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 Home page > Tribuna Libera > Federico Barakat se l’è cercata la morte, a 8 anni‏

Federico Barakat se l’è cercata la morte, a 8 anni‏

Non sapevo nulla della storia di Federico Barakat, ucciso dal padre a colpi di pistola mentre si trovava in una casa protetta seguito dalle assistenti sociali.

 

Che Federico Barakat potesse essere ucciso dal padre di origine egiziana, Mohamed Barakat, non era prevedibile e quindi la Cassazione ha deciso di assolvere definitivamente le due assistenti sociali che erano state processate perché non erano state in grado di proteggere il piccolo dalla pericolosità del padre.

Antonella Penati, la madre, aveva da subito denunciato il marito come un uomo violento e aggressivo, cercando di di proteggere il suo figlioletto e non lasciandolo mai solo con il padre. Le assistenti sociali davano a Mohamed Barakat la possibilità di incontrare il piccolo Federico nella casa protetta della Asl di San Donato Milanese, nonostante gli appelli disperati della madre Antonella che continuava a chiedere la sospensione di questi incontri.

Poi ce n’è stato uno, l’ultimo, il 25 febbraio del 2009: Mohamed Barakat uccise con tre colpi di pistola e alcune coltellate il figlioletto Federico. Le due assistenti sociali ed un educatore non erano presenti perché si erano allontanati per qualche minuto ed è per questo che dopo l’omicidio andarono a processo. Furono assolti in primo grado ed ora la Cassazione ha deciso di chiudere definitivamente questa storia confermando le tre assoluzioni. Il bambino dall autopsia, in quei minuti fatali, si è difeso da solo e mostrava oltre il colpo di pistola, tagli alle mani, coltellate alle braccia, alle gambe, alla schiena e vicino al cuore.

La pericolosità di quell’uomo che in passato aveva commesso stalking e minacce e che aveva un processo che si sarebbe celebrato alla fine di quell’anno era stata confermata da una perizia psichiatrica. Gli appelli della madre furono totalmente ignorati perché giudicata una mamma isterica e iperprotettiva a cui nessuno e nessuna in sei anni ha detto “mi dispiace”. Antonella Penati pagherà parte delle spese processuali, le motivazioni si sapranno tra un mese. Io non ho più parole ma riporto quelle rilasciate nel proposito da Dario Fo, che condivido totalmente. E scrivo per sentirmi meno in colpa e non fare silenzio se non da morta.

Doriana Goracci
 

Federico Barakat, figlio di Antonella Penati, è il primo bambino in Italia ucciso in ambito protetto, cioè in un luogo dove persone sicure scelte dallo stato si impegnano a fare in modo che un minore non riceva offesa fisica o morale.

Federico è morto il 25 febbraio 2009 in seguito ad un’aggressione armata ad opera del padre, durante un colloquio, che era stato garantito sotto protezione, all’interno della ASL di San Donato Milanese. Prima di quel giorno, per anni Antonella e Federico hanno subito minacce e soprusi da quell’uomo disturbato, violento e ossessivo. Le aggressioni si sono perpetrate con agghiacciante regolarità ma Tribunali, Carabinieri e assistenti sociali hanno deciso di considerare la parte da tutelare (e proteggere) quella paterna, consentendogli di incontrare il piccolo, sottovalutando clamorosamente la pericolosità denunciata da madre e figlio. Alle suppliche di Antonella – che era ben consapevole di quel crescendo di disagio paterno allarmante – le assistenti sociali hanno addirittura risposto con la minaccia di allontanare il bambino anche da lei, se non avesse consentito al padre di incontrare il figlio in un contesto protetto.
Paradossalmente, quel contesto ritenuto sicuro e controllato è lo stesso in cui quell’uomo è potuto entrare armato di coltello e pistola, lo stesso in cui è stato lasciato solo con il figlio, lo stesso in cui ha potuto ucciderlo prima di togliersi la vita.
Sappiamo i nomi e cognomi delle persone che non hanno protetto Federico quel giorno dagli spari sulla nuca e dalle otto coltellate ma questa vicenda atroce porta alla luce delle responsabilità ben più estese. Denuncia soprattutto una follia istituzionale radicalizzata, figlia della mancanza di cultura e di preparazione di chi deve proteggere i minori, ovvero tutti noi.
Siamo un popolo di disinformati, di uomini e donne distratti, che voltano la faccia davanti alle denunce di una madre che vuole proteggere un figlio. Siamo un popolo che ancora oggi ignora questa storia orribile – che non vuole ammettere di aver lasciato solo Federico in quella stanza – e di giudici che preferiscono nel giudizio lasciar correre e iscrivere il dramma in una casualità senza colpevoli.
Ma è ora di accettare la verità che ci indica tutti come colpevoli davanti a queste tragedie, perché non ci siamo lasciati coinvolgere, non ci siamo interessati di quanto accaduto e la comunità ha preferito ignorare. E’ il grave tarlo di un popolo fatto di persone che mettono sempre avanti se stesse e non riescono a vedere gli altri. Se la società non riesce ad assumersi la responsabilità di un fatto tanto grave vuol dire che non vuole nemmeno prenderne atto, vuole ignorarlo, vuole continuare a lasciare che si uccidano i suoi figli, anziché proteggerli. Ma la responsabilità maggiore viene dall’alto: judicem significa colui che giudica persone o cose e ha la competenza e l’autorità di emettere giudizi. Ma dov’è la giusta sentenza?

In quella stanza Federico è stato lasciato solo da tutti noi, senza tutori, senza custodi, senza protettori. Quanto avvenuto presso l’ASL di San Donato Milanese non è da archiviare come fatale distrazione. Si tratta di un atroce insulto, di una tremenda superficialità collettiva. Una mancanza di responsabilità a tutti i livelli che si manifesta con il rifiuto di proteggere i deboli e di far rispettare le leggi. Non possiamo accettare che nel nostro paese un luogo di tutela e protezione di un minore sia lo stesso dove un padre – più volte segnalato come violento – possa uccidere un figlio, indisturbato. Chi non protegge deve essere punito. Perché nessuno può fare parte di una società che non si prende cura dei propri figli.

Il 27 gennaio 2015, le persone negligenti, superficiali e prive di senso civico che dovevano tutelare Federico, sono state assolte dalla Corte di Cassazione. Giustizia è fatta: la signora bendata che siede solenne all’ingresso del tribunale da tempo è stata rovesciata a terra e ognuno finge di non essersene accorto.

(DARIO FO)

 

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Commenti all'articolo

  • Di Damiano Mazzotti (---.---.---.70) 6 febbraio 2015 10:22
    Damiano Mazzotti

    L’unico modo per proteggerlo veramente era quello di metterlo in una struttura e fare in modo che il padre non lo sapesse. E una persona così disturbata avrebbe ucciso la ma madre del bambino, cioè la sua ex moglie o compagna, se non avesse trovato il bambino.

    Nella malattia mentali esistono malattie incurabili, come esistono le malattie fisiche incurabili.

    E cosa avrebbero potuto fare dei semplici assistenti sociali nel momento in cui tirava fuori la pistola e il coltello? Chiamare i carabinieri che sarebbero arrivati troppo tardi e non avrebbero salvato nessuno. Anzi, ci sarebbero stati un paio di assistenti feriti o morti in più.

    I figli minori andrebbero tolti (affidati temporaneamente o dati in adozione) a tutti i genitori violenti. Invece noi li togliamo ai genitori poveri (che avrebbero solo bisogno di un alloggio popolare e di un reddito minimo di sopravvivenza).

    Questa volta che i giudici hanno utilizzato il buon senso e poi ci lamentiamo. A certe situazioni familiari non esistono soluzioni facili, ma ai primi episodi di violenza ci vogliono interventi seri, da tutte le parti: istituzioni e il partner svantaggiato, che rischia di trovarsi senza una casa e senza sostentamento. Ecco perchè molte donne non riescono a lasciare i compagni violenti. Nei paesi più civili esistono molte strutture di accoglienza per le donne in difficoltà. Come in tutte le cose si può sbagliare nella scelta del partner, ma bisogna dare a tutti la possibilità di cambiare vita e allontanarsi dalla persona sbagliata.

    Purtroppo questa cosa è quasi impossile in Italia, anche perchè a volte la persona picchiata dovrebbe cambiare città o regione di residenza.

  • Di (---.---.---.184) 6 febbraio 2015 12:22

    Prima di commentare bisognerebbe conoscere la vicenda a fondo: Antonella Penati non era una mamma povera e neppure una mamma che negava il padre al figlio. Aveva l’affido esclusivo (perché il padre dopo la nascita del bambino era sparito per lungo tempo), ma non lo ha mai usato per allontanare padre e figlio. Quando lui è ricomparso, completamente cambiato, stravolto, spesso sotto effetto di stupefacenti e soprattutto violento, Antonella invece di andarsene (e avrebbe avuto i mezzi per farlo) ha fatto quello che a tutti insegnano: si è rivolta alle istituzioni. La risposta delle istituzioni è stata colpevolizzare lei ("madre iperprotettiva"), toglierle l’affido trsferendolo ai servizi sociali e obbligare il bambino a vedere questo padre stravolto in un ambiente protetto che protetto non era. Facit: il bambino è morto. Gli assistenti sociali, cioè coloro che in primis non avrebbero dovuto far togliere l’affido ad Antonella per farselo riconoscere e poi consegnare il bimbo al suo carnefice, sono stati assolti. Dovevano essere assolti, perché la loro condanna avrebbe incrinato un sistema malato che ha di mostrato di non essere in grado di proteggere un bambino, ma che è eccezionale nell’autotutelarsi e nell’autogiustificarsi.

  • Di (---.---.---.184) 6 febbraio 2015 12:31

    Prima di commentare bisognerebbe conoscere la vicenda a fondo: Antonella Penati non era una mamma povera e neppure una mamma che negava il padre al figlio. Aveva l’affido esclusivo (perché il padre dopo la nascita del bambino era sparito per lungo tempo), ma non lo ha mai usato per allontanare padre e figlio. Quando lui è ricomparso, completamente cambiato, stravolto, spesso sotto effetto di stupefacenti e soprattutto violento, Antonella invece di andarsene (e avrebbe avuto i mezzi per farlo) ha fatto quello che a tutti insegnano: si è rivolta alle istituzioni. La risposta delle istituzioni è stata colpevolizzare lei ("madre iperprotettiva"), toglierle l’affido trsferendolo ai servizi sociali e obbligare il bambino a vedere questo padre stravolto in un ambiente protetto che protetto non era. Facit: il bambino è morto. Gli assistenti sociali, cioè coloro che in primis non avrebbero dovuto far togliere l’affido ad Antonella per farselo riconoscere e poi consegnare il bimbo al suo carnefice, sono stati assolti. Dovevano essere assolti, perché la loro condanna avrebbe incrinato un sistema malato che ha di mostrato di non essere in grado di proteggere un bambino, ma che è eccezionale nell’autotutelarsi e nell’autogiustificarsi.

    Marinella Colombo
    Membro della European Press Federation
  • Di Doriana Goracci (---.---.---.125) 6 febbraio 2015 13:59
    Doriana Goracci

    Gentile signor Damiano Mazzotti, rispondo a lei e alla signora Marinella Colombo, col dire per prima cosa che io non conoscevo questa storia per niente, eppure come blogger leggo ogni giorno le agenzie di stampa e le innumerevolo storie che si intrecciano grazie a Facebook, e neanche conoscevo i così tanti drammatici casi, alcuni affiorati recentemente con il giornalista Iacona e la trasmissione Chi l’ ha visto su Rai 3 ...rispondo a lei e contemporaneamente ringrazio l’ altra signora che è interventa, con il bagaglio pesantissimo del suo vissuto personale. Internet è anche questo, si apre una porticina e appare un portone e poi gallerie e caverne...Rispondo con un articolo che ha scritto la signora Colombo di cui invio il link ma anche tutto il testo, per ampliare la nostra conoscenza. GRAZIE infinitamente per il vostro contributo
    Doriana Goracci

    “È finita. Tutti assolti. Ma non c’è nulla di cui rallegrarsi. “Tutti assolti” significa che la morte di Federico non ha un responsabile, significa che “in nome del popolo italiano” lo Stato potrà continuare a togliere l’affido di un bambino alla madre che vuole proteggerlo e metterlo nelle mani del suo carnefice. Se quest’ultimo lo uccide, pazienza, è successo, nessuno risponderà, nessuno è responsabile. Questo potere immenso dato ad assistenti sociali, psicologi, ASL, Tribunale per i Minorenni potrà continuare, come prima, più di prima. Due vite spezzate, quelle di un bambino e della sua mamma, pare vengano considerate un incidente di percorso. Probabilmente non verrà spesa neppure una parola su questa sentenza in nessun telegiornale. Sto parlando di Federico Barakat e della sua mamma, Antonella Penati e della sentenza che ha emesso ieri la Suprema Corte di Cassazione di Roma. La vicenda è intricata, ma estremamente semplice. Antonella conosce un uomo colto e gentile, un immigrato dall’Egitto con lauree e competenze e perfettamente integrato in Italia. Se ne innamora. Nasce un figlio. Ma la felicità della piccola famiglia dura poco, l’uomo ben presto sparisce e Antonella scopre che quell’uomo, che credeva di conoscere così bene, in realtà ha più di una identità. Delusione e solitudine, ma immediatamente cancellate dall’amore per suo figlio. La vita continua ed è, nonostante tutto, una vita raggiante. Quel bambino, amato e desiderato, è la ragione e il senso della sua esistenza. Antonella continua a lavorare, ma organizza la sua vita in funzione delle esigenze del piccolo che intanto diventa sempre più bello, socievole, sereno. Un giorno il padre ricompare. E’ cambiato, trasformato, completamene diverso da colui che lei aveva amato. Non lavora più, assume stupefacenti, è violento. Antonella non teme tanto per sé, ma per il bambino, Federico. Quello sconosciuto, così diverso dall’amato padre di suo figlio, la perseguita giorno e notte e arriva persino a tentare di mandare fuori strada la macchina su cui viaggiano Antonella e Federico. Lei deve proteggersi, deve proteggere la sua creatura e per questo denuncia le violenze. Ma l’unica “protezione” che riceve è quella degli assistenti sociali e del Tribunale per i Minorenni che le toglie l’affido esclusivo per conferirlo ai Servizi Sociali e costringerla a dare il bambino all’uomo che gli fa tanta paura. Le relazioni dicono che Federico deve scoprire la “parte buona del padre”. Per fare questo, dovranno scrivere che la madre è iperprotettiva e le imporranno un incontro settimanale tra il bambino e il padre. L’incontro è in “ambiente protetto” e Antonella, pur preoccupata, “consegna” (è questa l’espressione correntemente usata dagli operatori) il bambino ogni settimana all’educatore. D’altronde non le hanno lasciato nessuna possibilità di scelta, l’affido è stato trasferito ai Servizi Sociali e lei non ha più nulla da decidere, può solo ubbidire. In una società nella quale l’opinione pubblica viene sempre più bombardata da notizie che evidenziano come il “vero” pericolo per i bambini siano i propri genitori, nella quale ogni separazione diventa una separazione litigiosa, si vuole rendere normale l’intervento delle autorità e la conseguente privazione dei diritti genitoriali; qualsiasi motivazione può essere addotta: genitore iperprotettivo, genitore non tutelante, genitore inidoneo, genitore psichicamente instabile, genitore troppo impegnato dal lavoro, genitore povero … Fatto è che quel 25 febbraio 2009, quando il Comune di San Donato Milanese (detentore dell’affido del piccolo Federico) tramite i servizi sociali, fa incontrare il bambino con il padre all’interno della ASL, cioè in ambiente protetto, non lo protegge. L’educatore che avrebbe dovuto essere presente sembra abbia lasciato solo il padre con il bambino. Di sicuro il padre era entrato portando con sé una pistola e un coltello e li ha usati entrambi per uccidere suo figlio e poi uccidersi. Eppure nessuno è responsabile, nessuno poteva prevedere, nessuno può essere accusato di non aver difeso Federico. Ma davvero nessuno è responsabile di aver ritenuto Antonella – evidentemente sbagliando – una madre eccessivamente preoccupata e iperprotettiva? Davvero nessuno è responsabile per aver costretto Federico a cercare “la parte buona del padre” consegnandolo nelle mani di un consumatore di stupefacenti, un uomo della cui identità nessuno è certo? Un uomo ben noto alla polizia per essere stato un cittadino non proprio esemplare? Se avessero lasciato l’affido ad Antonella, lei avrebbe protetto il suo bambino, così come ogni genitore responsabile sa fare per il bene della sua creatura, quella creatura che è una parte di sé e non un “fascicolo” come invece è stato chiamato Federico per tutti gli anni del dibattimento. Quel 25 febbraio 2009 la vita di Antonella è diventata uno strappo, e il vuoto. Un vuoto che lei ha tentato di colmare reclamando giustizia per suo figlio, reclamando che i responsabili della sua morte venissero, più che puniti, messi nella condizione di non nuocere ulteriormente, di non ripetere le fasi di questo dramma con altri bambini, di non togliere senza vere ragioni i figli ai genitori, rovinando altre giovani esistenze. Così facendo lei metteva in discussione un sistema ben rodato, un sistema redditizio, un sistema che sa proteggersi molto bene. E che infatti si è protetto. Antonella ha speso cifre enormi – tutti i suoi risparmi e di più – per pagare avvocati e periti, affinché si facessero i processi e suo figlio ottenesse giustizia. Certamente nessuno avrebbe più riportato alla vita Federico, ma almeno lui avrebbe potuto riposare in pace. Da quasi sei anni Antonella affronta processi, situazioni “inspiegabili” di fascicoli che spariscono e ricompaiono, di periti che cercano le sue vecchie foto in rete per stabilire se da quel 2009 è ingrassata o dimagrita, di procuratori che le spiegano che per salvare Federico avrebbe dovuto infrangere il decreto del Tribunale per i Minorenni e scappare in Francia. Tra annullamenti, sospensioni e rifacimenti, la causa è arrivata a Roma e ieri, la Suprema Corte di Cassazione, diversamente da ogni aspettativa e da quanto richiesto dalla Procura, ha cassato la sentenza di condanna della Corte d’Appello di Milano, ritenendo in pratica che nessuno è responsabile della morte di Federico e ognuno dei personaggi coinvolti continuerà ad occupare la stessa posizione e ad agire come ha già fatto. Auspico che quel “Popolo italiano” in nome del quale è stata emessa la sentenza voglia far sentire la sua solidarietà ad Antonella, voglia aiutarla a non sentirsi sola, voglia incoraggiarla e sostenerla nella lotta che ha sostenuto fino ad ora e che speriamo voglia continuare a condurre con la sua Onlus (http://www.federiconelcuore.com/ass...) a favore dei tanti piccoli Federico che desideriamo continuino a vivere insieme ai loro genitori e nel ricordo di Federico Barakat, un innocente privato della giustizia terrena, ma che rimarrà sempre vicino e nel cuore della sua mamma”.
    Marinella Colombo
    Membro della European Press Federation
    http://www.mariaserenellapignotti.i...
  • Di Damiano Mazzotti (---.---.---.62) 6 febbraio 2015 19:31
    Damiano Mazzotti

    E infatti ho detto che hanno sbagliato ha farlo incontrare con il padre...

    Non so come si è evoluta la situazione, ma la lentezza della burocrazia danneggia tutti, anche se non escludo una prospettiva, idealistica, ideologica e dottrinaria di chi gestiva la struttura (magari di carattere cattolico quasi fondamentalista).

    Ma la responsabilità èdi tutto l’apparato e non delle singole persone...

    E forse la responsabilità più grossa l’hanno avuto i magistrati che dovrebbero ponderare i pareri di molti professionisti....ù

    Ma hanno sbagliato in molti, io non conosco la vicenda personale della signora Colombo, e ho fatto un commento generale in modo da essere utile a molte altre persone in difficoltà e anche in altre situazioni.

    Poi sul fatto che l’assassino prima fosse un uomo normale o quasi un santo, le cose sono sempre da vedere più in profondità.
    Quando le persone sono "innamorate" non vedono un palmo più in la del naso (le donne, gli uomini non vedono più in là della distanza del loro pisello).

  • Di (---.---.---.52) 6 febbraio 2015 19:33

    Domande >

    Quante volte il padre aveva incontrato nello stesso posto il figlio (da solo) e non era successo niente?

    Non significa niente che quell’uomo si sia subito dopo tolto la vita?

    Perché nessuno chiede che venga messo un metal detector anche all’entrata di certe strutture?

  • Di (---.---.---.52) 6 febbraio 2015 19:36

    Domande >

    Quante volte il padre aveva incontrato da solo il figlio e non era successo niente?

    Perché nessuno "pretende" che sia installato il metal detector anche all’ingresso di certe strutture?

    Non significa nulla il fatto che il padre si sia suicidato subito dopo il tragico gesto?

  • Di Damiano Mazzotti (---.---.---.62) 6 febbraio 2015 19:45
    Damiano Mazzotti

    Io posso anche aggiungere che molti sbagliato a ritenere che tutte le persone sono recuperabili e che tutte le persone si posssono riabilitare (e qui sbagliano sia i puristi cattolici sia quelli di sinistra).
    Molte persone possono essere recuperate, quasi tutte possono essere migliorate fino a livelli più o meno accettabili. E ci sono percorsi lunghi con decisioni difficili da prendere.

    Quando si tratta della vita di una donna e di un bambino bisognerebbe essere prudenti e pensare che in quel caso è meglio che la persona violenta sia esclusa da quel nucleo familiare, poichè ci sono 2 possibilità su 10 che la cosa vada a finire molto male.

    E 9 volte su 10 è l’uomo a commettere delle violenze gravi sul partner e sui figli.

  • Di (---.---.---.182) 7 febbraio 2015 09:22

    Mi permetto un commento: non conoscevo la storia, ringrazio per averne parlato. Se ho letto bene, il bambino è morto nel 2009, prima dell’introduzione della legge sugli atti persecutori. Immagino che questo spieghi la superficialità con la quale sono stati valutati i rischi denunciati dalla madre: le minacce e altre forme di violenza privata sono reati blandamente sanzionati e spesso sottovalutati fino alla commissione del fattaccio. Non è un caso che sia stato introdotto il reato di stalking, tragedie come queste sono avvenute troppo spesso in passato.
    C’è però da fare un commento fastidioso: la superficialità con cui vengono trattati certi casi può essere in parte (ripeto, solo in parte) giustificata dalla superficialità con la quale molte persone, spesso donne, abusano del ricorso a denunce penali per vendicare delusioni amorose o facilitare pratiche di divorzio e affidamento dei bambini. Le statistiche di false denunce per stalking parlano chiaro, molta gente accusa falsamente qualcun altro di persecuzioni e a causa di questi comportamenti a dir poco infantili capita che poi le situazioni serie, gravi, possano essere sottovalutate. Ovvio che su 100 denunce false possa capitare il caso che poi a posteriori si riveli reale, e si scopre a danno fatto, e in quel caso si tuona contro la giustizia che ha sottovalutato i segnali di allarme... però gli altri 99 casi in cui effettivamente qualche innocente era stato falsamente accusato? Quelli non finiscono sui giornali, restano solo nelle statistiche.
    La superficialità che poi porta a sottovalutare queste situazioni andrebbe estesa anche a chi considera la giustizia non come uno strumento di tutela della propria persona e della collettività, ma come un mezzo per farla pagare a qualcuno...
    So che il mio commento può risultare antipatico, ma la favola del ragazzo che urlava al lupo al lupo non l’ho inventata io, è tristemente vera e andrebbe sempre tenuta di monito.

    • Di (---.---.---.239) 22 febbraio 2015 00:36

      Giusto una riflessione, breve ma da non sotovalutare.Si parla molto di denunce strumentali in separazione giudiziale, ma io non ci credo.Credo che se una donna ha accanto un buon marito, un buon padre per i suoi figli e avendolo sposato crede nel rapporto, difficilmente, vista la rarità di uomini con simili caratteristiche, se lo lasci scappare.Spesso le denunce non vengono presentate durante l’ unione coniugale, poichè le vittime di violenza fisica, lo sono automaticamente anche di violenza psicologica.Si rimane come irretite in un complesso sistema in cui frustrazione, disorientammento, rabbia, perdita della lucidità e della stabilità, della riflessività, insomma in uno stato inibitorio in cui ci si sente totalmente smarrite, con alternanza di pensiero lucido e razionale che viene soppiantato da false speranze,sentimenti e promesse vane di cambiamento.L’aguzzino infatti,non è stabile.L’aguzzino ti picchia a sangue e poi ti chiede aiuto implorando il tuo perdono.Ti accusa di ciò che gli hai fatto comettere e ti discolpa un secondo dopo chiedendoti di accompagnarlo da uno psichiatra.Solo quando l’amore cessa e resta la razionalità, ci si rende conto di aver sbagliato a non denunciare e spesso è troppo tardi, perchè a sorpresa l’aguzzino sferra la sua ultima arma per colpirti: colpisce il tuo bene maggiore ossia la prole.Ormai ti ha persa e non può più ferirti in via diretta, ma lo fa e come.A questo punto denunci, senza indugio,poichè ti tocccano i figli, perchè ti convinci che hai sbagliato a non denunciare quando il male era rivolto solo a te, perchè pensi che denunciare vuol dire chiedere ed ottenere tutela,perchè avendo smesso l’amore e recuperato il senno riesci a vedere in modo non sentimentale o illusorio la realtà. Non va così purtroppo, la tutela non c’è ne per i figli ,ne per te. A quel punto, ti trovi difronte ad un altro mostro, ad un ulteriore violenza.La prassi ormai consolidata è che gli psicologi, i consulenti, i servizi non ti credono poichè a parer loro se la denuncia non fosse strumentale, la avresti presentata prima della separazione, all’epoca dei fatti.Soprattutto se sono i figli ad aver subito dopo la separazione e te lo confidano e tu sai che è plausibile il loro racconto perchè conosci l’aguzzino, perchè sai distinguere negli occhi di tuo figlio la sincerità, li subentra il giudizio su di te. Diventi documentalmente inattendibile,madre malevola, istrionica,seduttivo manipolativa, autrice di mobbing genitoriale e tuo figlio diventa vittima del conflitto di lealtà, per tanto la sua denuncia anch’essa inattendibile. Cosicchè spesso sulla base di queste consulenze tecniche ,l’aguzzino viene prosciolto e le associazioni degli"aguzzini"separati, riportano dati basati su statistiche composte da questi innumerevoli casi sommati a quelli in cui le vittime per paura ritirano la denuncia se il reato è procedibile su querela di parte.Nelle statistiche ovviamente rientreranno per certo alcuni casi di falsa denuncia, ma viste le prassi definite "buone"dai forensi,credo un numero minimale.Per cui attenzione quando si toccano certi temi, si rischia di divenire complici degli aguzzini, con tale disinformazione.Del resto mi chiedo come mai , se veramente ci fossero tante false denuncie,per ogn’una di queste non ce ne sia una verso presunte madri calunniatrici e autrici di plagio sui minori!!!!Sarà mica perchè l’imputato può rendere dichiarazioni sempre in ogni stato e grado del procedimento, chiarire e far emergere la realtà!!??Attenzione con questi dati strumentali, si rischia di sporcarsi inconsapevolmente la coscienza di agiti delittuosi verso vittime innocenti: i bambini.

  • Di Damiano Mazzotti (---.---.---.171) 8 febbraio 2015 17:21
    Damiano Mazzotti

    Condivivo pienamente l’ultima opinioni del lettore 182. Oramai le forze di polizia e i magistrati sono sommersi da segnalazioni di tutti i generi e di tutti i livelli di gravità, soprattutto in Italia, dove si scarica sui tribuli ogni tipo di vicenda privata, relazionale e di cattivo vicinato.

    Siamo uno dei popoli più litigiosi del mondo, altrimenti non esisterebbe il numero di avvocati tra i più alti del mondo.

  • Di Doriana Goracci (---.---.---.65) 24 marzo 2015 19:41
    Doriana Goracci

    Antonella Penati​, la mamma di Federico Barakat, il bimbo di 8 anni ucciso dal padre durante un colloquio protetto nella sede dei servizi sociali, a dispetto di una sentenza della Corte di Cassazione del 27 gennaio, che ha assolto tutti gli operatori (due assistenti sociali e un educatore) coinvolti nella vicenda,è decisa a proseguire la sua battaglia, affinché questo caso non venga dimenticato: «Federico è una vittima che non ha avuto giustizia, dietro la sua morte ci sono l’orrore e l’incapacità di gestire i conflitti. Io non cerco vendetta, solo verità. I bambini meritano di essere protetti . Uno Stato che non protegge i bambini non è uno Stato di diritto. Antonella Penati, ha anche fondato la onlus “Federico nel Cuore” Dalla parte di Antonella Penati si è schierato anche il premio Nobel e attore Dario Fo, che afferma: «Chi non protegge deve essere punito. Perché nessuno può far parte di una società che non si prende cura dei propri figli».Doriana Goracci

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