• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Tribuna Libera > Due copertine dell’Economist e un referendum: dalla fine dei sogni a quella, (...)

Due copertine dell’Economist e un referendum: dalla fine dei sogni a quella, auspicabile, dei privilegi

"Resta però che i mali del paese precedono Berlusconi e non spariranno con lui e che, per uscire dalla situazione in cui siamo, di tutto abbiamo bisogno tranne che di un antiberlusconismo che del berlusconismo sia uno speculare ribaltamento; che dica, in buona sostanza, all’altra metà dell’Italia quel che Berlusconi diceva alla sua".

The Economist mancò un punto, otto anni fa, (sì, son già passati otto anni; ah, quanto scorrono lente le acque dell'italica politica) nel lungo articolo cui si riferiva quella sua famosa copertina con il visino corrucciato del futuro Re del Bunga Bunga e la scritta "Perché Silvio Berlusconi è indegno di (unfit; qualcuno forse preferirebbe inadatto a) condurre l'Italia".

Nell'elenco delle ragioni per cui era possibile sostenere quella tesi, e che era il nocciolo di quell'articolo, mancava infatti la principale.

Non erano i guai giudiziari o i comportamenti "diversamente morali" a rendere Silvio Berlusconi inadatto a governare l'Italia; era (e ancor di più lo è oggi, in una situazione finanziaria quasi disperata) la natura stessa del suo accordo con i propri elettori.

In un paese che per uscire dalla stagnazione aveva, ed ha, bisogno di una politica economica da lacrime e sangue, specie da parte di quelle categorie e ceti che poco avevano sudato e sanguinato fino allora come poco lo han fatto fino ad ora, Berlusconi prometteva un ritorno alla crescita economica senza sacrifici per nessuno.

Il “grande imprenditore prestato alla politica” garantiva una nuova stagione di benessere, grazie alle proprie doti taumaturgiche e a qualche parola magica come privatizzazioni e riforme, senza chiedere, in cambio, altro che il voto e la condivisione del suo sano ottimismo.

L’articolo e la copertina che il settimanale inglese ha dedicato a Berlusconi pochi giorni fa, colgono invece quasi perfettamente nel segno. Per levare quel quasi bisogna assegnare alla verbo to screw usato nel titolo “The man who screwed an entire country”, un significato più ampio del suo solito “fottere”; estendere il suo campo semantico fino ad arrivare ad includere un più gentile e romantico “fare l’amore”.

Perché questo, l’amore, Silvio Berlusconi ha fatto con almeno metà del paese; ha detto alla sua mezza Italia, a quella che ha votato per lui e che in buona parte in lui continua a credere, che era bellissima, stupenda. Perfetta o quasi. Ha detto a quegli italiani per cui l’evasione fiscale è più un’abitudine che un peccatuccio, a quelli che hanno sempre sentito lo stato come cosa diversa da sé e a quelli che lo stato hanno sempre e solo considerato come una fonte d’affari e guadagni, che non avrebbero dovuto cambiare nulla dei propri comportamenti; che l’Italia era ancora il purosangue che era stato negli anni ’50 e ’60 e che sarebbe bastato levarle la zavorra “comunista” e togliere le sue redini dalle mani incapaci di Romano Prodi per vederla tornare a galoppare verso il futuro.

Una visione completamente irreale di un paese che non cresce, se uno valuta gli effetti dopanti che l’indebitamento ebbe sull’economia negli anni ’80, da almeno un trentennio. Un ottimismo fuor d’ogni luogo che, per peggiorare le cose, si è cercato di mantenere anche mentre s’addensavano le nubi della peggior crisi economica degli ultimi ottant’anni.

E’ stata proprio la crisi, con le cicatrici che sta lasciando sul corpo della nostra società e che nessun fard mediatico può nascondere, a risvegliare tanti italiani dal loro berlusconiano sogno d’amore.

E’ questo, il ritorno alla realtà da parte di tanti che di fronte alla realtà avevano preferito serrare gli occhi, il primo motivo del vento del cambiamento che ha iniziato a soffiare sul paese e che, questione di poco, finirà per spazzare via Berlusconi e, se non si trasformerà fino a diventare quasi irriconoscibile, il berlusconismo.

Resta però che i mali del paese precedono Berlusconi e non spariranno con lui e che, per uscire dalla situazione in cui siamo, di tutto abbiamo bisogno tranne che di un antiberlusconismo che del berlusconismo sia uno speculare ribaltamento; che dica, in buona sostanza, all’altra metà dell’Italia quel che Berlusconi diceva alla sua.

Che tutto andrebbe bene, se non ci fossero gli altri; che levato di mezzo Berlusconi tornerà il sereno. Che non ci saranno da fare sacrifici e soprattutto che, se si dovrà farli, toccheranno agli altri.

Il prossimo Presidente del Consiglio, chiunque sia, deve avere il coraggio di guardare negli occhi il paese e spiegare un concetto semplicissimo; che non siamo più competitivi e diventiamo ogni giorno più poveri perché a fonte di un prelievo fiscale da Danimarca garantiamo ai nostri cittadini e alle nostre imprese servizi da Italia.

E’ evidente che solo pagando tutti le tasse possiamo sperare di pagarne, ognuno, un po’ di meno, ma è pure evidente che il settore pubblico, a fronte del fiume di denari che divora, fornisce prestazioni modestissime.

Sono due le mezze italie che dovranno fare sacrifici per raddrizzare la barca; chi ha pagato poco o nulla fino ad ora dovrà essere chiamato a pagare il giusto (e vedrete che, piaccia o no, alla fine servirà anche l’introduzione di una patrimoniale) come, d’altro canto, dovranno lavorare di più, o perlomeno essere messi nelle condizioni di lavorare, tanti dipendenti sotto-utilizzati della pubblica amministrazione.

Il prossimo Presidente del Consiglio dovrà chiedere a tutti, o quasi (non è possibile strizzare ulteriormente tanti dipendenti del settore privato o i pensionati al minimo) di sacrificarsi.

Sono assolutamente certo che gli italiani, quegli italiani che sono tornati a guardare in faccia le realtà, lo seguirebbero; non gli chiederebbero neppure d’avere chissà quale fascino (di grandi amatori, per chiamarli così, dopo averne avuti due in un secolo, gli italiani per un bel po’ non vorranno sentir parlare) o carisma, ma di essere, prima di tutto con il comportamento proprio e dei propri collaboratori, credibile.

Uno dei referendum approvati spiccava per il suo peso morale prima ancora che politico: quello sul legittimo impedimento.

Con quel sì gli italiani, questa mi pare la vera traduzione del voto, non solo hanno urlato a Silvio Berlusconi “fatti processare”; hanno anche detto alla politica che non può più considerarsi fuori dal paese, sopra i cittadini. Altro. Hanno affermato che l’onestà non è forse condizione sufficiente, ma è certo condizione necessaria per aspirare alla guida dell’Italia.

Che possono ancora credere, se non si raccontano loro altre fandonie, obbedire se si è equi nelle richieste che sono loro fatte e lottare per il futuro proprio, dei propri figli e del paese ma che non sono disposti a farlo agli ordini di chi li guarda dall’alto in basso.

Il tempo dei sogni e dei privilegi è, per tutti, finito.

Commenti all'articolo

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares