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Della Valle e Confindustria: la borghesia si ricorda, forse, d’esistere

Auspico, da sempre, il ritorno alla politica della borghesia italiana o di quel che ne resta: un ritorno in prima persona, senza stupidi pudori per la propria condizione, senza remore catto-comuniste e senza complessi di colpa per peccati che certo vi furono, (l’appoggio “esterno” dato al fascismo), ma furono comuni a tutto un paese e sono lontanissimi, ormai, nel tempo.

Continuo a pensare che il disinteresse verso la politica affettato, da troppo tempo, dalla parte migliore del mondo imprenditoriale (la peggiore di politica ci vive e di politica, magari non direttamente, se ne è interessata fin troppo) sia una causa non secondaria del degrado della nostra vita pubblica e tra le primarie della scarsissima preparazione  (preparazione alla vita ed all’economa reali, intendo; non ne faccio questione di titoli accademici) dei nostri parlamentari e ministri.

Finalmente, dopo decenni, la situazione sembra sul punto di cambiare e di questo, io , liberale che comprende benissimo di dovere alla borghesia i propri valori, non posso che esserne felice. E’ ancora da vedere che direzione prenderà il ritrovato attivismo politico dei nostri imprenditori, ma se non riponessi in loro fiducia, se non pensassi che anche grazie a loro potrebbe costituirsi quella forza liberal-democratica di cui il paese ha disperatamente bisogno, tradirei la mia educazione e la visione del mondo che da questa deriva.

Applaudo, dunque, l’iniziativa di Diego Della Valle. Condivido ogni parola del suo appello. Direi di più, ma non leverei una virgola a quel che ha scritto. L’unica critica che mi sento di rivolgergli è d’aver atteso troppo; di aver dato voce a quel che pensa la stragrande maggioranza degli italiani quando la situazione si è fatta, ormai, drammatica. La sua invettiva poteva esser scritta già anni fa.

Applaudo anche il “manifesto” di Confindustria, con cui pure sono stato assai critico in passato.  

Considero sacrosante le richieste di Emma Marcegaglia, compresa quella di adeguare la normativa pensionistica italiana a quella degli altri paesi europei.

Sarà pure “stabile”, il nostro sistema previdenziale, come garantisce il ministro dell’Interno, ma appare evidente a chiunque osservi l’Italia da lontano, spassionatamente, che troppe risorse sono destinate agli “anziani” e nessuna ai giovani.

Non vi sono ragioni logiche perché un lavoratore italiano debba andare in pensione prima dei colleghi di altri paesi, soprattutto considerando che il nostro paese non dà alcun sostegno alle famiglie, non garantisce il diritto allo studio, non ha quasi nulla di quella rete di servizi che costituisce, negli altri paesi europei, lo stato sociale.

Quel che mi lascia perplesso, del documento di Confindustria, è il suo voluto carattere di ultimatum; non capisco, insomma, perché continui a rivolgersi all’attuale Governo.

Le idee degli industriali possono essere, assieme a quelle d’altri, l’impalcatura programmatica di un governo di solidarietà nazionale; possono essere recepite da alcune forze politiche e da altre la cui formazione non è, peraltro, ancora all’orizzonte.

Si può fare molto ed auspicare di fare molto altro, insomma, partendo dai punti degli industriali, ma non si può pensare di trasformare improvvisamente il peggior Governo di sempre in uno strumento per il miglioramento del Paese.Silvio Berlusconi e la sua ciurma, insomma, sono oltre ogni possibile ultimatum.

Pre-condizione per combinare qualunque cosa è che loro vadano a casa.

Non si tratta solo di un discorso di competenza (o meglio dell’assoluta incompetenza di quasi tutti i ministri); non può unire il Paese in uno sforzo comune chi ha fatto di tutto per spaccarlo. Chi, ancora oggi, mentre siamo sull’orlo del baratro, vorrebbe giocare a “noi” contro “loro”.

Con l’aiuto di tutti, industriali assolutamente compresi, possiamo farcela; chi ha sempre dimostrato di voler remare solo per sé, si accomodi sulla prima isoletta. E ci resti.

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