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Europa, America ed Asia: perdono tutte le borse. Chi vince?

A determinare l'ondata di pessimismo globale che, in questo periodo, sta sconvolgendo i mercati (ieri, dopo che è affondata Wall Street sono andate a picco anche le borse asiatiche) contribuiscono proprio le decisioni prese dai più severi custodi dell’ortodossia capitalista.

Vince l'idiozia.

La multiforme idiozia del capitalismo; un'ideologia che dovrebbe essere ancor più morta e sepolta del comunismo, ma che, per la sua apparente naturalezza, perché si appella agli istinti del maschio della nostra specie senza richiedere nessuna educazione o convinzione in un ideale, è ancora viva e vegeta.

Basta dare un'occhiata a quel che succede sui mercati per comprendere che é in atto un doppio colossale movimento di capitali, una doppia fuga causata, prima che da questo o quello speculatore, da un pessimismo tutt'altro che irragionevole. Uno di questi movimenti avviene in direzione dei beni rifugio; toccano quote inaudite, in questi giorni, l'oro, gli altri metalli preziosi e il franco svizzero che, al pari di questi, è considerato un porto sicuro dove rifugiare i propri capitali. L'altro movimento, o meglio l'altra fuga, porta gli investitori a fuggire dal mercato azionario per cercare salvezza nei titoli di stato, in particolare statunitensi, i cui rendimenti sono in netta discesa.

Vi è, insomma, il più completo pessimismo sul futuro dell'economia reale.

Gli operatori si aspettano che la crisi economica stia per avere una recrudescenza, che i fatturati e gli utili delle aziende stiano per subire una contrazione, e anticipano il prevedibile calo dei dividenti azionari scegliendo investimenti diversi da quello in borsa o essendo disposti a pagare meno per aziende che prevedono debbano, nel prossimo futuro, guadagnare meno. Tutto qui; gli altri discorsi di cui sono farcite le cronache economiche di questi giorni, le elucubrazioni sulla speculazione, sul comportamento di cinesi, indiani e marziani, hanno un importanza del tutto relativa.

A determinare quest’ondata di pessimismo globale (mentre affonda Wall Street vanno a picco anche le borse asiatiche) contribuiscono, invece, proprio le decisioni prese dai più severi custodi dell’ortodossia capitalista.

Cito spesso un esile libretto di Bertrand Russell, "Philosophy and Politics", che ho scoperto essere poco conosciuto in Italia. Il filosofo vi sostiene che le ideologie, tutte le ideologie, siano inadatte a governare il mondo perché propongono ricette preconfezionate ai problemi di una realtà sempre mutevole.

Obbedendo all’ideologia, insomma, si finisce spesso per combinare dei disastri.

E un disastro è quello che è stato combinato dalla destra americana con il suo comportamento durante la discussione sull’innalzamento del tetto del debito USA.

Nessuno sa quanto grave sarà la contrazione dei consumi di cui già si avvertono forti segnali; quel che tutti sanno con certezza è che ora non ci si può aspettare più alcun intervento pubblico in sostegno all’economia. Che, data l’impossibilità di fare altri debiti, i governi non potranno mettere in atto alcuna misura a sostegno della domanda; che non vi potrà essere nessun programma di lavori pubblici per stimolare la crescita.

Che non vi sarà nessuna nuova Tennessee Valley Administration e nessun New Deal.

Gli Stati Uniti dei Tea Party, insomma, come per altri versi l’Europa della BCE, dopo aver fatto carta straccia delle lezioni di John Maynard Keynes, affronteranno la seconda parte della crisi armate degli stessi strumenti con cui fu affrontata la crisi del 1929 da Herbert Hoover e dalla sua amministrazione; si troveranno, con le mani legate dietro la schiena, di fronte ad una tigre.

E gli speculatori, chi sono? Sono tutti quelli che, chissà perché, scommettono sulla tigre.

Chiamali stupidi.

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