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Cucù la maggioranza non c’è piu

La votazione di mercoledì alla Camera non rappresenta proprio nulla di nuovo; è stata solo la conferma, attesa da mesi, che la convivenza tra Fini ed i suoi e la pregiata ditta Bossi & Berlusconi era ed è impossibile

E’ stata la dimensione del successo ottenuto da PdL e Lega nelle ultime elezioni e il sostegno attorno alla figura del Presidente del Consiglio creato nell’opinione pubblica dall’uso, senza precedenti nell’Italia repubblicana, di quasi tutto il sistema informativo nazionale a scopi di propaganda, che ha fatto perdere ai due padri e padroni dei partiti di governo ogni minimo ritegno, ed è questa loro nuova e totale spregiudicatezza che ha causato, in ultima analisi, la frattura che mette ora in crisi la loro maggioranza parlamentare.

Fini, che poteva avere cullato la speranza di trasformare il partito del predellino in un grande partito liberale di stampo europeo – di de-berlusconizzarlo gradualmente, tenendo anche in conto l’età del Presidente del Consiglio – si è invece trovato prigioniero di una forza politica che si faceva sempre più proprietà personale di Silvio Berlusconi, la cui agenda politica era subordinata esclusivamente ai suoi personali interessi, e i cui parlamentari non sentivano alcun vincolo con il partito in quanto tale od i suoi elettori, ma quello con chi li aveva scelti ed offerto loro, in buona sostanza, un posto in parlamento.

Il PdL non è mai stato tanto partito-azienda, di proprietà personale e privata di Silvio Berlusconi, quanto in questo biennio; la composizione stessa del governo, prima, e la sua azione, poi, trovava nei desideri di Silvio Berlusconi le sue uniche ragioni d’esistere, senza riguardo alcuno per i reali interessi del Paese e tanto meno per le aspirazioni di chi, all’interno del PdL, aveva alle spalle una storia politica diversa da quella delle centinaia di peones – tra cui quasi tutti i ministri – che dovevano solo alla grazia del Presidente del Consiglio il loro arrivo in Parlamento.

Era evidente fin da pochi mesi dall’insediamento dell’attuale governo che nell’alleanza anti costituzionale e anti nazionale tra Silvio Berlusconi, impegnato a fare del Paese cosa propria liberandosi dagli ultimi residui limiti posti dalle istituzioni al suo potere, e Umberto Bossi, che continua a portare avanti il proprio programma di disgregazione dell’unità del paese, non ci fosse il minimo spazio né per i valori della destra nazionale da cui Fini proviene, né per quelli del liberalismo europeo verso cui vorrebbe andare; l’uscita del presidente della Camera e dei suoi dal PdL, al di là della conta avvenuta ieri in Parlamento, è dunque una non notizia: il compimento tardivo di un divorzio annunciato già da lunghissimo tempo.

Il risultato della votazione sulla mozione di sfiducia a Caliendo, che ha mostrato come PdL e Lega non abbiano più la maggioranza, non rappresenta però la fine del berlusconismo o del potere di Silvio Berlusconi.

Il primo, come “ideologia”, è morto e sepolto da almeno un anno, – nessuno, perlomeno nessuno che riesca a seguire la cronaca politica in altro modo che guardando i TG, crede più alla tavoletta del santo imprenditore che si sacrifica bevendo l’amaro calice della politica – se è mai davvero esistito; il secondo permane assolutamente intatto.

Il Presidente del Consiglio, se il parlamento non trova prima il modo di porvi rimedio, si presenterà, infatti, alla elezioni prossime venture forte di un controllo assoluto dell’informazione televisiva; in tali condizioni è perfettamente in grado di vincerle, e, dopo essersi liberato di Fini, di diventare davvero, una volta per tutte, il padrone del Paese.

L’alleanza tra Fini e Casini potrebbe certo rappresentare il nucleo di un futuro partito liberal-democratico cui potrebbero aggiungersi, per comune sentire del proprio elettorato e rispetto della propria storia, un insieme di forze che vanno da Di Pietro ai radicali, ma questo ha senso, oggi, solo dentro ad una scelta di netta opposizione a Berlusconi, Bossi ed ai loro disegni.

Tornando ad un concetto già espresso ieri, prima di ogni altra divisione, oggi, prima di essere di destra o sinistra, sopra o sotto, conta fermare la deriva democratica dell’Italia e preservare la Costituzione e l’Unità Nazionale.

Per realizzare questi obiettivi serve l’unione di tutte, ma proprio tutte, le forze dei partiti e movimenti che si riconoscono nella Costituzione Repubblicana e nel Tricolore.

Prima bisogna decidere se si vuole essere Cittadini, ognuno sovrano della Repubblica Italiana, o sudditi del Capo in un’Italia che si appresta a disgregarsi, poi, solo poi, ci si potrà tornare a dividere in una sinistra e in una destra che, seppure con sensibilità diverse sulle questioni economiche e sociali, condividano lo stesso grande progetto di fare dell’ Italia unita, finalmente, una delle grandi democrazie del mondo.

Sono discorsi da 1943? Siamo come nel 1943 anche se molti pensano già di essere al 1948. Si sbagliano.

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