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Di Berlusconi, Pasolini, televisioni, grandi giornali e riviste patinate

Berlusconi è un fenomeno italiano, reso possibile dalle peculiari condizioni del nostro paese, ma la trasformazione della società in un insieme di “monadi televisive” alienate da ogni cultura è un processo che riguarda tutto l’occidente, anche e soprattutto gli Stati Uniti, il cuore dell’impero post-moderno.

Tra gli “Scritti Corsari" di Pasolini vi è un articolo del 1973, originariamente pubblicato sul Corriere della Sera, intitolato “Acculturazione e acculturazione” dove sono perfettamente descritti meccanismi disgregatori del tradizionale tessuto sociale che erano all’opera già allora.

La mutazione delle masse in insieme d’unità di consumo, obiettivo ultimo di tutto il nostro sistema educativo e informativo, già in quell’anno segnato dalla crisi petrolifera, aveva nella televisione il più efficace dei propri strumenti.

Vale la pena di citare il passo in cui Pasolini parla, appunto, della televisione:

Ma la rivoluzione del sistema d’informazioni è stata ancora più radicale e decisiva. Per mezzo della televisione il Centro ha assimilato a sé l’intero Paese, che era così storicamente differenziato e ricco di culture originali. Ha cominciato un’opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità e concretezza. Ha imposto cioè i suoi modelli: che sono i modelli voluti dalla nuova industrializzazione, la quale non si accontenta più di un “uomo che consuma”, ma pretende che non siano concepibili altre ideologie che quella del consumo. Un edonismo neo-laico, ciecamente dimentico di ogni valore umanistico e ciecamente estraneo alle scienze umane.

Non c’è dubbio (lo si vede dai risultati) che la televisione sia autoritaria e repressiva come mai nessun mezzo di informazione al mondo. Il giornale fascista e le scritte sui cascinali di slogans mussoliniani fanno ridere: come (con dolore) l’aratro rispetto a un trattore. Il fascismo, voglio ripeterlo, non è stato sostanzialmente in grado di scalfire l’anima del popolo italiano: il nuovo fascismo, attraverso i nuovi mezzi di comunicazione e di informazione (specie appunto la televisione), non solo l’ha scalfita, ma l’ha lacerata, violata, bruttata per sempre…”.

La società che abbiamo sotto i nostri occhi, quarant’anni dopo quello scritto, è ancora più disgregata e omegeneizzata di quanto Pasolini, pur con le sue doti profetiche, potesse immaginare. E’ una somma di asociali “individui individualisti”; di figli unici cresciuti senza conoscere, spesso, un solo minuto di socialità non organizzata dall’alto, educati nella solitudine, senza un passato se non quello letto o visto in tv e senza una cultura di qualunque tipo: la tradizionale cultura contadina, spazzata via assieme ai dialetti ed al suo peculiare quello stile di vita dalla modernità, non è stata sostituita, se si capisce che sia la cultura, da alcunchè. Non fornisce una cultura la famiglia, ridotta ormai al suo nucleo più essenziale, non la fornisce la scuola di massa che al massimo spaccia nozioni preformate e chiuse, e certo non la diffondono i mezzi di comunicazione di massa, mossi dalle logica del guadagno

La cultura non è, infatti, una somma di nozioni - e di questi tempi mancano anche le nozioni -, ma uno strumento per interpretare e trasformare la realtà.

In questo senso era infinitamente più colto l’uomo dell’età della pietra, che sapeva come colpire una selce per ricavarne un amigdala, che il medio cittadino dell’occidente ridotto, con il telecomando in mano, ad esser il passivo ricevente di un pastone precotto dove si mescolano, senza precisi confini, aperta finzione e brandelli di rappresentazione della realtà.

Di rappresentazione della realtà, si badi bene, perché la realtà, in tutte le sue componenti, è invece rigorosamente escusa dall’esperienza di vite che, anche senza un computer davanti, sono ormai vissute in un mondo perfettamente virtuale; il reale, là fuori, oltre il portoncino blindato che segna il confine ultimo del regno domestico, è per i cittadini del mondo post-moderno un posto spaventoso, popolato di mostri, criminali, maniaci: un luogo pericolosissimo dove passare, se proprio si deve, solo il tempo strettamente necessario.

Si è operata, ormai, quella inversione di termini tra realtà e finzione che segnalava già Hanna Arendt: “Le masse moderne non credono nella realtà del mondo visibile, della propria esperienza; non si fidano dei loro occhi e orecchi, ma soltanto della loro immaginazione”.

Era ancora ottimista, Arendt, parlando di “loro immaginazione”; l’edonismo post moderno, con i suoi miti, ha espropriato gli individui anche di quello: si è impadronito anche dei sogni.

La televisione commerciale è il maggiore dei mali? Sicuramente sì. E’ l’unico? No.

Giornali e riviste spacciano gli stessi sogni; diffondono la stessa visione del mondo, fanno la pubblicità agli stessi prodotti, celebrano gli stessi miti, impongono gli stessi modelli di comportamento. Le Ruby e le Noemi trovano di che educarsi anche sulle pagine dedicate alle mode dell’Espresso; i cataloghi su cui vengono scelte dai loro clienti non devono essere troppo diversi da certi servizi fotografici presentati anche da giornali come "la Repubblica" che sono delle bandiere dell'anti-berlusconismo.

Giornali e riviste complici, dunque, delle televisioni, non loro avversarie, nel diffondere la grande illusione post moderna. Nell’ imporre, nelle parole di Pasolini “ i modelli voluti dalla nuova industrializzazione, la quale non si accontenta più di un "uomo che consuma", ma pretende che non siano concepibili altre ideologie che quella del consumo. Un edonismo neolaico, ciecamente dimenticato di ogni valore umanistico e ciecamente estraneo alle scienza umane”.

Il Berlusconismo, se la natura ultima di questo non pensiero viene correttamente intesa, esisteva dunque già ben prima dell’inizio delle trasmissioni di Mediaset e continuerà ad esistere, anche grazie all’opera di giornali e riviste che a Berlusconi ora si oppongono, dopo che Berlusconi sarà diventato storia.

La resistenza all’omologazione si fa in tutt’altro modo e in tutt’altri ambiti.

Comincia tornando a leggere per i fatti propri, seguendo solo i propri interessi, infilando una dietro l'altra quelle ciliegine meravigliose che sono i libri. Si fa cercando di imparare i fondamentali dell'economia per comprendere le dimiche che muovono il mondo. Si fa studiando abbastanza matematica, fisica e chimica da poter comprendere le grandi questioni che dovrebbero essere al centro di ogni dibattito; quelle dell'energia e della conservazione dell'ambiente.

Si fa, soprattutto, capendo che leggere un giornale non vuole dire essere informati, ma semplicemente essere diversamente disinformati

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