• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Politica > È morto Giulio Andreotti, scatta l’operazione ipocrisia

È morto Giulio Andreotti, scatta l’operazione ipocrisia

Erano in molti a scommettere che il divino Giulio avesse fatto un patto con il diavolo per garantirsi l'immortalità. Ovviamente era un luogo comune per sottolineare la straordinaria longevità politica di un uomo che è stato non solo un simbolo del XX secolo ma anche un interprete istituzionale di primaria grandezza. Nessuno come lui, sette volte premier, otto volte ministro della difesa, cinque volte ministro degli esteri, tre volte ministro delle Partecipazioni statali, due volte ministro delle Finanze e due volte ministro del Bilancio e dell'Industria.

Al suo confronto quelli di oggi, Silvio Berlusconi compreso, appaiono come nani politici o scendiletto istituzionali, gentuccola che mai potrà lontanamente avvicinarsi, in una ipotetica scala di valori politici ed istituzionali, a questo autentico fuoriclasse nel tessere la tela che lo ha visto indiscusso protagonista per oltre mezzo secolo. E' stato il prototipo del democristiano perfetto, l'emblema del capo - correntismo di partito, il pungente e sarcastico creatore di frasi storiche passate alla storia quali : "Il potere logora chi non ce l'ha" oppure "a pensar male si fa peccato, ma spesso si indovina ", o anche "la ragione non basta averla, bisogna avere anche chi te la dà".

Colto, ironico, pungente, con la battuta sempre pronta, sputata a labbra strette con la "nonchalance" di chi si sente sempre una spanna più in alto del suo interlocutore, mostrava l'elegante indifferenza del suo "superiority complex" anche quando i maligni lo chiamavano " il gobbo" per stigmatizzarne il suo evidente difetto fisico. Avrebbe potuto essere un autentico padre della patria e invece...

Già e invece, il divo Giulio è incappato in una brutta storia di rapporti con la mafia culminata con una condanna definitiva per fatti avvenuti prima del 1980, reato prescritto per nel frattempo sopravvenuta prescrizione, al quale seguì tutto un iter processuale sempre incentrato su suoi presunti rapporti con la mafia ma anche come mandante dell'omicidio Pecorelli, commissionato dai suoi referenti politici siciliani, ovvero i fratelli Salvo, proprio per conto di Andreotti. Ad arricchire il suo curriculum di pesanti sospetti le relazioni con la loggia P2, quella di Licio Gelli che vedrà in seguito anche l'adesione di Silvio Berlusconi, e gli intrecci con la Chiesa cattolica in tutti quei misteri che hanno contrassegnato le vicende più torbide degli ultimi quarant'anni di storia italiana.

Questo è dunque l'uomo che ieri i Presidenti delle Camere, in occasione della sua morte, hanno celebrato con la solennità che si conviene per la dipartita di un illustre uomo delle istituzioni. La Presidente Laura Boldrini, in apertura dei lavori ne ha tracciato un breve profilo politico, poi ha chiesto un minuto di silenzio e ha annunciato una futura solenne commemorazione nell'aula di Montecitorio. Subito si è associato il ministro Dario Franceschini, ovviamente il Presidente Giorgio Napolitano, il premier Enrico Letta subito doppiato da Angelino Alfano e via via tutti gli altri in una sorta di gara nell'incensare.

Ora la morte merita senza dubbio rispetto, ma anche la verità pretende rispetto e soprattutto bisognerre rifuggere dall'ipocrisia, quella ipocrisia che sta ancora oggi contrassegnando i comportamenti dei politici nostrani e di quasi tutti i media che alimentano questo pessimo vizio italico.

Basta con l'ipocrisia, non se ne può più di questo buonismo clericale che ha infradiciato le coscienze di un popolo che ha completamente smarrito la strada maestra, che ha perduto il coraggio della schiettezza per cederla all'ambiguità costitutiva che si è estrinsecata nell'arte politica del mentire. Un uomo politico è tale se sa mentire, se immola la coerenza sull'altare del proprio tornaconto, se fa del compromesso un'arte sublime.

Ma perché bisogna celebrare chi non lo merita? Perché non si può dire la verità? Spero che non venga fatto un funerale di stato, sarebbe un oltraggio alla decenza.

Quella classe politica che Andreotti ha rappresentato, caratterizzata da pesanti intrecci con la mafia e gli ambienti più torbidi di mamma Chiesa, è l'origine di tutti i guai che oggi ci affliggono e, soprattutto, ci ha lasciato in eredità la classe dirigente più screditata con l'aggravio di non avere neanche quel minimo senso istituzionale che, nel bene e nel male, aveva contrassegnato la generazione di Andreotti.

Chiudo con una frase dell'ironico e scaramantico Giulio Andreotti che, a chi voleva organizzargli una festa per il suo novantesimo compleanno nel 2009, dichiarò serafico: "Di festa in mio onore ne riparleremo quando compirò cent'anni".

Non ce l'ha fatta, si è rotto il patto con il diavolo.

 

Commenti all'articolo

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares