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Facce di colesterolo

Ho scoperto da poco di essere affetto da sindrome metabolica. Quando mi venne comunicato dal medico del reparto ospedaliero in cui ero ricoverato sentii l'accenno di un mancamento. Subito mi chiesi in cosa consistesse questa terribile malattia che mi aveva costretto d'urgenza su un letto d'ospedale. Domandai con un filo di voce: «Dottore, mi dica, è molto grave?». «No» rispose il medico. Lì per lì mi sentii sollevato, ma il monosillabo era stato fatto seguire da una prolungata e teatrale pausa accompagnata dallo sguardo severo indirizzatomi attraverso la parte alta delle lenti bifocali di un antiquato modello d'occhiali. 

Proseguì: «Si tratta di tre malanni, ipertensione, ipercolesterolemia, iperglicemia, già gravi se presi singolarmente, ben più gravi quando si presentano a braccetto l'uno con l'altro; in quest'ultima evenienza possono causare seri danni, molto peggiori di quello già pesante per il quale è stato ricoverato. Si può arrivare persino a forme invalidanti quando non mortali». Dall'espressione del mio interlocutore, ipotizzai di essere sbiancato in volto mentre il classico brivido mi percorreva la schiena, dall'alto in basso, tanto che il medico si sentì in dovere di pronunciare qualcosa di tranquillizzante, senza riuscire nell'intento. Se ne accorse, al che tossicchiò abbozzando un sorriso forzato nel dire: «Suvvia, ora non si abbatta. Stavolta le è andata abbastanza bene; cerchi di fare in modo che l'evento non si ripeta. Dipende solo da lei».

Da quel momento l'espressione "dipende solo da lei" divenne il leitmotiv di tutti gli specialisti sul cui lettino mi ritrovai disteso. Altro concetto ribadito a più riprese da tutti loro fu il consiglio (forse si trattava d'intimazione) a "cambiare stile di vita". Compresi appieno il significato di tale concetto quando il dietologo elencò cibi e bevande tassativamente vietati. È superfluo rimarcare che i divieti riguardavano tutto, ma proprio tutto o quasi, ciò che aveva allietato la mia tavola sino a poche settimane prima. Dovevo, in sintesi, sottopormi a una dieta a metà strada tra quella di un famelico ruminante e di un parco carnivoro. Mi è stato concesso, però, un giorno alla settimana di "pasto libero" col seguente avvertimento: «Si prenda pure qualche licenza, ma sempre entro certi limiti». Il cambio di stile di vita non si fermava alla tavola; le unanimi raccomandazioni degli specialisti calcavano particolarmente l'accento sull'attività fisica, indispensabile, indicando la camminata veloce tra gli esercizi da preferire.

Deciso a rispettare i consigli, eccomi dunque intento a girare per negozi specializzati in abbigliamento sportivo. Nessun problema nell'acquisto di alcune canadesi (così dalle mie parti vengono definite le tute da ginnastica). Qualche difficoltà, invece, per le calzature. Entrato nel negozio, mi guardo intorno: pareti intere tappezzate di scarpe dai colori più fantasiosi. Spaesato, vengo avvicinato da una giovane commessa sorridente accortasi delle mie difficoltà. La ragazza domanda a quali categorie va la mia preferenza. Rispondo che ne gradirei un paio comodo. La giovane sorride e un po' imbarazzata replica: «Sono tutte comode, signore; intendevo chiederle se è interessato alle sneakers, alle scarpe da trekking, oppure da tennis, da running, da calcetto o altro». La figuraccia è fatta. Neppure tento di bluffare indicando una categoria a sorte anche perché le uniche da me conosciute sono le scarpette da calcio, ma non è il caso di andare in giro per i viali e i lungomare con i tacchetti sotto le suole. Oramai senza remore, sparo: «Ne cerco un paio per la camminata veloce». La ragazza si gira dandomi la schiena e sforzandosi di reprimere una risata. «Mi segua», riesce a sussurrare.

L'indomani mattina faccio il mio esordio salutistico indossando la canadese nera e panna e le sneakers grigio-bianche da passeggiata veloce, con le stringhe color panna abbinate alla tuta. Mi rendo conto da subito di essere in buona compagnia. Il lungomare e il parco cittadino sono zeppi di gente intenta a camminare, correre, fare stretching e altri per me improbabili esercizi fisici. L'innata propensione a catalogare il prossimo a seconda delle caratteristiche di volta in volta peculiari mi porta a stilare una sorta di tabella mentale nelle cui caselle collocare ogni singolo personaggio incrociato. Ecco allora la categoria dei giovani aitanti e nerboruti intenti a gareggiare tra loro mostrando braccia e gambe muscolose con annessi tatuaggi messi in evidenza da oli brillanti e da canottiere stringate. A volte viene da domandarsi come costoro impieghino il proprio tempo a parte quello utilizzato per farsi tatuare ogni sorta d'immagine e bombarsi con chissà quali sostanze per il solo scopo di mostrare in pubblico il proprio corpo; il perché non è dato conoscere. Poi ci sono gli atleti veri, pochi, di quelli che ancora esercitano o che, terminata la fase agonistica, ci tengono a mantenersi in forma. Li riconosci dallo stile impeccabile e dalla meticolosità che trasuda, e non solo quella, dai movimenti armonici. Seguono, non solo in senso figurato, gli emuli di questi ultimi. Loro ci provano, ma lo stile li tradisce. L'unico elemento ad accomunarli è la quantità di sudore impregnato nelle magliette.

Infine, ci sono loro, i miei colleghi, le facce di colesterolo. Coloro ai quali i medici hanno consigliato di svolgere attività fisica (la camminata veloce) per contrastare i propri mali. Sono riconoscibili al volo, senza ombra di dubbio. Hanno stampata sul volto l'espressione da sindrome metabolica: sguardo accigliato, a volte torvo; respiro spesso affannoso che non si capisce se sia voluto per arieggiare i polmoni o sia solo un continuo sbuffo scocciato, o entrambi; andatura incerta col petto proteso in avanti nel vano tentativo di agevolare l'avanzata del resto del corpo; abbigliamento spesso approssimativo, soprattutto nei neofiti; in non rari casi, rotoli di adipe che, non tenuti a bada da alcuna fascia del Dr. Gibaud, ballonzolano liberi sotto magliette e pantaloncini. Sembra proprio che il livello elevato del colesterolo non sia dissimulabile. Si comprende subito chi ha la... sindrome.

Ora mi appello a voi, colleghi di sindrome metabolica. Lo so, è una gran scocciatura uscire da casa giornalmente per rispettare la prescrizione medica, che sia sereno o piova, che il vento sferzi le nostre orecchie o il sole le arrostisca. Com'era piacevole e appagante la sedentarietà! Pazienza. Ma dato che siamo costretti ad incrociarci giornalmente, almeno eliminiamo dal nostro volto quella espressione seccata e negativa e scambiamoci un sorriso complice. Forse ciò non allevierà i nostri sforzi, ma di certo contribuirà a farci sentire un po' meglio. Se d'ora in poi mi vedrete sorridervi sappiate che non sto ironizzando su di voi.

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