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E’ il momento dell’Escherichia Coli

Come si può originare un batterio Killer?

In questi giorni sta tornando il panico in tutta Europa a causa delle infezioni provocate da un batterio, il cui ceppo originario è noto da tempo, definito con un po’ di enfasi Killer. Si stanno rivivendo le stesse paure che hanno contrassegnato la comparsa della Sars e dell’influenza aviaria. Si tratta di un batterio scoperto da Theodor Escherich verso la fine dell’800, da cui il nome Escherichia Coli. È il batterio più studiato e più usato negli esperimenti in cui era prevista la presenza di un organismo procariote (cioè una cellula priva di nucleo). Molte esperienze riguardanti il DNA lo hanno visto spesso protagonista. L’E. Coli è molto comune e vive simbionte negli animali a sangue caldo nella parte bassa dell’intestino, ad una temperatura compresa tra i 44° e i 45°C ed ha una funzione fondamentale nei processi digestivi. Questo è un batterio che, diversamente da altri, non si riproduce all’esterno, ma è in grado di contaminare acqua e cibi vari. Tra questi batteri appartenenti alla famiglia dell’E. Coli ne esistono alcuni capaci di indurre setticemia, polmonite, infezioni urinarie e peritoniti, anche se l’effetto più comune è rappresentato dalla dissenteria. Infatti alcuni ceppi di E.Coli producono, tra le varie tossine, una che ricorda per affinità quella del colera. Essa è in grado di aggredire le cellule intestinali inducendole a produrre acqua e conseguentemente una forma benigna di diarrea. Alcuni ceppi di E. Coli sono però molto più aggressivi. Quello tristemente noto in questi giorni, lo 0104:H4, è molto simile allo 0107:H7. Quest’ultimo, noto da tempo, provoca diarrea emorragica e, come lo 0104:H4, secerne una tossina in grado di attaccare i reni.

Dal momento che i ceppi di E. Coli sono circa 180, credo sia congruo chiedersi come si è potuti arrivare alla formazione di una nuova “famiglia” così numerosa di Escherichia Coli. In altre parole possiamo prendere in considerazione i meccanismi che consentono ai procarioti di arricchire la loro variabilità. Ovviamente la trattazione non potrà che essere sintetica e quindi mancante di adeguati approfondimenti.

I procarioti sono gli unici organismi con cellule in cui il DNA non è associato agli istoni (si tratta di particolari proteine) e in cui non vi sono né un nucleo né organuli circondati da membrana come viceversa avviene negli eucarioti (cellule con nucleo). Ai fini di quanto stiamo trattando è bene incentrare la nostra attenzione sul DNA, cioè su quella molecola che è in grado di garantire la continuità genetica. Secondo il modello proposto nel 1953 da Watson e Crick, la molecola di DNA è un’elica a doppio filamento, a forma di scala attorcigliata. I due “montanti” della scala sono costituiti da subunità ripetute di un gruppo fosfato e dello zucchero deossiribosio a cinque atomi di carbonio. I “pioli”sono costituiti da basi azotate appaiate in modo complementare (adenina e timina, guanina e citosina). Le quattro basi, rappresentando la parte variabile della molecola, sono le quattro “lettere” (A-T e G-C) usate per scandire il messaggio genetico. Gruppo fosfato, deossiribosio e base azotata formano l’unità costitutiva del DNA chiamata nucleotide.

Tra le informazioni che il DNA contiene, quella più significativa riguarda le proteine. Queste sono molecole fondamentali per la vita di tutte le cellule in quanto sono chiamate a svolgere molteplici funzioni. Si tratta di molecole molto grandi la cui unità costitutiva è rappresentata dagli amminoacidi. Questi sono soltanto 20, ma dal momento che possono essere ordinati secondo sequenze variabilissime sono in grado di dare origine a numerosi tipi di molecole proteiche diverse tra loro, ciascuna con una funzione specifica.

In che modo è codificata nel DNA l’informazione per le proteine? Il codice genetico è formato da triplette di basi azotate (es. ATC). Ognuna di queste, semplificando notevolmente, ha l’informazione per un amminoacido. Per cui dalla “lettura” della sequenza di queste triplette si può arrivare all’unione di tutti gli amminoacidi costituenti una determinata proteina: questo è quanto avviene nella sintesi proteica, fenomeno assai complesso che coinvolge un’altra categoria di acidi nucleici: gli acidi ribonucleici (RNA).

Come può succedere che nell’ambito di un tipo di batterio si originino nuovi ceppi? A questo proposito dobbiamo ricordare che il DNA è interessato da fenomeni chiamati mutazioni: si tratta di cambiamenti nella sequenza o nel numero dei nucleotidi presenti nell’acido nucleico. Le mutazioni possono avvenire per sostituzione di un nucleotide con un altro, per delezione (perdita) o aggiunta di nucleotidi. Questi cambiamenti si possono verificare durante la duplicazione del DNA nel momento in cui la cellula si deve riprodurre o nel corso della vita della cellula stessa a seguito dell’azione di agenti mutageni quali sostanze chimiche o radiazioni di frequenza particolarmente elevata. Per i batteri sono previsti altri meccanismi in grado di produrre variabilità quali la trasformazione, la coniugazione e la trasduzione.

La conseguenza della comparsa di una mutazione è la sintesi di una nuova proteina che può caratterizzare in modo specifico la cellula batterica interessata. Per esempio una tossina particolarmente nociva può essere la diretta conseguenza di un cambiamento avvenuto nella sequenza delle basi azotate del DNA e conseguentemente in quella degli amminoacidi afferenti alla proteina codificata.

È sufficiente la mutazione per giustificare l’affermarsi di nuovi ceppi a partire da quello iniziale? La risposta è sicuramente negativa in quanto un organismo deve anche essere in grado di adattarsi alle condizioni ambientali per avere la garanzia della sopravvivenza. In altre parole, possiamo affermare che se una mutazione non offre vantaggio selettivo a chi ne è portatore il destino non può altro che essere quello della soccombenza. È la selezione naturale, attraverso la variegata gamma delle “pressioni” ambientali, a determinare l’adattamento all’ambiente e quindi la possibilità di sopravvivenza di un determinato individuo.

Nel caso dei batteri come E. Coli un fattore importante di selezione è costituito dagli antibiotici nei cui confronti i batteri tendono a manifestare resistenza. L’antibiotico viene cioè a costituire un fattore selettivo rispetto al quale, chi è in grado di non venire aggredito in quanto portatore di mutazioni opportune, risulta selettivamente avvantaggiato e quindi tende a sopravvivere. Nel caso del ceppo 0104:H4 è stata constatata una notevole resistenza molto probabilmente perché il batterio è proliferato in bovini nutriti con mangimi arricchiti da questa tipologia di farmaci. Questa è la ragione per cui la ricerca in campo farmaceutico non può mai segnare il passo contestualmente ad un uso razionale di una categoria di farmaci che ha cambiato la storia della medicina a partire dagli anni ’40 del secolo scorso.

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