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Dal Terremoto dell’Irpinia alle discariche di Terzigno: la nuova soglia del dolore

“Niente ferisce, avvelena, ammala, quanto la delusione. Perché la delusione è un dolore che deriva sempre da una speranza svanita, una sconfitta che nasce sempre da una fiducia tradita cioè dal voltafaccia di qualcuno o qualcosa in cui credevamo. E a subirla ti senti ingannato, beffato, umiliato. La vittima d'una ingiustizia che non t'aspettavi, d'un fallimento che non meritavi. Ti senti anche offeso, ridicolo, sicché a volte cerchi la vendetta. Scelta che può dare un po' di sollievo, ammettiamolo, ma che di rado s'accompagna alla gioia e che spesso costa più del perdono”.

La frase non è mia, è di Oriana Fallaci. Quella di “Un Uomo” e “Lettera a un bambino mai nato”.

Sono cresciuta con autori che raccontavano di diritti, libertà e dignità umana. A scuola mi alzavo in piedi quando l’insegnante entrava in classe. Mi hanno insegnato “Fratelli d’Italia” alle elementari: e tutti i miei compagni ne conoscevano ogni strofa a memoria. Ho studiato l’educazione civica già dalle scuole medie, e gli articoli della Costituzione…“l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro…”.image

Ho vissuto le difficoltà di cittadino e di persona di fronte ad eventi eccezionali come un terremoto, e ricordo ancora la dignità composta con cui gli adulti di allora lo hanno affrontato. Ricordo la disperazione ed il rimorso di chi in alcuni casi tragici si sentiva nell’intimo della propria coscienza responsabile di una casa costruita con le proprie mani, sotto la quale erano rimaste intrappolate le vite di una madre e di suo figlio. Mi riferisco a fatti accaduti nel 1980. Ho conosciuto un sindaco che ha perso tutta la sua famiglia, moglie e due bambini, sotto la furia di un evento catastrofico inimmaginabile, le cui conseguenze, con i mezzi e le conoscenze di allora, potevano difficilmente essere prevenute. E che nella disperazione personale si era rimboccato comunque le maniche, impegnandosi in prima linea a tirar fuori i cittadini che erano ancora sepolti sotto le macerie.

Non ho cent’anni. Ho vissuto 40 anni tra il centro e il sud di un’Italia in cui oggi non mi riconosco più. Perché oggi è tutto diverso: i servitori della Patria, quelli che giurano sulla Costituzione e sulla bandiera, rinnegano quotidianamente i valori alla base del loro lavoro e della loro missione.

La maggior parte dei politici e di chi fa “pubblico servizio” sono travolti da questo vortice che sta risucchiando tutto verso il basso. Stiamo sprofondando.

image Ora è più evidente, ma è iniziato già da tempo l’inesorabile declino della nostra “Patria”. Del “suolo natal”. Non avrei mai voluto vedere due anni fa le strade di Pozzuoli, Bacoli, Napoli trasformate in discariche a cielo aperto, le barricate di rifiuti date alle fiamme con i segni evidenti degli scontri e dei tumulti avvenuti nei pressi della rotonda di Arco Felice.

Certo ci si abitua a tutto. E questo è il dramma. Se vivi in un territorio dove non funziona nulla, dove è importante far sedere su poltrone di primo e secondo piano gente asservita a chi ha in mano e controlla il potere, ti abitui allo stato delle cose, poi quasi anche per autodifesa ti convinci a chiuderti nel tuo guscio, a badare a quelli che credi siano “i fatti tuoi” e a trascurare quelli che sei convinto siano “fatti loro, fatti degli altri”.

Poi un giorno può accadere di svegliarsi dal torpore. Per un evento imprevisto, inimmaginabile, catastroficoimage. Non mandato dal Cielo, ma causato dagli uomini. E accade che si risveglino gli animi di persone che hanno conosciuto anche tempi diversi: tempi in cui si giurava sulla Costituzione, si portava nel cuore l’orgoglio di appartenere ad una Terra, si rispettavano le Istituzioni che avevano giurato di servire lo Stato e i suoi Cittadini secondo i valori della Carta Costituzionale.

Io sto con quelle donne e quegli uomini che a Terzigno urlano con disperazione al mondo il diritto a vivere secondo i principi costituzionali e i diritti umani, negati da bieche lotte di potere e di soldi, dalla superficialità di chi continua a essere distante dai cittadini e dal loro dolore. Dal dolore della delusione per la perdita dei diritti più elementari: quello per la salute, per il lavoro, per l’uguaglianza della legge.

Che gridano il loro dolore ad istituzioni che sentono distanti come i politici, seduti nelle loro poltrone, lontani dalle piazze, lontani dal dolore che si respira nelle strade. Più Vip che politici, impegnati a contendersi gli asettici salotti televisivi dove si discute e si fa discutere e poi si va tutti a mangiare insieme.

imageTanto che importa che giovani padri muoiano in agguati in terre lontane, ultime spiagge per una possibile carriera di lavoro che possa far realizzare il sogno di una casa di proprietà, nonostante la condanna incolpevole di avere trent’anni nel 2010, in posto che si chiama Italia?

E che importa se bisogna schierare i corpi di sicurezza negli stadi, dove la rabbia di chi non va a morire in terre lontane viene arginata nei derby calcistici, così all’appuntamento con la guerriglia si va tutti preparati?

E cosa vuoi che sia se madri, nonne, uomini, anziani, bambini, costretti ad uscire dal loro recinto quotidiano, per la puzza di oggi e per la promessa di morte sicura domani, si trovano sul loro “Suolo natal” a doversi riprendere con la forza ciò che è loro, e a rendersi conto di essere soli in questo combattere verso lo Stato? cioè verso se stessi? image

Una profonda delusione brucia nel petto di tanti italiani costretti a confrontarsi con il dolore quotidiano di una realtà che in trent’anni è regredita di almeno altrettanti trenta.

Brucia nel petto dei pastori sardi.

Delle operaie della Omsa e di tutti gli operai specializzati e degli impiegati ad elevata professionalità in cassa integrazione e in mobilità.

imageDei neo laureati e neo masterizzati, che a suon di migliaia di euro e di ore di impegno quotidiano sono ora neo disoccupati e neo precarizzati.

Delle mamme e dei padri di Terzigno e di tutte le persone che continuano a vedere intorno a sé amici, parenti, familiari “prendersi il tumore come se fosse morbillo” (così osservò un mio carissimo amico, che dal nuovo morbillo è stato annientato in soli due mesi), e morire per il veleno che è sparso ovunque: nell’acqua, nel cibo, nell’aria, nella terra.

Mai avrei pensato di assistere a questa lenta devastazione e giammai avrei creduto che miei concittadini potessero acquisire con il potere – politico o economico che sia – un tale cinismo da disinteressarsi della sorte dei propri fratelli, dei propri figli, dei propri genitori.image

Mai avrei creduto luminari, intellettuali, uomini di chiesa capaci di astrarsi da ogni giudizio e di osservare inermi e muti il compimento di un tale scempio sociale, economico ed ambientale.

Mai avrei creduto di dover arrivare a pensare che l’unica via di uscita sia la fuga assoluta.

Fuga da un’Italia intorpidita, che si risveglia e reagisce solo quando c’è l’assassinio passato in televisione e proposto a puntate come nelle migliori, e a suo tempo disprezzate, “telenovelas” brasiliane.

Fuga da noi stessi e da una nazione che sta seppellendo tutto insieme: gli scandali e la meglio gioventù, i rifiuti organici e l’amianto, i diritti ed i soprusi, la realtà dei fatti e la speranza del cambiamento.

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