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E se vivessimo tutti assieme?

 In effetti, quando di anni se ne hanno un discreto numero, che importanza ha, che si pensi di essere nell’anno 1986 invece che nel 2011, cosa cambia? Anche se a dirlo è un anziano dell’allegra combriccola di “E se vivessimo tutti insieme?" affetto da una "normale" malattia di Alzheimer, l’importanza è del tutto relativa.

 

Come per tutto il gruppo di cinque amici conta molto passare bene il tempo che rimane e perciò decidono di vivere tutti assieme nella casa di una coppia del gruppo, dove c’è perfino spazio per installare una piscina al posto dell’orto malcurato, senza le coercizioni di una casa di riposo, in un edonistico disordine organizzato. L’unico “infermiere” o forza giovane è un ragazzo tedesco trapiantato in Francia, che vuole preparare una tesi universitaria sulla “condizione degli anziani presso gli aborigeni australiani”. In quel posto ha però materia prima in abbondanza per studiare gli anziani presso gli europei, la loro sessualità, l’auto-organizzazione realizzata con le ricche competenze di ognuno, al punto da ritenere che quella è una “comunità che fa tendenza”.
 


C’è Jeanne (l’affascinante Jane Fonda, 75 anni, coi magnifici occhi acquosi di lacrime che aveva papà Henry), la più fantasiosa del gruppo ed anche la prima ad andarsene in cielo, con “una bara rosa in mezzo a un corteo nero” come ha voluto; la coppia padrona di casa è quella di Jean (Guy Bedos, 78 a.) e Annie (Geraldine Chaplin, 68 a.); c’è poi Albert (Pierre Richard, 78 anni), quello dell’Alzheimer incombente, marito di Jeanne, e infine Claude (Claude Blanchard, 83 anni), scapolo gaudente, fotografo che “dopo aver fotografato matrimoni per mestiere preferisce ritrarre le puttane” (ne frequenta una molto bella e la frase è rivelatrice del valore di moltissimi matrimoni, più mediatici che riusciti). E’ lui l’amante per eccellenza del gruppo, godeva delle grazie di Annie in un albergo il martedì e di Jeanne il giovedì, 40 anni prima.
 
E’ un film misurato e gradevolissimo, non da passioni forti come si conviene all’età del disincanto, dove tutto è nei giorni che restano e tutto ha un’importanza relativa. La combriccola è davvero allegra, molto più dei trentenni spesso pensosi e pieni di problemi sullo schermo. La vecchiaia, tema sempre più visitato dal cinema, deve essere come stare in alto su una montagna, salendovi le cose in basso diventano sempre più piccole; diventa relativo e perfino carino ad esempio che il gruppo dei sopravvissuti a Jeanne la cerchi chiamandola per strada dopo morta, solo per assecondare lo smemorato Albert. E bene fanno i registi ad occuparsi di vecchiaia perché, come dice Jeanne all’inizio: “Assicuriamo tutto, l’auto, la casa, la vita, ma non ci preoccupiamo di quello che faremo nei nostri ultimi anni”. 

 

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