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El Cabesa, Corrida # 19

L’unico racconto pubblicato a puntate sulla rete che è un po’ come la vita: si sa quando e come inizia, ma non si sa mai bene dove vada a finire.

Barcellona non era troppo accogliente nel suo caldo vestito che puzzava di umori e di feci. Il sudore si mescolava con una nauseante puzza di alcool sui vestiti della gente, e tuttavia, tutto questo si agitava in balli e grida a perdifiato. La gente si ritrovava a vestire i propri abiti che teneva soffocati negli armadi a impolverarsi per un intero anno e dava sfogo a tutti i propri istinti.

Non riuscivo ad ambientarmi, mi sentivo spaesato, mi girava la testa. Pensai che fosse il caldo, e per questo mi rifugiai in una taverna dall’aspetto fresco, non conoscendo le leggi della fiesta, per cui se entri bevi, e se non hai da pagare, c’è chi ti offre.
E’ così che conobbi un signore di cui non ricordo il nome, trasandato e sciatto un po’ come tutti durante la fiesta, daglia biti contadini ed i pensieri non troppo profondi che lasciava dilagare nell’aria con ampi rutti e gorgheggii della giugulare. All’inizio non mi faceva ridere, mi metteva solo a disagio, il volume dei suoi celestiali canti era direttamente proporzionale al suo nauseabondo odore. Solo che, ugualmente, vuoi per la solitudine, o perchè il vino della fiesta piomba nella tua testa come un cavalleria, senza darti modo di ragionare, mi ubriacai con lui.

Non ricordo bene.
Non saprei spiegarlo.
Solo che un po’ dopo, minuti, ore o non saprei, anche un giorno, ero lì.
A vedere la mia prima Corrida.
Me ne resi conto dopo un bel po’, quando la lotta si fece cruenta, del prima mi ricordo solo alcuni fotogrammi, come da restaurare, svaniti nei colori e dai toni spenti. Le damigelle eleganti e le signorotte, nei palchi della borghesia, ad agitare l’aria con i lunghi ventagli, come a smuovere di torno le circostanze e la plebaglia puzzolente. E da questa parte, invece, la plebaglia, che urla, che si ammassa per vedere l’ingresso del toro, che ride, urla, festeggia.

Entrò il toro. E non posso dire che lo riconobbi, no questo no, però ricordo di averlo sentito dire a qualcuno: "E? un gran bel toro, si chiama Ashton primo".


Fu a quel punto che mi svegliai di soprassalto. Non vedevo più nemmeno il signore col quale mi ero ubriacato, forse alla corrida c’ero venuto da solo, seguendo il fiume di gente, forse no, non ha importanza. Mi alzai e lo guardai, era lui, ne ero certo. Poteva essere un omonimo, sapete, molti animali vengono chiamati con lo stesso nome o iniziale, a seconda dell’anno di nascita, ma era lui, ne ero certo. Ashton si trovava davanti alla sua condanna a morte, e non lo sapeva. Ma dal suo ingresso nell’arena tutti capirono subito che questa volta sarebbe stato un duro lavoro per Mauro Candillas "El Cabesa".

El Cabesa era il migliore torero in circolazione, forse il migliore di tutti i tempi, o almeno così sosteneva un signore a torso nudo visibilmente ubriaco. Gridava a squarciagola "El Cabeessaaa!" come le giovani ragazzine gridavano e piangevano strappandosi i capelli vedendo i Beatles. Era il suo eroe, si capiva.
Lo chiamavano El Cabesa per due ragioni. Una intuibile, aveva la testa grossa, a dispetto di un corpo minuto, ma si dice che questo gli conferisse l’aria di persona sapiente. L’altra è che era davvero intelligente, quantomeno nell’arena. Sapeva cosa fare e quando.

El Cabesa era famoso per essere un gran don Giovanni, per saperci fare con l’altro sesso, insomma; era famoso per il suo charme, fuori e dentro l’arena. I suoi movimenti durante la corrida erano passi di danza, volteggiava, al suono di una musica che conosceva solamente lui, che ascoltava, che gli dettava passo per passo, i movimenti. Se la sua arte non fosse stata intrisa di sangue si sarebbe potuto dire che era poetico.
El Cabesa aveva una consuetudine: sfiancava il toro e prima di ucciderlo, con la spada, si inginocchiava davanti alla platea, a raccogliere un fiore. Dopodichè, stringendo il fiore in bocca, improvvisava una specie di tango con il toro, inconscio complice di un palco irriverente.

Io non ero attratto da El Cabesa, nè dal suo charme, nè dal suo fottutissimo tango.

Io semplicemente speravo che quel supplizio non avesse nemmeno inizio, e lo speravo vedendo negli occhi la Ashton che incornava questa piccola merda di ballerino fallito dal nome El Cabesa.


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