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Economia | L’audace piano di Giovanni Tria, bestia nera dei tossici sovrani da spesa pubblica

In audizione davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato, il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, ha tracciato le linee guida del suo programma di politica economica. Ferma restando l’importanza di rilanciare la spesa per investimenti pubblici, il ministro ha suggerito un intervento già proposto in passato da figure che non sono esattamente riconducibili a questa maggioranza.

In audizione davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato, il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, ha tracciato le linee guida del suo programma di politica economica. Ferma restando l’importanza di rilanciare la spesa per investimenti pubblici, il ministro ha suggerito un intervento già proposto in passato da figure che non sono esattamente riconducibili a questa maggioranza.

Di che si tratta? Lo scrive oggi Gianni Trovati sul Sole:

«In sintesi, si tratta di congelare in termini nominali la spesa corrente, interrompendo la sua crescita più meno collegata alla dinamica del Pil a seconda degli anni, per dedicare agli investimenti tutti gli spazi di bilancio. In cifre, dati dell’ultimo Def alla mano, significa evitare un aumento (al netto degli interessi) già previsto per 10,3 miliardi il prossimo anno, e per 33,3 miliardi nel 2019-2021. Guardando solo alla Pa centrale, la sfida è da 3,3 miliardi per il prossimo anno e da 11,8 per i prossimi tre»

Notevole, vero? Sembra di sentir parlare Carlo Cottarelli o Mario Monti. Non sarà affatto semplice, però, col rinnovo di contratto di tre milioni di dipendenti pubblici a dicembre e le pressioni al rialzo della spesa sanitaria, legate all’invecchiamento della popolazione ed ai nuovi farmaci. E non si tratta di spending review in senso stretto, soprattutto. Almeno, non direttamente.

Obiettivo di Tria è quello di liberare risorse per spingere la spesa pubblica in conto capitale e creare una sorta di puntello endogeno alla domanda interna. I dati sono drammatici: negli ultimi dieci anni, la spesa in conto capitale delle amministrazioni pubbliche centrali è calata del 37%, quella degli enti locali si è dimezzata. Serve anche ricordare che il governo Renzi chiese alla Ue la clausola degli investimenti e la sprecò malamente, tra un bonus e l’altro di spesa corrente.

Naturalmente, qui partiamo dalla premessa che la spesa pubblica per investimenti abbia una qualche efficacia, sia deliberata mediante analisi costi-benefici e strettamente monitorata nell’esecuzione. Quasi un mondo platonico. Tra gli altri punti fermi, Tria ha detto di attendersi un rallentamento rispetto alle stime attuali di Pil per fine anno, e di non voler generare un peggioramento del rapporto strutturale deficit-Pil, quello corretto per il ciclo economico. Considerando che per il 2019 quel rapporto dovrebbe scendere allo 0,4% e che per il 2018 è previsto all’1%, la flessibilità massima cercata da Tria è dell’ordine di circa 10 miliardi di euro, evitando misure pro-cicliche in fase di eventuale rallentamento.

Se poi riuscisse a recuperare altri 10 miliardi dal blocco della spesa pubblica nominale, saremmo a 20 miliardi, necessari a coprire il disinnesco delle clausole di salvaguardia e le spese indifferibili. Il resto, come si può leggere sempre sul Sole nel commento di Dino Pesole, potrebbe venire (in quello che ormai è un topos ricorrente) da sforbiciate sulle tax expenditures. Secondo quanto identificato dalla Commissione Maré nel 2017, le agevolazioni fiscali sono pari a 466 misure, per un impatto erosivo di 54 miliardi nel 2018. Se si tagliassero per un 10%, si libererebbero 5 miliardi. Che sono ben pochi ma dovrebbero essere destinati al primo modulo di eventuale revisione delle aliquote Irpef.

Vero che i legastellati insistono con questa demenziale “flat tax multi aliquota”; lo stesso Luigi Di Maio, che quando c’è da fare sfoggio di crassa ignoranza non si tira mai indietro, ha detto che vuole una flat tax che serva ad “aiutare le fasce più deboli” (ed immagino voglia anche l’acqua asciutta ed il ghiaccio bollente, immagino), quindi alla fine si potrebbe pensare di rimodulare le aliquote esistenti; tanto gli italiani ed i loro connazionali giornalisti sono a maggioranza sufficientemente rincoglioniti da comprarsi il concetto di flat tax a più aliquote, e vissero tutti felici e contenti. Manca il reddito di cittadinanza, per dare da mangiare a tutti i tempi determinati a cui non verrà rinnovato il contratto e che scivoleranno nel nero ma poco alla volta si arriverà anche a quello, abbiate fede e non fretta.

A parte ciò, che il Signore o chi per esso protegga Giovanni Tria, nostro ultimo baluardo prima di un devastante attacco speculativo all’Italia sovrana.

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di pv21 (---.---.---.55) 5 luglio 2018 18:42

    Ricorsi >

    Si sta prospettando un’infausta congiuntura tipo quella del novembre 2011.

    Da allora (e nonostante il deprecato regime di “austerità”) il DEBITO è aumentato di altri 400 miliardi. A valle delle decantate riforme “epocali” la disoccupazione sfiora ancora l’11%, i contratti a termine superano i 4 milioni di casi e le famiglie in povertà assoluta sono quasi 2 milioni.

    I TASSI d’interesse sui Titoli pesano oltre il 2,5%, seppur “frenati” da quell’ombrello (QE) della Bce che potrebbe chiudersi a fine anno.

    Così stiamo.


    TOCCA al Ministro dell’Economia Giuseppe TRIA (come a suo tempo Giulio Tremonti) cercare di far “rinviare” in sede di consuntivo le eventuali “misure correttive” già ventilate dalla Commissione UE.

    Intanto è tutto ancora da trovare nel nostro Bilancio lo “spazio” necessario a finanziare quest’anno i “mirabili” interventi promessi per la crescita, per il lavoro e per “cambiare” la vita degli italiani.

    Di sicuro il Ministro TRIA dovrà piantare dei solidi “paletti” per arginare gli “appetiti” delle forze politiche componenti il Governo. Compito tutt’altro che facile viste le Elezioni Europee di maggio 2019.

    Se aggiungiamo le turbolenze internazionali il quadro è completo.


    FINALE.

    Quando ci si affida ai “nuovi” leader carismatici, protagonisti della realtà virtuale, c’è da mettere in conto progetti via via dilazionati e/o misure annacquate. Se dal "contratto" non si scivola verso lo "scontro".

    E sempre che gli operatori finanziari non facciano saltare lo spread. PROPRIO come nel novembre 2011.

    GESTIRE la cosa pubblica ha senso e valore se è preludio di un Ritorno alla Meta

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