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È sempre un attacco all’Europa

L'ultima fase della guerra fredda è stata combattuta solo sui campi dell'economia e della propaganda. Gli stessi su cui è oggi attaccata l'Unione Europea.

Di che parlo? La crisi finanziaria è cominciata dentro il sistema bancario anglosassone; dentro economie, in particolare quella americana, fondate sul debito. In cui, ovunque si guardi, stato, imprese o privati cittadini non si vedono che debiti. In cui, si produce ormai poco di esportabile, a parte una carta moneta che, per la logica, dovrebbe essere ormai inflazionatissima. Basti ricordare che gli ultimi trimestri in cui la bilancia commerciale statunitense ha registrato un saldo positivo datano ai primi anni settanta, per comprendere quanto poco dovrebbe valere il dollaro se non fosse - per ragioni che con l'economia non hanno nulla a che vedere - la moneta degli scambi internazionali e in cui stati ed imprese di tutto il mondo sono costretti a mantenere le proprie riserve. La crisi, però, non è rimasta solo anglosassone neppure per un istante; immediatamente ne sono state contagiate quelle banche dell'Europa Continentale che si erano messe nel portafoglio i prodotti velenosi della finanza americana. Banche che i governi hanno dovuto provvedere a salvare aumentando il proprio debito. Debito che è ancor più cresciuto, in alcuni paesi, per il tentativo di far fronte agli effetti sociali della crisi finanziaria con un aumento della spesa pubblica.

Bene. L'attacco all'Europa, coordinato o meno, pianificato o no, è cominciato a questo punto.

Mentre gli Stati Uniti affrontavano la crisi nel più “sudamericano” dei modi, stampando un diluvio di dollari, non è sulla loro moneta che si sono concentrati i dubbi di una comunità finanziaria internazionale che, guarda caso, ha in New York e Londra le proprie capitali e forma le proprie opinioni grazie a televisioni e giornali statunitensi ed inglesi. A preoccupare, è stata la tenuta dell'Euro. Anzi, Soloni americani e britannici sono arrivati a metterne in dubbio la sopravvivenza nel brevissimo periodo. Di che trasformare in drammatici i problemi che si trascinavano gli stati più indebitati dell'Unione Europea, costretti a ri-finanziarsi a tassi sempre più alti, in una spirale che è arrivata a poco dal distruggere davvero la moneta unica. Debiti che esistevano realmente, quelli italiano, greco e spagnolo, intendiamoci. Conseguenze di scelte sbagliate dei governi e dei cittadini di quei paesi. Debiti di antica data, quelli italiani, fatti in buona sostanza durante gli anni '80, ma da cui nessun governo aveva mai cercato di rientrare, come nessun governo aveva cercato di metter mano alle ormai evidentissime deficienze della Pubblica Amministrazione e del sistema pensionistico. Debiti più recenti, quelli dei greci, che avevano preso l'entrata nell'Euro come una licenza per aumentare indefinitamente la spesa pubblica. Debiti nuovissimi, quelli spagnoli, fatti per salvare il sistema bancario e l'economia dallo scoppio di una bolla immobiliare di cui non si sarebbe dovuta permettere la formazione.

E in tutto questo, cosa c'entrano la cancelliera Merkel e la Germania? C'entrano eccome, per non essere intervenuti prontamente in aiuto della Grecia, la cui salvezza sarebbe costata in fondo ben poco, e per essersi opposti a più decisi interventi della BCE sul mercato dei titoli di stato. C'entrano per la loro (ma non solo loro) insistenza nel rispetto di limiti di bilancio che potrebbero essere sforati senza troppe conseguenze, ma solo dentro quella che i mercati devono percepire come una strategia comune europea per uscire dalla crisi e non come l'ultima mossa di creditori disperati. C'entrano, i tedeschi, ma solo in questo. Non sono stati lesti a mettere mano al portafogli per aiutare i greci e portoghesi (ma siamo sicuri che noi lo avremmo fatto con entusiasmo?) e, portandosi dietro i fantasmi del loro passato, non vogliono sentir parlare di un aumento dei disavanzi. Una posizione su cui si può dissentire, anzi si deve, ma fatta valere dentro istituzioni europee in cui la Germania non ha certo il potere assoluto; nelle quali, per capirci, una risoluta azione franco-italiana, o a maggior ragione franco-italo-spagnola, non potrebbe che prevalere.

Qualcosa che gli italiani, in particolare, sembrano ignorare. I nostri giornali e televisioni, poco ci manca che arrivino a far propria le descrizione dell'Unione Europea come una specie di Quarto Reich che, da sempre, è cara agli anglosassoni. Anglo-americana è anche la visione dell'Euro, come subdolo strumento della dominazione germanica sul continente, che ormai anche da noi va per la maggiore. Un concetto talmente reiterato, che è perfettamente inutile ricordare, per esempio, che dall'introduzione dell'Euro, l'Italia ha mantenuto assai meglio della Germania le proprie quote sui mercati internazionali (la nostra vale l'82% di quella degli anni '90, quella tedesca il 75%) e che i nostri problemi iniziano e finiscono con un mercato interno reso asfittico, ben prima della crisi finanziaria, da miopi politiche di contenimento salariale. I cittadini non lo ricordano, se mai lo hanno saputo. Esattamente come non ricordano dove sia iniziata e come si sia sviluppata la crisi. A gettare loro fumo negli occhi, c'è la parte peggiore della nostra politica. I governi che si sentono in dovere di tirare in ballo l'Europa (per esempio, quando mai ci avrebbe chiesto di abolire l'articolo18?) per giustificare scelte dolorose e a volte non del tutto necessarie e i populisti di ogni colore che si scatenano contro l'Unione Europea per guadagnare attenzione e consensi a dispetto della pochezza delle proprie idee e della miseria dei propri ideali.

Soprattutto, ci sono dei mezzi d'informazione che cavalcano quest'ondata anti-europea. Basti pensare ai titoli di questi giorni. “Renzi a muso duro contro la Merkel”. Una vera e propria idiozia; una legittima presa di posizione del nostro presidente del Consiglio (e avrebbe potuto essere anche ben più decisa) trasformata in uno scontro quasi fisico con il Cancelliere tedesco. E poi? Tutti in trincea sul Carso. “Crisi. Gli italiani affondano e i tedeschi ridono”. Titoli peggio che idioti, per dire che con la crisi i tedeschi hanno speso meno e visto aumentare i propri risparmi, mentre gli italiani sono stati costretti ad intaccarli per mantenere i propri livelli di vita. Una situazione drammatica per noi, ma tutt'altro che piacevole per i tedeschi (pensate che a Stoccarda si stappi lo Champagne, se la Mercedes vende meno auto da noi?), trasformata nel confronto tra un popolo di sadici, che si intuisce la crisi debba averla provocata, ed un altro, il nostro, di vittime che ora si vedono addirittura derise.

Titoli e articoli, magari accompagnati da una foto del Cancelliere tedesco col viso deformato da una smorfia, che aiutano solo i nemici dell'Europa. Di giornali e televisioni che, ne siano o no coscienti, fanno solo il gioco di chi amerebbe vedere, al posto dell'Unione Europea, una serie di staterelli tra loro isolati dalle reciproche diffidenze. Di chi vorrebbe che l'Italia come la Germania restassero quelli che un tempo, nell'impero sovietico, si chiamavano paesi satelliti.

 

Foto: Manifesto dell'Economist nella metropolitana di Londra

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