Eterologa, le linee guida le dettano i governatori
Quanto accaduto a Roma il 3 settembre scorso potrebbe sembrare una sorta di federalismo al contrario, dove invece di rivendicare autonomia per sé le Regioni si coordinano per fare quello che dovrebbe fare lo Stato: stabilire delle regole comuni, valide su tutto il territorio nazionale. In questo caso la sede era quella della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, mentre il tema in discussione era la fecondazione eterologa, il cui divieto è stato bocciato dalla Corte costituzionale: da quel momento è diventata una vera spina nel fianco della ministra Beatrice Lorenzin. Subito dopo la sentenza della Consulta, infatti, la ministra aveva diffidato le cliniche dall’erogare la prestazione prima del varo da parte del governo di un apposito decreto di regolamentazione, salvo in seguito prendere atto del fatto che il governo non ha nessuna intenzione di mettere a rischio la tenuta della maggioranza per un tema così controverso. L’ipotesi di un semplice decreto ministeriale non è mai stata presa in considerazione. E non se ne capisce il motivo.
In sintesi la situazione venutasi a creare non era delle migliori. Da un lato, come sottolineato da tutti i giuristi e confermato da una sentenza del Tribunale di Bologna, le cliniche accreditate per erogare prestazioni di procreazione assistita possono utilizzare da subito sia la tecnica omologa che quella eterologa, con buona pace dei sostenitori del “fermi tutti”. Dall’altro, l’assenza di una regolamentazione nazionale, che visto il forfait del governo dovrebbe essere varata dal Parlamento, rischia di portare a differenze anche notevoli nelle modalità di erogazione da un angolo all’altro del paese. E si sa che il Parlamento non è certo un esempio di rapidità, quindi questa situazione sarebbe stata destinata a perdurare per un bel po’ di tempo. Così i governatori di Regione hanno pensato bene di lavorare per convergere su una posizione comune, e hanno convocato in tempi rapidi una Conferenza straordinaria per discutere la bozza messa a punto da una commissione tecnica. Il risultato è a dir poco sorprendente: il documento finale è stato approvato all’unanimità e adesso dovrà essere recepito da ogni Regione con una propria deliberazione.
Particolarmente soddisfatta la Toscana, che aveva fatto da apripista con l’approvazione di una delibera ad hoc i cui contenuti sono stati in larga parte ripresi nell’accordo tra le Regioni. Emilia-Romagna e Liguria dovrebbero recepire l’accordo in questi giorni, seguiti a breve distanza dal Piemonte, dalla Lombardia e poi da tutte le altre. Qualche preoccupazione rimane per quanto riguarda il tema dei costi, perché non essendo questo un trattamento previsto nei Lea (livelli essenziali di assistenza) non può ancora esserci un impegno di spesa nazionale, e quindi le Regioni dovranno farsene carico loro o erogarlo senza alcun tipo di contribuzione. Per questo Roberto Maroni vorrebbe che vi fosse una linea comune tra le Regioni anche per quanto riguarda l’aspetto economico, ma ribadisce che comunque la Giunta lombarda dovrebbe varare la sua delibera alla fine della settimana. Decisamente esplicito il commento dell’altro governatore leghista, il veneto Luca Zaia che, intervistato da L’Espresso,ha definito “puttanata” il paventato rischio di deriva eugenetica.
La stessa presidente della Camera, Laura Boldrini, ha elogiato i governatori per l’ottimo lavoro svolto dicendo «non mi sembra che ci sia un vacuum legislativo» e aggiungendo che «è stata posta fine a una discriminazione».
Naturalmente il clima di soddisfazione non è affatto generale, qualcuno che l’ha presa maluccio effettivamente c’è. La stessa Lorenzin, cercando di fare buon viso a cattiva sorte, aveva detto a caldo «è un bene che le Regioni trovino un accordo», ma già nelle ore successive si sfogava in un’intervista rilasciata al quotidiano dei vescovi Avvenire dicendosi “non serena” perché prima dei dibattiti ideologici ci sono persone che non sono tutelate.
Già la premessa non convince per nulla perché sembra piuttosto che le cose stiano all’esatto contrario, ovvero che ci siano delle tutele e l’intenzione di cancellarle per ragioni ideologiche. La preoccupazione principale della ministra riguarda il fatto che quelle dell’accordo non sono linee guida perché non vincolano nessuno ad osservarle. Vero in parte, perché di fatto le Regioni hanno preso un impegno e sulla base di questo approveranno delibere valide, e quindi vincolanti, all’interno del territorio di competenza. Decisamente meglio che non avere nessun tipo di regolamentazione, com’è allo stato attuale. Poi, per la ministra senza norme nazionali non solo non è possibile l’inserimento nei Lea, e di questo abbiamo parlato sopra, ma non può esserci nemmeno un registro dei donatori, con conseguente criticità per le garanzie sanitarie e con il rischio che un donatore potrebbe superare il suo limite personale recandosi in più Regioni e dichiarando falsamente di non aver mai donato altrove. Bé, se questo è il problema siamo messi benissimo, perché intanto le garanzie sanitarie sono comprese nell’accordo, e poi perché se è vero che adesso sono previsti dei limiti per i donatori, pur validi solo a livello regionale, è altrettanto vero che senza accordo non c’erano nemmeno questi.
Tra le voci fuori dal coro, almeno da parte istituzionale, spicca anche quella di Paola Binetti. In un suo articolo pubblicato da ilsussidiario.net la deputata dell’Udc, già teodem nelle file del Pd, punta il dito sulla “sorprendente accelerazione” delle Regioni, che “sembra non abbiano sentito alcun bisogno di una legge di iniziativa parlamentare”, rispondente (l’accelerazione) a criteri che sfuggono sia a “chi chiede una semplificazione della legge sulle adozioni”, e qui il riferimento è a Gian Antonio Stella, che a “chi ha proposto una legge sul sostegno alla natalità”. Cioè a lei. Eppure i criteri alla base della necessità di accorciare i tempi sono di una semplicità disarmante, ma proviamo comunque a spiegar(glie)lo nel modo più elementare possibile.
1) Tribunali e giuristi hanno ripetuto alla nausea che i centri per la PMA sono pienamente legittimati a operare;
2) il governo non ha voluto provvedere in merito e quindi si attende un’iniziativa del Parlamento;
3) per arrivare a una legge ci vorranno come minimo dei mesi, più verosimilmente degli anni. Con queste premesse ci sono due sole possibilità: mettersi dalla parte delle persone e cercare di dare nell’attesa un minimo di regolamentazione, oppure mettersi dalla parte di chi si appella a principi non negoziabili e lasciare che si navighi a vista. I governatori hanno scelto di stare dalla parte delle persone. Lei, onorevole Binetti, da quale parte sta?
Probabilmente dalla stessa parte in cui sta monsignor Galantino, attuale segretario generale della Cei, che in mancanza di pretesti migliori si lamenta della volontà di giustificare una selezione. “Perché è inutile dire che questa non sia una selezione”, afferma. Per Galantino la distinzione tra le coppie che chiedono l’eterologa e quelle che adottano è “assolutamente ingiustificata”, non è possibile affermare che le prime ambiscano a un processo riproduttivo della genitorialità mentre le seconde avrebbero solo finalità assistenziali e solidaristiche, di conseguenza la previsione della ricerca della compatibilità fenotipica per le prime è sbagliata per il semplice motivo che non viene concessa anche alle seconde. A noi sembra evidente che si tratta di due cose diverse, e che diverse sono le motivazioni che spingono una coppia a scegliere l’una piuttosto che l’altra soluzione. Basta dire che chi sceglie l’eterologa, a differenza di chi adotta, vive anche le fasi della gravidanza e della nascita, o è necessario aggiungere altro?
«Nessuno è padrone di nessuno, nemmeno i genitori sono padroni dei loro figli» dice Galantino, e questo chiarisce perfettamente la posizione sua e della Chiesa cattolica. Già, perché secondo il catechismo cattolico “divenuto membro della Chiesa, il battezzato non appartiene più a se stesso”, ma “a colui che è morto e risuscitato per noi”. Ma basta evitare il battesimo per risolvere il problema alla radice.
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