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Erdoğan-Asad, presidenti guerrieri

Erdoğan minaccia un’imminente operazione militare a Idlib, la zona ribelle anti Asad che quest’ultimo vuole sbaragliare per completare la riconquista del nord della Siria. Ovviamente di quel territorio dove il suo esercito - aiutato via terra dai pasdaran iraniani, via aria dall’aviazione russa - ha negli ultimi quattro anni stroncato gli ampi focolai jihadisti. 

Nella mappa provvisoria d’un Paese frantumato c’è pure l’area di nord-est dove insistono le Forze Democratiche Siriane, l’alleanza kurdo-araba che s’è opposta al governo di Asad. E le famose enclavi del Rojava, spazzate via dall’invasione turca dell’autunno scorso. L’esercito di Ankara, con l’accordo a due stabilito fra Erdoğan e Putin, ha occupato con cingolati e autoblindo le pianure di Afrin, Tal Abyad, Ras al-Ain. Il mondo ha visto la protervia e il cinismo con cui i potenti decidevano di scacciare gli abitanti del luogo e azzerare l’esperimento di autogoverno democratico che lo caratterizzava da oltre cinque anni. La zona di sicurezza contro il “pericolo terrorismo” non era altro che un’espansione turca a danno degli odiati kurdi. Popolo non amato neppure dal penzolante governo di Damasco, in questi anni di crisi e conflitto a tutto campo salvato da alleati interessati e da strategie geopolitiche che in Medio Oriente promuovono uomini e governi forti per contrastare stravolgimenti socio-politici.

La guerra contro i civili è l’aspetto più odioso che il mondo politico ha avuto sotto gli occhi, restando fermo. Con organismi internazionali (Nazioni Unite) impotenti, talune superpotenze disinteressate o incapaci di agire (Stati Uniti e Unione Europea), altre (Russia) interessatissime e attivissime, come certi Paesi che incarnano una supremazia regionale sempre più in punta di missile o di Jihad (Turchia, Iran, Arabia Saudita). I civili, a milioni, sono restati solo bersagli. Per eccidi che proseguono da tempo, rivolti non solo e tanto ai combattenti, bensì a coloro che avevano la sfortuna di abitare in quei luoghi da generazioni. Costoro hanno subìto deportazioni, talune indotte, altre scelte da sé per salvare la pelle. In tanti non ce l’hanno fatta e continuano a non farcela. Solo in questi cinquanta giorni del 2020, trecento civili sono morti sotto le bombe dei lealisti di Asad che puntano a occupare Idlib. Non sapevano dove fuggire. Né gli strateghi della morte hanno consentito lo sgombero di certi teatri di scontro. Nella regione di Idlib quasi un milione di oggettivi profughi sono accalcati in campi predisposti dall’Unhcr, e da settimane assediati anche da una morsa di gelo, che di per sé ha provocato vittime e malati cronici fra bambini e anziani. Nel personale piano di pseudo legittimità e supremazia i presidenti guerrieri se ne infischiano di tutto ciò e sulla testa della gente che dicono di difendere, continuano a decretarne la morte.

Enrico Campofreda 

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