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 Home page > Tribuna Libera > Dopo la Libia: alla ricerca di un nuovo paradigma per l’occidente

Dopo la Libia: alla ricerca di un nuovo paradigma per l’occidente

Un nuovo mondo sta nascendo sotto i nostri occhi. Alla nostra azione politica, dentro e fuori i nostri confini, si impone, o meglio s'imporrebbe, un cambio di paradigma di cui potremo essere capaci solo se, da veri europei, rinunceremo a cercare nelle ideologie delle soluzioni prefabbricate e se al passato ci limiteremo a chiedere lezioni ed esempi, ma non ricette sicure da seguire pedissequamente.

Dovremo, prima di qualunque altra cosa imparare a guardare la realtà per quella che è ora e non per quella che vorremmo fosse o ricordiamo essere stata fino a poco fa.

Basta fare quest’esercizio di realismo per comprendere che la politica delle cannoniere, di cui la guerra in Libia è l’esempio più recente (qualunque nome gli si voglia dare; si sia d’accordo o no con le sue motivazioni) non è un’opzione per il futuro.

L’Occidente non ha più il predominio tecnologico che gli ha permesso, perlomeno negli ultimi tre secoli, d’imporre la propria volontà al resto del pianeta; ha ancora il predominio militare, ma questo, senza di quello, ha i giorni contati.

E’ facile immaginare che in breve tempo, qualche decennio al massimo, vi saranno altre potenze almeno altrettanto bene armate degli Stati Uniti; coalizioni almeno altrettanto poderose della Nato. Non ci vuole un visionario per prevedere che i carri armati o gli aerei cinesi e indiani di dopodomani varranno i nostri; già ora tanta della tecnologia che riteniamo “nostra” è prodotta proprio in quei paesi, e, sempre più spesso, là è anche sviluppata e progettata.

Non è affatto certo che i paesi emergenti d’oggi debbano essere i nostri nemici di domani; lo saranno senz’altro se scateneremo con loro una competizione globale, a colpi di guerre locali, per accaparrarci le risorse del pianeta. 

Lo saranno senz’altro se continueremo a comportarci, con le periferie del mondo, come abbiamo fatto fino ad ora. Non possiamo più, in quelle aree, sostenere questo o quel tiranno (o anche solo atteggiarci a spettatori dello spettacolo della tirannide), curandoci semplicemente di ottenere le materie prime di cui abbiamo bisogno, salvo poi mandare i bombardieri quando la politica del dittatore di turno imbocca una strada contraria ai nostri interessi: un simile modo di fare è un vero e proprio invito, rivolto alle potenze emergenti, ad entrare in conflitto con noi.

Non è difficile prevedere che il prossimo Gheddafi, o quello dopo, sarà appoggiato attivamente dalla Cina, dalla Russia o dall’India o, addirittura, da una coalizione di questi stati. Quando avverrà qualcosa del genere, e sono certo che avverrà, che faremo? Ci ritireremo in buon ordine comunicando al mondo di aver abdicato al nostro ruolo? Cercheremo invece di resistere? Inizieremo un piccolo, limitato, conflitto; una riedizione della guerra di Corea o del Vietnam?

Il rischio che stiamo correndo è quello di aprire una nuova guerra fredda, molto più complicata e infinitamente più pericolosa della prima; una guerra fredda giocata da tre, quattro o cinque attori, tutti armati con bombe termonucleari.

Ho visto, nel corso dell’ultima puntata d’Annozero, degli esponenti della politica italiana irridere, per una volta compatti, le parole di Gino Strada.

Considerando la levatura intellettuale dei politicanti in questione e quella morale di Strada, il sospetto che la sua voce, assolutamente isolata, fosse la più vicina alla verità mi è venuto assolutamente naturale; i cambiamenti di paradigma, all’inizio, son cosa di pochissimi, mentre i soloni del mondo continuano, magari tra gli applausi, a snocciolare le loro abusate, ovvie, verità.

Strada, immagina un mondo senza conflitti; ipotizza un occidente che rifiuti per principio qualunque guerra.

E’ un sognatore? Probabilmente sì, ma la sua utopia merita d’essere considerata.

Proprio per le ragioni espresse in precedenza, pare evidente che l’occidente debba cominciare a considerare la guerra - che non cambia natura solo affibbiandole nomi diversi - come un’ipotesi estrema, da praticare solo per autodifesa o quando sia, ad ogni modo, in gioco il suo stesso futuro.

Non è, questa, una visione rinunciataria, isolazionista, del destino occidentale; il modo migliore per evitare quei conflitti locali che possono essere l’esca di qualcosa d’infinitamente peggio è, al contrario, un impegno costante verso i paesi in via di sviluppo e quelli che a svilupparsi neppure hanno iniziato.

Il peggio di noi e della nostra politica teme che l’Europa stia per finire a causa dell’arrivo delle ondate d’immigrati dal sud del mondo: che idiozia.

Mentre la nostra attenzione si concentra su disperati, come quelli accampati a Lampedusa (che, nella stragrande maggioranza dei casi, se vogliono avere un pezzo dei nostri sogni, sono anche dispostissimi ad aiutarci a realizzarli) stiamo perdendo il nostro immediato retroterra strategico, e con questo le sue risorse: è in Africa che stiamo perdendo la nostra guerra e lo stiamo facendo contro un competitore, la Cina, che fa, peggio di come lo potremmo fare noi, esattamente quel che dovremmo fare noi.

A costruire dighe ed altre infrastrutture a prezzi di favore, in quei paesi, dovremmo esserci noi: per farlo sarebbero necessari investimenti, ancora oggi, che valgono frazioni minime dei nostri bilanci statali e che, per di più, ci sarebbero restituiti, una volta sviluppate quelle economie, moltiplicati per dieci o per cento.

Per non dover tornare in Africa (o in certe zone dell’Asia e del Sudamerica) con le bombe, lo dovremmo fare con i camion, le ruspe ed i trattori; per non dover rimuovere i dittatori dovremmo aiutare quei paesi, con la pressione economica e diplomatica, ma anche con l’esempio e la presenza diretta sul posto, a scegliere la democrazia.

E’ una visione neo-coloniale questa?

Scegliete il nome che volete per questo tipo di politica, come pure potete pensare che la democrazia si possa o no esportare.

Quel che è certo è che l’uomo, una volta soddisfatti i più elementari bisogni, ha fame di libertà e richiede dignità.

Questo è esattamente quel che gli europei, nel corso della loro storia hanno cercato di conquistare; questo è quello che, seppure in modo imperfetto, l’occidente ha saputo realizzare, per i propri cittadini, meglio di chiunque altro.

Libertà per tutti e, per tutti, la dignità che deriva dal diritto: questo è quel che l’occidente può davvero esportare e questo è il contributo che può continuare a dare ad un mondo che continuerà, forse, a vederlo protagonista, ma certo non più attore unico.

Sono sogni? E’ meglio che ci sforziamo di tramutarli in realtà; qualunque altra scelta ci condurrà, inevitabilmente, prima o poi, al disastro.

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