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Coronavirus | Tutti muoiono di peste, ma qualcuno muore di più

«Il 50% della popolazione europea è stato vittima della Peste, ma se si guarda per esempio alla corte di Avignone, il suo entourage ha registrato vittime intorno al 15–20%»: la citazione viene da una discussione su Arrêt sur images ed è di Joël Chandelier, uno specialista di medicina medievale.

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Ericailcane

 

Così come il confinement, la quaratena, non è uguale per tutti, non lo è nemmeno l’accesso alle cure, e non lo è nemmeno la morte.

Il dipartimento più povero di Francia è anche quello registra il tasso di decessi più alto del paese al momento. In Seine-Saint-Denis tra il 21 e il 27 marzo il numero di morti è cresciuto del 63% (dati dell’Istituto nazionale di statistica) rispetto alla settimana precedente; nello stesso periodo l’aumento è stato del 32% a Parigi e del 47% nella Val-d’Oise (primo cluster del virus in Francia).

E, dato ancora più triste umanamente e preoccupante socialmente e politicamente (non si riesce a testare, i servizi non riescono ad intervenire): i dati di questi morti non arrivano dagli ospedali — nonostante gli ospedali della Seine-Saint-Denis siano quelli più sotto stress in questo momento — ma nelle case di riposo e dalle residenze. Per ora la direction de la Santé (diretta da Jérôme Salomon) dice di non poter ancora spiegare questo dato.

L’AFP (Agence France Presse) riporta le parole di chi lavora nelle pompe funebri in Seine-Saint-Denis: le testimonianze parlano di «situazione mai vista, una catastrofe», dicono di ritrovarsi «sommersi dal lavoro», «numerosi casi di morte a domicilio o nelle case di riposo».

Perché?

«Nella Seine-Saint-Denis ci sono più morti perché ci sono più persone che hanno contratto il virus (…) Si tratta di uno dei dipartimenti più densi di Francia (1,8 milioni di persone) e il confinement è più difficile perché ci sono molte famiglie numerose in appartamenti piccoli, dei centri di accoglienza per migranti e anche delle bidonville».

La dichiarazione è di Frédéric Adnet, responsabile del Samu (service d’aide médicale urgente) del dipartimento.

«L’impressione che si abbiamo è che l’epidemia si aggraverà nei quartieri popolari dove già esistono disuguaglianze sanitarie».

Dichiarazione di Gwenaëlle Ferré, di Place santé.

E, last but not least: in Seine-Saint-Denis risiedono molti che continuano a lavorare e che quindi escono di casa. I lavoratori precari, i lavoratori uberizzati, lavoratori dei settori che ora sono “essenziali” ma che sono pagati ai minimi sindacali e che hanno altissime possibilità di contagio: cassiere, fattorini, operatori sanitari, persone che si occupano di aiutare a domicilio i malati o gli anziani e impiegati delle case di riposo.

Ma ancora una volta: se la Francia ha, come altrove in Europa, pochi posti in terapia intensiva, in Seine-Saint-Denis ce ne sono ancora meno. Il sistema sanitario dell’Ile de France (regione di cui fa parte la Seine-Saint-Denis) è quello che, in Francia, ha il miglior parco letti; la Seine-Saint-Denis il dipartimento che ne ha meno. Troviamo l’errore. Ma davvero, e troviamolo collettivamente.

«Ci sono 1,8 milioni di abitanti in Seine-Saint-Denis, 2,2 milioni a Parigi. Ci sono meno medici di base, un più debole accesso alle cure, i pazienti arrivano in condizioni più gravi e abbiamo un solo ospedale universitario, Avicenne, quando ce ne sono sei o sette a Parigi (…) Gli ospedali parigini non ci abbandonano, trasferiamo i pazienti ogni giorno», dice Yacine Tandjaoui rianimatore all’ospedale Avicenne di Bobigny a Mediapart.

Il dopo, c’è un dopo?

Sulla stampa francese c’è, a mio avviso, un vero dibattito sul dopo crisi. Ne cito due che ho apprezzato per la totale mancanza di peli sulla lingua.

Su Libération lo storico Johann Chapoutot, tira queste conclusioni:

  1. Nella nostra società lo stipendio che si riceve è indipendente dall’utilità sociale dell’attività che si esercita, o spesso inversamente proporzionale ad essa.
  2. Ogni entità che perde il controllo si rifugia nel grandiloquo, di preferenza bellico: ricordiamoci che non ci sono gli stock di maschere ma i lacrimogeni e gli LBD (armi che usa la polizia in manifestazione) non mancano. La sola guerra che questo governo sta portando avanti è una guerra di classe.
  3. Il “dopo crisi”: il post 2008 è stato come il periodo precedente, invece ora bisognerà parlare di servizio pubblico, di tasse sul patrimonio, di delocalizzazione e di ecologia.

Su Arrêt sur imagesDaniel Schneidermann, (del quale sono personalmente un po’ innamorata):

«Siamo in molti a sognare un post-crisi. Un dopo che non assomigli al prima. Un dopo nel quale avremo imparato la lezione, per esempio, del blocco di questa macchina folle che è la globalizzazione. Ma il blocco è solo apparente. Se il governo non blocca di dividendi, con una legge giusta, non cambierà nulla. (…) La Banca centrale europea (BCE) ha invitato le principali banche della zona euro a non remunerare i propri azionisti. Questa astinenza volontaria potrebbe liberare 30 miliardi di euro, che le banche potrebbero utilizzare per sostenere l’economia. La Santander spagnola ha annunciato di voler “rivedere i suoi dividendi”. La Commerzbank tedesca e l’olandese ING si sono impegnate a non pagare i loro azionisti “almeno fino a ottobre”. E le banche francesi? L’eccezione per il momento è la Francia”, osserva sobriamente l’AFP, con le banche francesi, che sono tra le più forti della zona euro e che hanno avuto succosi dividenti nel 2019. BNP Paribas, Société Générale, Natixis e Crédit Agricole SA fanno sapere di aver preso atto delle raccomandazioni della BCE senza impegnarsi a seguirne le raccomandazioni”».

Questo pezzo fa parte di un diario che tengo qui

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