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E allora faccio finta di avere un giardino zoologico

Ho recentemente ritrovato un libro che credevo aver perso in quei labirinti nei quali vengono trasformate le nostre case, complici il tempo ed i traslochi frequenti. Linguaggio e sviluppo dei precessi mentali nel bambino di Lurija e Yudovich, ha più di 30 anni nella sua edizione italiana, ma ha costituito uno dei testi fondamentali per le scienze che si occupano dello sviluppo infantile. Aleksandr Lurija, per inciso, fu un neuropsicologo tra i fondatori della scuola storico-culturale insieme al piu celebre Lev Vygotskij. Il libro in questione, in breve, si occupa del ruolo del linguaggio nello sviluppo dei processi mentali e si basa sullo studio comparato di due gemelli affetti da particolari menomazioni del linguaggio stesso.
 
Ma ciò che impreziosiva, in qualche modo quel libro datato, era anche l’introduzione all’edizione inglese di James Britton. Ed è proprio su quest’ultima che mi sono soffermato all’atto del ritrovamento e, sulla quale, mi sembra interessante fare alcune considerazioni. Britton riporta l’osservazione di una bambina di quattro anni che gioca con una sorta di fattoria in miniatura corredata di piccoli animali in plastica. La bambina nel giocare racconta a se stessa ciò che va a rappresentare mediante queste frasi: "Ecco, ora ho un giardino zoologico… ci sono altri animali…tre in più, e allora faccio finta di avere un giardino zoologico. (…) manca una gabbia, ci vorrebbe…ci vorrebbe anche un guardiano. Vediamo devo prendere questo guardiano, così è tutto a posto. Veramente è un agricoltore, ma può essere anche un guardiano di giardino zoologico…dipende dal mestiere che fa, non è vero papà?".
 
La bimba sostanzialmente rappresenta a se stessa il gioco, cioè le cose che lei vede e quelle che accadono, e soprattutto delle cose che lei decide di far accedere. Inoltre, delle giustezza delle sue idee, chiede conferma anche a chi è spettatore del gioco, in questo caso il papà.
 
L’autore riferisce che un anno prima la stessa bambina aveva esclamato: “Oh... perché sono vera e non posso vivere nella mia piccola fattoria?”.
 
In questo scritto, con forte evidenza, Britton mette in relazione il linguaggio parlato con la rappresentazione del mondo. Ciò che risulta chiara è proprio questa stretta relazione tra lo sviluppo del linguaggio, come noi organizziamo e raccontiamo il mondo che ci circonda e come noi ci rappresentiamo e raccontiamo le nostre azioni. La scrittura ed il pensiero, sempre secondo questo autore, ci sarebbero interdetti se non ci fossero le premesse del linguaggio parlato. La cosa. però, che maggiormente mi interessa nel prosieguo di questo discorso è proprio quanto verbalizzato dalla bambina in questione. Oramai, a quattro anni, questa non utilizza più le parole solo in associazione o in stretto collegamento con gli oggetti che vede, come accade invece per i suoi colleghi più piccoli. Essa utilizza oramai le parole al posto degli oggetti. Il linguaggio non è più solo squisitamente simprassico, cioè intrecciato con l’attività immediata. Inizia, quindi, e così, la narrazione e la rappresentazione di ciò che non è immediato ma di quello che esiste nel nostro pensiero in quanto desiderio, necessità, timore ecc. Il linguaggio esprime anche ciò che la stessa bimba intende fare e farà. Segno, sempre secondo Britton, anche di una funzione regolatrice del linguaggio stesso.
Non solo per chi scrive è questo un passaggio di particolare importanza, in quanto evidenzia una rottura epistemologica nello sviluppo individuale, è il momento in cui il linguaggio, in sostanza, prende la propria autonomia e si carica di una propria capacita creativa. Imparando a narrare, noi narriamo, in primo luogo anche noi stessi. Una sorta di momento iniziale, una legge dell’inizio per dirla con Paul Valéry.
 
Non so se ogni inizio delle cose, sempre per seguire Valéry,consista in una sostanza favolistica. Un’ipotesi affascinante, intrigante. Nella quotidianità, è evidente, le cose sono molto più complesse. Lo stesso Valéry arriva poi a spaventarci quando ci mette in guardia sul fatto che la parola stessa è il mezzo per il moltiplicarsi del nulla. Quello di cui siamo, nello specifico sono, certi è che il racconto umano, in particolar modo ciò che l’uomo narra di se stesso e della sua realtà, ha una speciale forza in base alla quale noi stessi organizziamo, interpretiamo e regoliamo, forse, ciò che ci circonda. Non è così, bimba del libro?
 
bibliografia minima
A.R.Lurija – F. Ia Yudovich , Linguaggio e sviluppo dei processi mentali del bambino, Giunti Barbera, 1975
Paul Valery, All’inizio era la favola, scritti sul mito, Guerini e Associati, 1988

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