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Dei soldati morti in Afghanistan non frega niente a nessuno

Le due ultime vittime italiane del conflitto afgano ci hanno consegnato la certezza che della sorte dei nostri soldati impegnati in quella missione non importa più niente a nessuno, esclusi naturalmente gli amici i parenti e i commilitoni.

La guerra in Afghanistan ha stancato tutti,compresi gli entusiasti della prima ora, quelli del sempiterno "armiamoci e partite" e pure quelli timorosi dell’invasione islamica, che dopo essersela presa anche con i rom e i romeni seguendo le indicazioni di chi sul razzismo ha costruito le sue fortune politiche adesso sono un po’ stanchi, privi di indicazioni dall’alto su chi riversare il proprio malessere e pure piegati dalle difficoltà poste dalla crisi economica. La loro morte è stata sbrigata dai media con il format ormai consueto al quale l’opinione pubblica ha risposto con l’assoluta indifferenza.

Dopo nove anni dall’undici settembre 2001 non c’è traccia dei presunti piani d’invasione islamica dell’Occidente, così come non c’è traccia di attentati "islamici", che nel nostro paese si sono materializzati solo sotto forma dell’attacco di un singolo squilibrato a una caserma milanese, tanto temibilie che l’unico a soffrirne le conseguenze è stato proprio l’attentatore. La stanca propaganda governativa sostiene che sia proprio grazie agli interventi in Afghanistan e Iraq (che nulla aveva a che spartire con il terrorismo islamico o con la famigerata al Qaeda), ma ora più che mai è evidente a chiunque che si tratta di una delle tante balle partorite al fine di spingere il paese a partecipare ai due massacri.

Massacri, perché a fronte di un paio di migliaia di soldati di soldati occidentali se ne sono andati quasi un milione di iracheni e qualche centinaio di migliaia di afgani, per non parlare dei feriti che sono un multiplo di quei numeri e dei profughi, che solo in Iraq sono più di quattro milioni, una parte rilevante della popolazione.

I motivi che hanno spinto a queste avventure si sono rivelati falsi, non che non si sapesse anche prima, ma a distanza di anni è diventata di pubblico dominio la loro falsificazione, così come sono diventati di pubblico dominio il ricorso da parte dei "portatori della democrazia" alla tortura, ai crimini di guerra, alle prese d’ostaggi e alle rappresaglie sulla popolazione civile, all’uso di armi chimiche e a ogni genere di gioco sporco. Azioni per le quali i nostri contingenti e il nostro governo portano gravi responsabilità, a partire dalla servile complicità che ha permesso di sostenere ogni nefandezza perpetrata dagli alleati con il silenzio omertoso e con una propaganda degna di miglior causa.

Il motivo per il quale ci siamo impantanati in questi due conflitti è ormai evidente a tutti ed è la necessità personale di Silvio Berlusconi di acquisire e mantenere lo status di alleato benemerito degli Stati Uniti ad ogni costo. Status che gli è servito a vestirsi dei panni dell’utile sostenitore di queste avventure e a guadagnare il sostegno americano a prescindere dall’essere un buffone impresentabile, impegnato in numerose truffe in patria e in bassi commerci con alcuni tra i peggiori autocrati del pianeta all’estero, gli unici che non hanno timore di mostrarsi in sua compagnia.

Per portare il paese a una guerra illegale secondo la nostra Costituzione, Berlusconi si è giovato del suo personale apparato di propaganda politica e delle centinaia di giornalisti ed opinionisti che mantiene a libro paga da anni, ma ha goduto anche dell’appoggio dei filoamericani "a prescindere". Lo "spione" Renato Farina (condannato e poi retribuito con un seggio parlamentare) è solo l’esempio più evidente, ma basta scorrere le cronache dal 2001 al 2003 per compilare una robusta lista di personaggi simili, pronti a mentire sapendo di mentire pur di assecondare le smanie berlusconiane o la volontà dell’amministrazione Bush, definendo "missioni di pace" le due guerre.

Non uno di questi ha mai pensato di chiedere scusa ai propri lettori quando la verità è stata certificata dagli eventi (vedi l’inesistenza delle "armi di distruzione di massa") o da fonti statunitensi e occidentali, nessun giornale o telegiornale tra quelli che hanno spinto il paese alla guerra ha neppure organizzato un dibattito per chiedersi come sia stato possibile un tale stravolgimento della verità e di chi fossero le responsabilità.

Non stupisce, solo nell’ultimo anno abbiamo visto che buona parte dei professionisti dell’informazione è capace di omettere le notizie più importanti o d’inventare ogni genere di calunnia senza fare una piega, da noi non c’è spazio per quelle abitudini civili che hanno spinto autorevoli quotidiani come il New York Times o il Washington Post (di tendenza opposta) a chiedere perdono ai lettori e poi ad investigare quanto successo. Per il nostro paese è fantascienza.

Ancora di più considerando che le guerre hanno avuto il consenso bipartisan e quasi assoluto delle forze politiche, nonostante milioni di cittadini avessero espresso con veemenza la loro opposizione e nonostante il dettato costituzionale contrario. Il sostegno di Washington nel nostro paese è ancora inseguito come ai tempi del Piano Marshall, quando il futuro del paese era appeso agli aiuti americani e i governi di Roma avevano bisogno del placet di Washington come quelli oltre cortina avevano bisogno del gradimento di Mosca.

Servilismo infondato e fuori temo massimo si direbbe, eppure ci sono stati governi europei che hanno costruito la loro fortuna proprio rifiutando l’avventura irachena, che tra le due era sicuramente la più folle e priva di fondamenti condivisibili.

Oggi il gioco continua come prima per gli stessi motivi. Berlusconi non può permettersi di alienarsi anche Washington visto che in Europa lo trattano come un paria e al ministero della dfesa c’è il povero La Russa, che da ex-fascistello è ben lieto di spandere retorica guerresca sui cadaveri che rientrano a Roma e di dare del disfattista a chi ancora sostiene l’inutilità e l’illegalità del nostro impegno in Afghanistan.

A La Russa piace da matti fare il comandante in capo e poco importa se sotto la sua guida e l’amministrazione di Tremonti i militari sono stati taglieggiati come gli altri cittadini e addirittura buttati in mezzo a una strada svendendo le abitazioni assegnate loro per ragioni di servizio. Molto meglio spendere qualche miliardo di euro per più di cento aerei americani e per la loro manutenzione, aerei assolutamente inutili che insieme ai caccia "europei" doteranno il nostro paese di quasi trecento aeromobili per i quali non si vede altro impiego che in altre possibili guerre illegali, stante il nostro paese associato alla NATO e stante l’inesistenza di qualsiasi minaccia militare almeno per i decenni a venire, non è che le superpotenze nascano inosservate dalla sera alla mattina e l’unica esistente è, e sarà a lungo, quella americana. Quando anche dovessero decadere gli USA, la stessa Europa è militarmente in posizione di plateale vantaggio sul resto del mondo, sono gli altri che devono aver paura di noi, semmai.

Affari da basso impero dunque; coperti da retorica patriottica da quattro soldi; e non c’è da stupirsi che alla lunga abbiano ceduto anche i protagonisti del fronte contrario alle avventure militari. È più la fatica che il gusto scendere in piazza per vedere comunque la Costituzione violata e ceffi sbraitanti che ti danno del traditore (quando va bene) da ogni televisione e da quasi tutti i giornali per anni.

Così siamo giunti ad oggi e al punto in cui non frega niente a nessuno dei nostri soldati che muoiono, nemmeno a chi ha sostenuto l’utilità del mandarli a morire, e ancora meno frega a qualcuno dei miliardi di euro buttati in guerre perse in partenza o in spese militari ancora più assurde perché deliberate in tempi di crisi nera.

Perché in fondo, diggiamolo, gli italiani non sono mai stati troppo attenti agli sprechi e ai numeri e, per quasi tutti, le cifre espresse in miliardi di euro sono grandezze metafisiche che sfuggono alla comprensione, molto meno rilevanti di qualche euro in più o in meno in busta paga, anche se poi i soldi per queste sanguinose pagliacciate vengono proprio da lì, dalle tasche di ciascun cittadino e in particolare da quelle della maggioranza che vive di stipendi. Maggioranza che oggi, quando muore un soldato italiano in missione all’estero, non prova alcuna pietà ed è più incline a discutere (con invidia malriposta) della sua busta paga da "professionista" che dell’opportunità d’impegnare il paese in una guerra senza senso e, per ammissione degli stessi americani, già persa .

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