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Crepuscoli del Sé. Interrogazioni sull’identità contemporanea

di Linda De Feo

La casa editrice Ipermedium libri ha recentemente pubblicato il volume Sparire a se stessi. Interrogazioni sull’identità contemporanea di Adolfo Fattori (pp. 306, € 18,50), testo complesso, dotato di rigorosa lucidità analitica e attraversato da preziosissime intuizioni che guidano il lettore lungo le tematiche cruciali dell’interrogarsi novecentesco: l’inesorabile declino del soggetto, la perturbante condizione dello straniamento, il drammatico svincolarsi dall’orizzonte magico-sacrale, il pacificante bisogno della narrazione, l’angosciosa ineludibilità della morte.

È rappresentata la storia del soggetto moderno, che percepisce l’accelerazione del mutamento, compie e trascende i passaggi di stato, le morfogenesi, gli snodi “catastrofici”, per dirla con René Thom (Thom, passim), prodottisi nella società capitalistico-borghese.

Il sociologo napoletano esplora lo statuto contemporaneo di una soggettività alla ricerca dell’edenico incanto perduto, animata dalla nostalgia di un passato mitico e disorientata dal turbinio tecnologico di un futuro imprevedibile, e ne ricostruisce la storia, fino a tratteggiare l’ecologia cognitiva e ambientale realizzata dalla transizione dalle forme storiche dell’immaginario industriale alle forme comunicative della fondazione elettronica.

Con lo sguardo rivolto al nesso inestricabile tra processi materiali e modi di rappresentazione, l’autore analizza testi scientifici ed estetici, ripercorrendo il tracciato segnato dalle forme di espressione e di comunicazione, che registrano, interpretano e rilanciano sul piano sia della produzione di immaginario sia del vissuto quotidiano le trasformazioni sortite dai processi di industrializzazione, massificazione, burocratizzazione, secolarizzazione della società. Perlustrando il versante estetico, Fattori ne attraversa le manifestazioni sia alte, elitarie e sofisticate, sia basse, triviali e volgarizzate, liberate dal romanticismo in poi, che riverberano le più potenti pulsioni dei desideri e dei tormenti individuali e collettivi.

Lo studioso sottolinea come il romanzo, forma elettiva della narrazione moderna del Sé, si dissolva progressivamente nella ricerca di modalità espressive di epoca in epoca più adatte a interpretare i cambiamenti realizzatisi nella concezione della spazio-temporalità e nella costituzione dell’identità, vale a dire il cinema, la radio, la televisione, la serialità, la cross-medialità, dimensioni in parte nuove e in parte rimediazioni (Bolter-Grusin, passim) di quelle classiche.

In particolare, con l’intento di tracciare una linea evolutiva tra scrittura e cinema, Fattori si focalizza sulla ristrutturazione percettiva dell’orizzonte spazio-temporale sortita dall’avvento del processo di metropolitanizzazione: descrive lo spezzarsi della categoria del tempo sacro, ciclico, adagiato sul ritmo biologico della natura, nonché il prevalere del tempo profano, lineare, determinato dalle scansioni straordinariamente potenti del lavoro industriale, e analizza gli effetti del processo di standardizzazione subito da una serie di traiettorie dello sguardo ad opera di mezzi di trasporto che offrono la possibilità di direzionare i flussi metropolitani, schiudendo varchi allo scorrere episodico delle immagini. Ponendo l’accento sul bisogno di adeguamento alle forme di vita dei modi di rappresentazione, l’autore osserva la progressiva spettacolarizzazione mostrata dalla scrittura prima dell’avvento del cinema, nonché la sua tendenza a intersecare i linguaggi e a riorganizzare i rapporti interattivi tra testo e pubblico sulla dimensione iconica. Ed è sulla capacità di scrittori tuttora presenti nell’enciclopedia immaginativa contemporanea, sensibili ai mutamenti epocali, in grado di interpretare il senso dello slittamento da un immaginario prevalentemente pensato a un immaginario prevalentemente visto, e dei suoi riflessi sull’identità, che Fattori si concentra.

Il testo indugia su autori come Edgar Allan Poe, sulle sue teorie riguardanti la filosofia della composizione o la suggestione dell’effetto, sulla sua capacità di rivalutare il lavoro concreto dell’intellettuale, ormai proletarizzato, toccato dalla forza della fabbrica, in modo tale da farlo funzionare secondo la logica dell’industria culturale, caratterizzata dal perfezionamento dei mezzi di produzione e dalla nuova vitalità del ciclo produzione-consumo-produzione. Si sofferma sui rilevanti cambiamenti identitari descritti da Poe, sul ritratto dell’uomo della folla, tipico soggetto sociale metropolitano ottocentesco, già disorientato rispetto agli inarrestabili processi in atto, che, con l’ingresso nel Novecento, troverà compiuta rappresentazione nella narrativa di alcuni scrittori dell’area di lingua tedesca particolarmente sensibili all’accelerazione del tempo e all’avvenuta frammentazione del Sé unitario, destinato a vivere drammaticamente la condizione di estraneità rispetto al mondo. Palesandosi come essere utopico, entità fantasmatica ubiqua, “sempre presente e sempre altrove”, “eterno nomade immobile” (Fattori, pp. 63, 107), questo soggetto, diffuso, fluido, disperso, frammentato, sembra adombrare la soggettività disseminata (Caronia, p. 134) nei circuiti di retroazione che collegano il corpo e la sua simulazione nel circolo di integrazione tecno-biologico del World Wide Web.

Animando personaggi idealtipici, collocati in “labirinti refrattari a qualsiasi mappatura” (Fattori, p. 119), che incarnano “gli abitanti della metropoli”, “anomici, estremi, irregolari, […], paradigmatici […] nella loro apparente eccentricità” (ivi, p. 140), l’opera di Thomas Mann, Robert Musil, Franz Kafka – per citare solo alcuni della folta schiera di letterati su cui Fattori orienta la sua attenzione –, in un vibrante gioco di similarità, mette in scena condizioni di esclusione, orizzonti limbici in cui il tempo e lo spazio sembrano sospesi, ed esprime il disorientamento di un mondo segnato dallo smarrimento delle certezze di tipo ontologico ed epistemologico in un periodo in cui il processo storico sembra essere definito dal rovinare del passato.

Sparire a se stessi percorre il passaggio dalla Weltanschauung della modernità, segnata dalla fede nel progresso lineare e nelle verità assolute, a una concezione della storia intesa non come il precipitato di uno sviluppo necessario, ma come un’accidentata traiettoria, snodata su precipitosi regressi e costruita dalla fallibile verità epistemica, dissolta in un divenire che vanifica ogni fondamento.

Sensibilissimo alle tematiche dell’esistenzialità, Fattori, parafrasando il Nietzsche ripreso in Dallo Steinhof anche da Massimo Cacciari (Cacciari, 1980), definisce “postumo” l’uomo senza qualità di Musil, un uomo che riconosce la costitutività della caducità e accetta di esistere in uno “stato di perenne, nobilissima, consapevole precarietà, in cui non c’è stabilità conquistata che non appartenga all’equilibrio instabile della condizione umana” (Piovani, 1989, pp. 158).

Contrastando il primato della ragione quale chiave ermeneutica del mondo, nel volume si riflette sulla frattura insanabile con la concezione del tempo che anima le filosofie secolarizzate della storia. Il tempo disarticolato, scardinato, dispiegatosi nei mondi di Kafka o di Mann per raggiungere l’impazzito pluriverso dickiano di Time Out of Joint, tanto frequentato da Fattori, sembra fagocitare il futuro, ricacciarlo nel passato, spezzare sequenze, nella radicale negazione di una teleologia progressiva e nell’affermazione di una concezione della storia che, anziché alla concatenazione degli accadimenti susseguenti, rimanda unicamente all’hic et nunc dell’attimo: ciascuna epoca consiste nella sua stessa esistenza, nel suo essere particolare, così ciascun istante della vita reperisce la pienezza del proprio significato non nel rinvio alla connessione degli avvenimenti, ma nell’Augenblick della propria presenza in cui si coniugano essere e senso.

Il tempo fuori giuntura è il tempo fuor di sesto adombrato secoli prima da un’altra figura che Fattori considera paradigmatica, Amleto, incarnazione del conflitto dell’individuo moderno, introspettivo e solitario, “araldo della morte”, “non la morte della tragedia greca, che si risolve in un ritorno alla bellezza della vita, ma […] la morte della modernità secolarizzata, priva di religione” (Fattori, p. 253), sradicata da un ordinamento trascendente, che infrange l’incanto del tempo sacro, frantumandolo, producendo disordine. Quella morte in cui “tutte le assenze si verificano vanificandosi”, che possiede la “negatività emblematica”, conduce alla “conclusiva conoscenza privilegiata” e chiude “il ciclo dall’incognito all’incognito” (Piovani, 1981, p. 122), lasciando affiorare il senso, “irrisolto e irrisolvibile” (Fattori, p. 286), della fine della vita, anche, e forse soprattutto, quando se ne conosce l’esatta scadenza, come sembra voler mostrare Roy Baty, il re-pipistrello del dickiano Do Androids Dream of Electric Sheep?, diventato il re-folle, Roy Batty, in Blade Runner di Ridley Scott – con lo slittamento di prospettive simboliche che questa trasfigurazione comporta –, tragica metafora della deriva entropica verso cui scivola un’umanità pervicacemente intenta a riformulare se stessa.

Nelle pagine di questo illuminante testo si intravede tuttavia la disperata volontà di affermazione di un’esile possibilità di riscatto, grazie a un ancoraggio, quello offerto dall’universo simbolico della narrativa, nonostante l’ineludibile condizione di disorientamento sia insita nella scrittura stessa, che evoca l’essere nella modalità dell’assenza, nella dimensione della mancanza, che rappresenta sull’orizzonte dello smaterializzato.

L’uomo che abita un altrove spaziale e temporale, una realtà progressivamente meno solida, conserva gli strumenti dell’osservazione e della descrizione, rendendo il testo narrante fondamentale per la sopravvivenza: selezionando gli eventi e ordinandoli in sequenze significative, illuminando la complessità delle molteplici connessioni relazionali e attribuendo un senso a sezioni finite dell’insensata infinità dell’accadere, la narrazione, sembra suggerirci Fattori, ha da sempre costituito una dimora per chi, in modi diversi, si sente nomade, e, a titolo differente, conosce la condizione dello spaesamento, aiutando così a vivere nel perturbante stato dell’Unheimliches, dell’essere senza casa o patria, a ritrovare se stessi, cercando di resistere al tragico gioco di dissolvenze che sfuma sull’orizzonte storico l’avvicendarsi delle identità trasformate, e a recuperare l’irriducibilità del proprio essere situati nel mondo.

 

BIBLIOGRAFIA

J. D. Bolter-R. Grusin, Remediation. Understanding New Media, 1999, trad. it. di B. Gennato, Remediation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi, a cura di A. Marinelli, Milano, Guerini e Associati, 2003.

M. Cacciari, Dallo Steinhof. Prospettive viennesi del primo Novecento, Milano, Adelphi, 1980.

A. Caronia, Il corpo virtuale. Dal corpo robotizzato al corpo disseminato nelle reti, Padova, Muzzio, 1996.

Ph. K. Dick, Time Out of Joint, 1959, trad. it. di A. Martini, Tempo fuor di sesto, Roma, Fanucci, 2003.

Ph. K. Dick, Do Androids Dream of Electric Sheep?, 1968, trad. it. di R. Duranti, Ma gli androidi sognano pecore elettriche?, Roma, Fanucci, 2000.

A. Fattori, Sparire a se stessi. Interrogazioni sull’identità contemporanea, Napoli, Ipermedium libri, 2013.

P. Piovani, Oggettivazione etica e assenzialismo, a cura di F. Tessitore, Napoli, Morano, 1981.

Id., Etica, in Enciclopedia del Novecento, Roma, 1977, ora in G. Lissa (a cura di), Posizioni e trasposizioni etiche, Napoli, Morano, 1989.

R. Thom, Stabilité structurelle et morphogénèse. Essay d’une théorie générale des modelès, 1972, trad. it. di A. Pedrini, Stabilità strutturale e morfogenesi. Saggio di una teoria generale dei modelli, Torino, Einaudi, 1980.

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