatto che Totti sia un figlio di Roma e che sia rimasto fedele alla sua squadra per tutta la sua carriera.

La sua testimonianza, la sua scelta di amore per Roma e per la sua squadra, rendono possibile affrontare un discorso sul futuro del mondo del calcio sapendo che questi “valori” hanno un consenso illimitato nella tifoseria romanista, fino a poter pensare ad una AS ROMA fabbricata in casa, con le sue scuole calcio radicate nel territorio, con gli ex giocatori che le dirigono, con una struttura dirigente elettiva, dove gli iscritti hanno diritto di voto per eleggere il loro presidente, tornando cos ad essere una società sportiva e non più una società per azioni in mano alle logiche di mercato. I “valori” che ci propone oggi il calcio moderno sono identici a quelli della globalizzazione, del dominio del denaro, di tifosi che diventano sudditi del dittatore capitalista di turno, sperando che il principe abbia più soldi possibili da investire. La psicologia di massa creata dal calcio di oggi non ha nulla di sportivo, le società non hanno nulla di democratico, vince sempre e solo chi ha più denaro, i giocatori sono carne da pallone, pronti sempre a cambiare maglia e, in genere, buttati via come spazzatura quando il rendimento diminuisce. Il calcio di oggi è la fotocopia della società capitalista e industriale, della società dello spettacolo (i diritti televisivi sono l’introito maggiore), tanto è vero che generalmente non sono più società sportive ma società per azioni, collocabili e scalabili in Borsa.

Sarò un inguaribile romantico, ma la dimostrazione di affetto per Totti nella sua ultima partita con i colori giallorossi esprime qualcosa di profondamente diverso dalle logiche del mercato, e proprio Totti avrebbe la possibilità e la credibilità per cominciare a invertire questa tendenza, partendo dalla richiesta alla società di investire il denaro che dovrebbe essere speso per il nuovo stadio di Tor di Valle (una palude esposta alle esondazioni del Tevere) in scuole calcio dirette da tecnici al massimo livello, possibilmente romani, che nel giro di pochi anni possano portare la Roma a disporre di una rosa di giocatori con quel quid in più determinato dal fatto di essere nati e cresciuti in un ambiente sportivo legato alla propria città, con la possibilità di immaginare il proprio futuro, una volta terminata l’attività agonistica come allenatori o dirigenti.

Ma il vero salto di qualità sarebbe quello di passare da un assetto proprietario a una “public company”, i cui proprietari, con diritto di voto per eleggere il corpo dirigente, siano tutti i tesserati e abbonati, uscendo dalla dimensione di sudditi ed entrando a pieno titolo nella partecipazione e nella pratica della democrazia. Non vi è nulla di utopistico nel voler cambiare la realtà del calcio di oggi, in mano a potenti, corrotti, a gente che lo utilizza per carriere politica o per avere visibilità, sarà una necessità, come avverrà anche nella politica, perché il futuro è l’autogestione, visto che, quando si delega troppo e troppo a lungo, si generano mostri tipo i professionisti a vita della politica che saranno pure esperti, ma nel favorire mafie, ladri, malaffare, corruzione, ingovernabilità.

Paolo De Gregorio

Commenti all'articolo

  • Di Goranf (---.---.---.195) 31 maggio 2017 09:40

    Io credo che le public companies nel settore del calcio siano tuttora possibili ma il problema non è il capitale o il presidente ma l’organigramma di tutta la dirigenza e tecnici ad alto livello dunque non solo l’allenatore. Che si definiscano poi i calciatori carne da macello mi sembra eccessivo. Totti stesso, anzi lui più di altri è indicativo in tal senso. Ha potuto "lavorare" fino a 40 anni, cosa oggi difficile nelle societa piu tecnologiche in cui a 35-38 sei finito. Inoltre grazie non alla globalizzazione ma al giochino dei diritti tv ogni costo è lievitato in maniera insensata. Tutto è più spettacolo che gioco. La fame di soldi ha trasformato le societa in industrie ed i giocatori in professionisti a livelli insensati dal punto di vista rendimento e denaro guadagnato. Ci si lamenta di quanto guadagna un grosso manager? Cosa è a confronto dinun calciatore? Un poveraccio!

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