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Emergenza sicurezza. Un’indagine sulle bolle mediatiche

Emergenza come attività continua di costruzione dei sensi da parte dei media. Le ricerche presentate da Nizzoli e Diamanti aprono al campo d’analisi sulle bolle mediatiche.

Dai numerosi riscontri emersi durante la presentazione della ricerca sulla sicurezza in Italia condotta dal Professor Antonio Nizzoli, consulente ed esperto dell’Osservatorio di Pavia, ho avuto l’opportunità di raccogliere una serie di dati che hanno interessato nel corso dell’ultimo decennio e che interessano a tutt’oggi le dinamiche della comunicazione mediatica in Italia.

Partendo dall’introduzione del Professor Ilvo Diamanti, che ha messo fin da subito in relazione le diverse dimensioni dell’opinione pubblica, suddivise in presunta realtà, percezione della realtà e rappresentazione della realtà, è stato possibile ricostruire il campo d’indagine sotto la prospettiva dell’asse della sicurezza personale.

In tutti i sistemi democratici occidentali si vive in un clima di campagna elettorale permanente, in cui la ricerca del consenso è continua e costante. In particolare, dalla seconda metà degli anni 2000 il tema della sicurezza è diventato l’agenda setting dei principali attori mediatici italiani.

Ma sarebbe approssimativo parlare di sicurezza senza prima contestualizzarne il campo d’analisi. Esistono tre diverse classificazioni di sicurezza: la sicurezza di tipo sociale, come ad esempio il settore previdenziale e delle pensioni, la sicurezza che riguarda l’incolumità personale, a cui risponde il caso dell’emergenza criminalità (qui va osservato che al crescere della paura economica cala quella dell’incolumità) e infine la sicurezza ontologica, ovvero la paura indistinta. Quest’ultima va ricollegata alle dinamiche della globalizzazione, trattandosi di una paura globale e generale, riassumibile nel concetto che “tutto quello che avviene nel resto del mondo avviene anche qui”.

Dal punto di vista della rappresentazione mediatica, i dati trasmessi sulla sicurezza dalle principali emittenti televisive appaiono discutibili. Come hanno sottolineato le ricerche di alcuni etnometodologi americani, la raffigurazione della realtà va collegata al modo e all’intensità con cui gli individui comunicano nelle relazioni interpersonali. Ne è l’emblema il caso degli stupri. Il fatto che in un determinato momento l’emergenza delle violenze sessuali scompaiano dall’attenzione dei media significa davvero che certi reati non si compiano più? La risposta negativa è scontata, soprattutto alla luce dei dati pubblicati da alcuni indicatori sociali, secondo i quali peraltro l’80% delle violenze sessuali vengono compiute in ambienti familiari.

Le ricerche pubblicate dall’Osservatorio di Pavia mostrano dei dati paradigmatici. Tra il 2007 e il 2008 i temi economici erano messi in secondo piano per lasciare spazio alle questioni pertinenti alla sicurezza personale, che assumevano un collegamento diretto con l’argomento dell’immigrazione. In particolare, il picco del legame tra criminalità e immigrazione si è registrato nel 2005, quando ogni edizione dei sei telegiornali presi in esame conteneva almeno una o due notizie relative ad episodi di violenze sessuali. Da questo presupposto è facilmente intuibile quale fosse l’effetto della rappresentazione della criminalità sulla percezione della gente. In Italia, nel 2005 stava per partire la campagna elettorale delle elezioni politiche e nel 2007-2008 c’era un governo di centrosinistra. Non è difficile immaginare quali siano le matrici che muovono l’asse della sicurezza personale: tanto più l’accento dell’emergenza viene posto sulla sicurezza nazionale, tanto più favorisce la destra. In questo caso è interessante osservare come i telegionali italiani, da quelli più politicizzati a quelli più istituzionali, avessero di gran lunga superato le principali emittenti europee nella diffusione di notizie sulla criminalità, nonostante in altri paesi l’emergenza della sicurezza fosse rinomatamente più accentuata.

Nel 2010 c’è stata un’altra esplosione mediatica, raccolta sotto l’epiteto dello “scazzismo” (si ricordi il delitto di Sara Scazzi), in cui le notizie dei delitti domestici e familiari occupavano le piattaforme televisive con programmi di approfondimento corredati dalle testimonianze di esperti psicoterapeuti e “opinionisti” che contribuivano ad alimentare il mercato mediatico delle notizie. Come ha osservato Diamanti, solo in Italia i delitti durano per tanti anni. Dietro ad un tale dato di fatto rientra sicuramente la rinomata passione italiana per il melodramma, l’unica ragione che spiega come un problema sociale possa diventare mediaticamente attraente.

Tra le altre “bolle mediatiche” illustrate nel corso della presentazione, tra quelle che si ripropongono ciclicamente vanno segnalate l’emergenza funghi tossici e l’allarme delle aggressioni dei pittbull, risponde maggiormente agli ordini dell’attualità la serie di suicidi degli imprenditori del Nord-Est, registrata nella primavera del 2012. In quel periodo seguivo l’Italia da Bruxelles e le notizie che giungevano dalle varie rassegne giornalistiche appariva alquanto inquientante. Ad oggi si parla di 190 imprenditori morti nel lasso di tempo in questione. Un numero sicuramente preoccupante, ma che, se raffrontato sul totale della popolazione italiana, non può di certo dare origine ad una crisi sociale. L’unica crisi che permane è quella economica, dalla quale si manifesta quella legata all’insicurezza generale che, se riproposta in un momento in cui la suscettibilità delle persone è particolarmente incline alla paura ontologica, può destinare all’esperienza dei media la costruzione dell’agenda setting.

Resta a questo punto da capire che cosa sia realmente l’emergenza. Per comprenderlo occorre forse riguardarsi il film di Christopher Monger, L’inglese che salì la collina e scese da una montagna (The Englishman Who went up a hill but came down a mountain), in cui due cartografi inglesi (interpretati da Hugh Grant e Ian McNeice) scoprono che Ffynnon Garw, “la prima montagna del Galles” e orgoglio locale, misura 984 piedi, 1,5 (mezzo metro) in meno per essere classificata come montagna, oltraggiando irrimediabilmente la fierezza dei gallesi che complotteranno per ritardare la partenza dei due cartografi con il fine di elevare artificialmente la vetta della loro collina per renderla appunto più alta del richiesto. Morale della favola, i due cartografi resteranno ostaggi del villaggio fino a quando non si decideranno ad assecondare il campanilismo locale dichiarando che quella di Taff’s Well è in realtà una montagna e non una semplice collina. Forse proprio in questa parafrasi sta il significato di tutto: l’emergenza è un’attività di continua costruzione dei sensi.

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