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Dentro l’IIT, reportage terza parte. I progetti Arbot e Micro-turbina

(Terza e ultima parte del nostro viaggio alla scoperta dell'Istituto italiano di Tecnologia. Qui la prima parte e qui la seconda)

Carlo Tacchino, Senior Electronic Engineer, e Emanuele Guglielmino, Team Leader, del Dipartimento di Advanced Robotic (IIT) raccontano il progetto Arbot e Micro-turbina.

Raccontatemi cosa fate al Dipartimento di Advanced Robotics.

Noi ci occupiamo dello sviluppo di robot antropomorfi, umanoidi, quindi bipedi, e bio-ispirati, tra cui quadrupedi. Per quanto riguarda il grande filone di ricerca di “robotica umanoide”, nel mondo ci saranno una decina di istituti più o meno come questo. Si cerca di creare dei robot simili all’uomo per fargli compiere attività che risulterebbero pericolose o a rischio per l’uomo. L’obiettivo generale è quello di aver robot che possano stare accanto all’uomo, e quindi interagire con esso in modo sicuro, portando assistenza, sorvegliando anziani, bambini, disabili.

Sul modello giapponese?

Il Giappone ha una popolazione molto anziana, in questa ricerca è molto avanti, investe parecchi soldi. Qui è diverso, per queste cose è ancora importante un contatto umano. Nella visione occidentale non si vuole sostituire la persona con il robot.

E i quadrupedi?

Nella ricerca ci ispiriamo alle sembianze e alla camminata di un quadrupede, cerchiamo di replicare il movimento biologico nei nostri robot. Quello che si trova in natura lo riportiamo su una macchina. Concettualmente il nostro quadrupede ha un utilizzo di carico in situazioni di pericolo e può muoversi su terreni sconnessi.

Che applicazioni hanno i vostri robot?

Questo è un istituto di ricerca e, in generale, dei nostri robot non ci interessa subito l’applicazione finale. Noi ci concentriamo sullo studio di algoritmi e sullo sviluppo di prototipi. Cioè, non riceviamo direttamente una “commessa” da aziende esterne, ma lavoriamo su progetti che possono trovare diverse applicazioni.

Per la componentistica dei robot a chi vi rivolgete?

La componentistica è in parte fatta da noi e in parte comprata fuori. Ci rivolgiamo all’industria italiana quando è possibile, se non è possibile a quella Europea, Stati Uniti, Giappone. Sono comunque per lo più componenti che si trovano sul mercato.

In questo senso avete una libertà di spesa, di decisione?

Sì, ma all’interno di un budget annuale. Considerando che stiamo parlando di prototipi e non di produzioni, quindi basse quantità di componentistica, piccoli numeri. Si sceglie un componente ad alta tecnologia che è il meglio sul mercato e che può avere un prezzo che può arrivare fino a quattro, cinquemila euro. Certo, alla fine il progetto ha un valore aggiunto superiore. Siamo liberi di scegliere sui piccoli pezzi, non dobbiamo seguire una gara. Per le grosse forniture invece sì, come tutti gli altri.

Altro nel paniere?

Accanto a questi due progetti avanzati, che dovrebbero arrivare a conclusione nei prossimi anni, ci sono altri progetti più piccoli. Uno di questi si chiama “Arbot” che è tecnicamente concluso. E’ una piattaforma che si utilizza per riabilitare la caviglia. E’ di ausilio al fisioterapista, ma non lo sostituisce. E’ in sostanza una macchina riabilitatrice della caviglia, che sfrutta parte dell’elettronica e della meccanica sviluppate all’IIT per i progetti di robotica. “Arbot” è vicino ad essere sperimentato nel breve periodo in ambito clinico e ospedaliero.

Come è nata l’idea di Arbot?

E’ nata tre anni fa da una tesi di dottorato di un ricercatore. Ci lavoriamo in cinque, tutti italiani: due progettisti elettronici, due meccanici, e un ricercatore. L’idea si colloca nel filone della neuro-riabilitazione, quindi non solo riabilitazione dell’arto, ma fare in modo di ricollegare il cervello alla caviglia. E’ la pratica del bio-feedback.Tornando all’idea, si doveva generare un movimento fluido su una piattaforma molto piccola. Arbot ha al suo interno degli attuatori molto innovativi, che hanno la possibilità di essere potenti e precisi, cosa molto difficile da ottenere in simultanea. Con questo strumento si può fare un “allenamento” di tipo muscolare grazie anche alla potenza e alla precisione di cui è dotato. Arbot per questi motivi, ad esempio, è piaciuto molto anche nel mondo del calcio.

Ma cosa fa?

In sintesi produce dei modelli di miglioramento della riabilitazione, dandone una rappresentazione oggettiva anche al paziente, che può così comprendere i suoi progressi nella riabilitazione guardandoli a video. Il movimento di Arbot è meccanico, la macchina è in grado di “scansionare” il movimento della caviglia producendone un tracciato.

E adesso è in atto una sperimentazione di Arbot?

Sono previsti altri 4 prototipi della macchina, due di questi a breve saranno oggetto di valutazione e sperimentazione presso degli ospedali locali.

Micro-turbina

Altri progetti?

Fra gli altri c’è la microturbina che è un generatore di energia, un componente che è utile a rendere i robot sempre più performanti e ad aumentarne l’efficienza energetica. E’ un progetto che ha portato ad un mini generatore di energia ispirato vagamente alle grandi turbine. Prende aria da una sorgente esterna e poi attraverso un meccanismo interno la converte in energia elettrica con cui si possono alimentare dei sensori e altri componenti della macchina su cui è montata la turbina.

Quanta energia riesce a produrre la micro-turbina?

Siamo intorno ai 10 watt, ciò che per alimentare ad esempio una scheda elettronica è più che sufficiente. L’idea è quella di produrre energia ex-novo tramite un impianto ad aria compressa in un ambiente dove è difficile avere disponibilità di energia elettrica, quindi in zone remote. Il concetto è che riesci a produrre energia elettrica da una sorgente pulita e priva di rischi come l’aria.

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