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Crescita qualitativa e “ritorno alle origini”. Alla biennale di Venezia emerge il tema del rapporto con il territorio

La XIII edizione della biennale sull’architettura unisce le tesi della sostenibilità con il recupero delle radici storiche.

"L’originalità consiste nel tornare alle origini". Partendo da uno dei più celebri aforismi dell’architetto catalano Antoni Gaudi, è possibile effigiare i principali contenuti della tredicesima biennale di architettura. Sotto una delle migliori cornici che l’autunno veneziano potesse offrire, con la presenza di un gradevole sole che vivacizza i giardini dell’Accademia San Marco, la rassegna delle esposizioni selezionate da David Chipperfield tocca molti punti che legano gli aspetti essenziali del rapporto con il territorio.

Tempo fa scrissi un articolo sulle rivoluzioni in edilizia apportate dagli architetti costaricani, che con l’assioma di costruire in rapporto simbiotico con la natura riescono trasversalmente a cogliere due finalità fondamentali della rilanciata green economy, come il riciclo di materiali e il risparmio energetico. Alla mostra manca il padiglione della Costa Rica, ma a riproporne le virtù ci hanno comunque pensato le rappresentanze degli altri paesi.

Quelle di Svezia e Canada, ad esempio, riproducono in maniera connessa un’atmosfera totalmente caratterizzata dal legno; una scelta che riflette scrupolosamente il target di arredamento e progettazione che entrambi i paesi nordici hanno adottato come canone di attribuzione. Si pensi ai complessi residenziali della città di Vaxjo in Svezia o all’ex colonia britannica Old Town Lunenburg sulle spiagge della Nuova Scozia in Canada, per non dimenticarsi del patrimonio Unescu di Bergen, la “città in legno” norvegese.

Di converso, nel padiglione dell’Egitto il tema dell’utilizzo del mattone riporta alle menti l’impiego del principale materiale di costruzione da parte delle antiche civiltà, come quella egiziana e quella sumera. Del resto, all’abbondanza di argilla nei territori nella Penisola del Sinai e in Mesopotania risponde la presenza di immense riserve boschive in Scandinavia e Nord America.

Decisamente ironico ed efficace appare il padiglione brasiliano, che con il contributo di Lucio Costa riesce ad interpretare perfettamente le sfumature strutturali del Brasile. All’interno dello stand del paese sudamericano la disposizione delle amache viene accompagnata da una frase dello stesso architetto modernista: “Le stesse persone che avevano oziato sulle amache fino ad allora furono in grado all’occorrenza di costruire una capitale in soli tre anni”, con un chiaro riferimento a San Paolo.

Tra i paesi dell’Europa centrale si afferma in maniera determinante il tema del riciclo proposto dal padiglione tedesco, corroborato dal modello di recupero energetico danese. Nel mediterraneo spicca il tema del verde integrato agli edifici presentato dallo stand spagnolo, che viene sottolineato dalla presenza dei vasi di fiori disposti sui balconcini.

Sullo stesso stile, il padiglione italiano rilancia la “quarta stagione” del Made in Italy, contraddistinta da parole chiave come produzione, creatività, sostenibilità e solidarietà. L’ispirazione olivettiana del “capitalismo di territorio”, contrapposta dal progressivo sradicamento ad opera del liberismo finanziario, lascia percepire la prospettiva storica suggerita da Luca Zevi nell’introduzione del libro “Da Olivetti alla green economy”, dove l’architetto italiano lancia una sfida di responsabilità all’intera società, con l’auspicio che venga ereditata l’intraprendenza dei banchieri–imprenditori rinascimentali, capaci di trainare le rispettive società verso traguardi industriali straordinari per i tempi nonostante la presenza di classi politiche litigiose e inconcludenti. Una chiara esortazione collettiva per “reinventare” un paesaggio agricolo incantevole, preziosi organismi urbani e scuole artistiche di prima grandezza.

Gli stessi temi sono diametralmente trasmessi all’interno della mostra tenuta all’Arsenale. L’interesse verso i presupposti dell’architettura a grande scala, che pone al centro di tutte le questioni il problema del consumo territoriale, viene esposta nei modelli di Hans Kollhoff, al cui nome risponde l’edificio Knsm-Eiland di Amsterdam, che contrastano in maniera preponderante i postulati della pianificazione urbana.

Sotto numerosi aspetti colpiscono i progetti di architettura parametrica, che tra i principali interpreti vede la firma del giapponese Arata Isozaki, celebre disegnatore del Palasport olimpico di Torino e del suggestivo Qatar National Library, progettazioni che hanno segnato un’epoca della corrente postmodernista.

Tantissime linee di pensiero, numerosi concetti e svariate tematiche che vengono integralmente ricondotte nel “common ground” di un’architettura improntata sulla crescita qualitativa, capace di assorbire il ruolo di difesa della propria tradizione insediativa in chiavi sempre inedite e creative.

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