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Corleone, l’Olimpo dei boss

La mafia vincente delle due guerre che hanno devastato mezza Sicilia è nata qua. Centro di potere, militare e tradizionale. A cui tutti hanno risposto, o con cui tutti hanno dovuto fare i conti. E la moglie di Totò Riina, Ninetta Bagarella è anche la sorella del sanguinario Leoluca e da a quando il marito è in carcere “governa” gli interessi della famiglia. In molti la indicano come “la mente” che sta preparando nell’ombra l’ascesa del figlio. E Giuseppe Salvatore, ormai, sembra pronto.

Gli dei vengono da un paese sperduto fra le montagne alle spalle di Palermo, terra di contadini e pastori, di cicoria e ricotta. Incastrato fra scarpate, grotte, forre, facili nascondigli di cimiteri di mafia. «Qui non cambia niente anche se attorno cambia tutto». Gli dei sono intoccabili, anche se finiscono in carcere. Hanno nomi comuni per queste parti: Bagarella, Lo Bue, Riina, Provenzano. Alberi genealogici intrecciati, come quelli dei Riina e dei Bagarella, ed eredi pronti a prendere il posto dei padri, e delle madri, al comando del centro di potere di Cosa nostra: Corleone. La mafia vincente delle due guerre che hanno devastato mezza Sicilia è nata qua. Centro di potere, militare e tradizionale. A cui tutti hanno risposto, o con cui tutti hanno dovuto fare i conti. Scrive ossequioso in un pizzino Salvatore Lo Piccolo a Bernardo “Binnu” Provenzano: «C’è un particolare che ci fa dovere informarla, che riguarda il discorso dei fratelli Inzerillo. Mi ha aperto 164 (di punto in bianco) (sic, ndr) il discorso dicendomi non insistere più per farli rimanere quà, perché all’epoca fu deciso che se ne devono stare in America, e siccome fu stabilito dallo zio Totuccio R... Anche se è stato arrestato è sempre il capo commissione... Di quello che ho potuto capire questo discorso che mi fece 164 veniva anche da 25... Comunque io, in merito, mi sono limitato ad ascoltare». Parla, Lo Piccolo, degli eredi dei fratelli Inzerillo, di quelli scappati per non cadere negli anni Settanta e Ottanta sotto i colpi dei kalashnikov dei picciotti di Riina. Salvatore, pesce piccolo all’epoca, era alleato dei perdenti e aveva scelto di giurare fedeltà ai corleonesi solo all’ultimo momento, quando già la cupola sembrava intenzionata a ucciderlo. Salvatore Lo Piccolo, da pesce piccolo, diventa nell’ultimo decennio, prima dell’arresto con il figlio Sandro, lo squalo che prova a impossessarsi di Palermo. L’occasione gli viene offerta nel 2006 con l’arresto del triumvirato che governava Palermo per conto delle famiglie corleonesi, i boss Nino Rotolo, Antonino Cinà e Francesco Bonura fedelissimi ai Bagarella e a Riina.
I Lo Piccolo, abilissimi interpreti del nuovo quadro disegnato dalle azioni della “catturandi”, in pochissimo tempo scalano i gradini del potere. Per poi precipitare anche loro nella rete tesa dallo Stato. Ma prima di essere arrestati, di finire davanti alle telecamere in manette, Salvatore e il figlio Sandro hanno lasciato il segno. Una pista di sangue, di “ammazzatine” a Palermo, come ipotizza la magistratura, sicuramente utili a rafforzarne il potere. Nicola Ingarao, un uomo di Rotolo uscito dal carcere da pochi mesi ammazzato nel quartiere della Noce. Poi Lino Spatola, boss settantaduenne di Sferracavallo, sparito per “lupara bianca”. Sparisce anche Giovanni Bonanno, mafioso di Resuttana: di lui è rimasto solo il motorino appoggiato a un muro. Sulla vicenda di Bonanno, la magistratura ritiene che Salvatore Lo Piccolo ammetta la propria responsabilità in un pizzino da lui mandato a Provenzano: «Per quanto riguarda quello che si chiamava come il suo paesano (Lo Piccolo farebbe riferimento a un certo Leoluca Bonanno, di Corleone) purtroppo non c’è stato modo di scegliere altre soluzioni, in quanto se ne andava di testa sua. Per non arrivare a brutte cose, ce ne sono stati fatti parecchi, anche mettendogli una persona accanto, ma non è servito a niente. E a questo punto abbiamo dovuto prendere questa amara decisione».

In brevissimo tempo padre e figlio si impossessano della città, ma appena si avvicinano al territorio “tradizionale” dei corleonesi iniziano i problemi: lo scontro con l’uomo d’ordine, il latitante Domenico Raccuglia garante degli interessi e dei rampolli di vari boss in carcere (Giuseppe Salvatore Riina, figlio di Totò, compreso) è inevitabile. Non si assiste a una vera e propria mattanza solo per l’intervento della polizia che cattura i due emergenti. Ma il danno, per i corleonesi, è già stato fatto. Gli sconfitti, i “fujiuti” della guerra di mafia (quella sì, a ragione, chiamata “la mattanza” con centinaia di morti) sono già in parte rientrati destabilizzando il potere “degli dei” che per decenni hanno governato i mandamenti di Palermo città.

«I segnali che vediamo oggi sono davvero preoccupanti - ci racconta Pippo Cipriani per due mandati sindaco “del rinnovamento” a Corleone -. Il potere di Cosa nostra è rimasto intatto e prosegue nei figli, negli eredi, dei boss deceduti o in carcere. La mutazione del quadro a Palermo, il rientro dei perdenti, la frammentazione in poteri territoriali, non può essere vista positivamente dalle famiglie di Corleone. Cosa nostra ha nostalgia di Totò Riina, del potere di una commissione forte e unitaria». E allora che fanno, sparano? «Non lo so, non ci sono più i soldati che hanno fatto la guerra. Quelli, per intenderci, che sparavano con Bagarella. Ma i messaggi ci sono e sono forti». E il recente tentativo di omicidio nei confronti del capo mandamento di Borgetto, Nicolò Salto, certo intanto non rassicura.


A Palermo sono comparse delle scritte sui muri contro il 41 bis (il carcere speciale per i boss mafiosi) e per la liberazione di Riina. Queste scritte sono il segnale più “debole”. Il segnale forte lo manda invece il figlio del boss Riina, Giuseppe Salvatore “Salvo”, dopo l’assoluzione per un triplice omicidio di cui era accusato - anche se al tempo minorenne - insieme al fratello Giovanni (invece condannato all’ergastolo per lo stesso reato). Personaggio moderno ma di tradizione, erede di Totò ma anche, e in molti dicono soprattutto, dei Bagarella. Ninetta Bagarella, la madre di “Salvo”, è sorella di Calogero (morto nel 1969 nello scontro a fuoco della strage di viale Lazio a Palermo e guida carismatica con Liggio dei corleonesi) e del sanguinario Leoluca. Da quando il marito Totò è in carcere “governa” gli interessi della famiglia. In molti la indicano come “la mente” che sta preparando nell’ombra l’ascesa del figlio. E Giuseppe Salvatore, ormai, sembra pronto. A 31 anni, già “laureato” da 6 anni di carcere preventivo, nonostante sia sottoposto all’obbligo di firma e di soggiorno a Corleone, incontra pregiudicati, “presenzia” al matrimonio della sorella e perfino al campionato di calcetto (qualcuno parla della finale, persa da “Salvo”, come della partita “corleonesi contro picciotti”), ha successo “sociale” e fa colpo su molti giovani corleonesi grazie ai vestiti alla moda, allo stile da “tronista” televisivo. È moderno. E non è un caso che oggi usi i media a suo piacimento: quando Cipriani gli fa chiudere anni fa una concessionaria di auto si rivolge direttamente alla Rai che gli dedica un ampio servizio “da perseguitato”, e oggi conquista la prima pagina di un quotidiano nazionale definendosi sempre una vittima del sistema e chiedendo di essere trasferito a Cernusco sul Naviglio, a pochi chilometri dal carcere dove vive il padre. «Non è un messaggio rivolto all’Italia, è rivolto a tutta Cosa nostra - spiega Cipriani -. Sta dicendo che lui è pronto, che è un Riina, che è l’erede».

E l’attuale sindaco di Corleone, Antonino Iannazzo eletto nelle liste di An ma continuatore della linea “per la legalità” dell’avversario Cipriani, è perfino più esplicito del suo predecessore: «Quando lo hanno scarcerato per decorrenza dei termini gli abbiamo detto pubblicamente che qui non lo volevamo - ci racconta nel suo studio mentre fuori il vento sembra voler strappare via le tegole dalle case del paese arroccato - Non si può cedere, non in questo territorio. Bisogna creare il vuoto attorno a queste famiglie. Cosa nostra vuole tenere questa terra nel sottosviluppo. è attraverso la povertà che la mafia governa. Parliamoci chiaro: qui essere disoccupato non è un fatto temporaneo, qui la disoccupazione è un fatto cronico, che può accompagnarti tutta la vita. Faccio un esempio. Un “poverazzo” cammina per strada senza sapere cosa portare da mangiare ai propri figli, alla moglie. Incontra uno come “Salvo” che gli passa 2.000 euro e gli dice “vatti a prendere un caffè”. Il giorno dopo c’è un nuovo “picciotto”». E lo Stato? In quello che è l’Olimpo di Cosa nostra l’unica macchina a disposizione dell’investigativa è una Fiat Punto con 150.000 chilometri e che conoscono tutti. E i poliziotti, per loro stessa ammissione, fanno la lotta alla mafia “per volontariato”. 


left, numero 48 2008

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.129) 30 novembre 2008 11:34

    Gentile Signor Orsatti il suo articolo lo ritengo interessante e sono concorde con lei al 99%, ma da Corleonese ( cittadino di Corleone) sono disdegnato nel leggere che ancora alcuni gioralisti definiscono il mio Paese (arroccato), (terra di contadini e pastori, di cicoria e ricotta). Le rammento che non siamo ne nel Far West e neanche negli anni 50.

  • Di Pietro Orsati (---.---.---.60) 30 novembre 2008 11:48

    Quella definizione ("arroccato" è fisica, se era in pianura non l’avrei mai usata) e "terra di contadini e di ricotta" anche se non l’ho virgolettata è letteralmente la definizione di un suo illustre concittadino. Non voleva essere né offensivo né "sminuente". 
    Che circa l’80 % dell’economia legale di Corleone sia ancora legata alla produzione agricola è un dato di fatto, come è un dato di fato che Cosa nostra impedisca ogni sviluppo economico del posto infiltrandosi, controllando, facendo muro per continuare a tenere la sua città su un livello "controllabile". Quando, poi, la mfia non si fa direttamente impresa... con grandi imprese commerciali, come un certo discount di prossima apertura...

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