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Con o senza Bossi restano i leghisti

La Lega continua ad essere poco stimata nella sua forza, e ancor meno sono capite le ragioni della sua esistenza, da parte di chi leghista non è.

Me lo fanno pensare le reazioni di spropositato giubilo che hanno accolto la notizia delle dimissioni di Bossi, quasi fosse irreparabile la macchia lasciata sulla sua reputazione, perlomeno nei confronti dei militanti leghisti, dai risultati delle indagini dei giudici napoletani e milanesi sull’uso dei fondi del suo movimento.

Non è così e, soprattutto, se anche fosse, questo non rappresenterà la fine del leghismo.

Diranno le prossime elezioni se sbaglio, ma ritengo, infatti, che chi ha digerito senza colpo ferire tutti i rivolgimenti della Lega, tra federalismo ed indipendentismo, chi non ha provato il minimo imbarazzo davanti ai matrimoni celtici o alla farneticazioni di Borghezio, chi è stato disposto ad accettare l’eterna bugia della razza, non avrà troppe difficoltà a trovare il modo di farsi andare bene anche l’idea di un padre fondatore, per dir così, un po’ meno che santo. Sempre ammesso che della santità di Bossi arrivi a dubitare, cosa che proprio non pare: sono i giudici ad essere emanazioni di “Roma farabutta” a leggere quel che scrivono molti leghisti in rete, e se c’è qualcuno che non va, dentro il movimento, non è certo il Capo, tradito, se per caso, da questo o quel Giuda.

Accada quel che accada, dunque, la base “dura e pura” del leghismo resta intatta ed è più che sufficiente, con il suo attivismo, per recuperare, nel giro di poco tempo, le perdite elettorali che il suo partito dovesse eventualmente subire. Un’operazione facilitata dal semplicissimo fatto, spesso ignorato dai commentatori, che esiste una vasta domanda, nel paese, per l’offerta politica della Lega.

Umberto Bossi, indubbiamente deve avere un innato talento organizzativo e per certo ha dimostrato di avere un gran fiuto come politicante, ma tutto questo e il carisma che pure pare abbia non sarebbero bastati da soli a far crescere la Lega fino alle attuali dimensioni. Il leghismo è potuto fiorire perché c’era un terreno fertilissimo pronto ad accoglierlo; perché c’erano e ci sono milioni di italiani che non pensano che lo stato centrale abbia causato più problemi di quanti ne abbia risolti e perché tanti, non necessariamente gli stessi, anche questi diffusi dalle alpi alla sicilia, reputano che l’immigrazione sia uno dei principali problemi che deve affrontare il nostro paese.

Bossi, lungi dall’essere quel genio che spesso viene dipinto dai suoi stessi avversari, ha anzi sfruttato solo una minima parte di quello che poteva essere il suo potenziale elettorale. Forse non poteva fare altro, non aveva altro modo di creare quel gruppo di entusiasti che è stato pure determinante per il successo della Lega, ma proprio i suoi toni accessi, il suo continuo sventolare la minaccia della secessione, gli ha fatto perdere i voti di tutti quei cittadini, assoluta maggioranza anche al Nord, che pur riconoscendo i limiti dello stato centrale, pur amando la propria terra e le sue tradizioni, non per questo smettono di sentirsi, e di voler essere, prima di tutto, italiani. Discorso analogo per la politica sull’immigrazione. Per la scelta, fatta in modo assolutamente tattico per recente ammissione dello stesso Maroni, di sfruttare i peggiori istinti razzisti. Questo ha forse consentito alla Lega di recuperare qualche voto in più nelle grandi città del nord dove aveva fin lì avuto pochissimo successo, ma ha pure disgustato molti, per quanto scettici riguardo alla possibilità di integrare masse di stranieri.

Scelte che assieme al peccato originale dell’antimeridionalismo hanno fatto della lega un movimento dai precisi limiti, prima di tutto geografici, ma pure dalla forte indentità; affatto diverso, per capirci, dal PdL e che ha rispetto a questo altri valori (li si chiami come si vuole; si sia o no d’accordo con loro) oltre a quello della fedeltà al Capo.

Con o senza Bossi, insomma, sulla sopravvivenza della Lega e del leghismo si può scommettere. Poche speranze, a questo punto, vanno pure riposte in un cambiamento di quel partito; potrà forse rendersi un poco più presentabile, ma è ormai quasi impossibile che possa trasformarsi in un partito federalista credibile al Sud quanto al Nord.

Se il successore di Bossi, chi e quando ci sarà, volesse ad ogni modo provarci, rischierebbe sì la frantumazione del movimento, ma potrebbe pure, certo in tempi non brevi, arrivare a moltiplicare i suoi voti. Due sono, però, le scelte inevitabili che dovrebbe fare per arrivare a questo. La prima consiste nell’allontanamento dal partito di tutti i vocianti estremisti che è andato raccogliendo nel corso degli anni. La seconda, di cui la prima è condizione assolutamente necessaria (spero che nessun democratico si sogni di avvicinarsi ad un partito che ha nelle proprie file i Borghezio ed i Salvini) è la ri-definizione delle proprie alleanze politiche.

Un partito davvero federalista, in un paese come il nostro, non può infatti che essere un partito riformatore, e non può pensare d’esser preso sul serio continuando ad andare a braccetto con chi, da un ventennio a questa parte, ha dimostrato di non voler cambiare assolutamente nulla.

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.65) 10 aprile 2012 15:43

    Credo che l’autore abbia ragione, con o senza Bossi la lega continuerà ad esistere. C’è un terreno fertilissimo al nord, pronto ad accogliere questo ed altro. Da ragazzo, io napoletano mi vergognavo dei miei concittadini (e della loro appendice casertana), avevamo prodotto la camorra, siamo - mi dicevo - la parte peggiore dell’Italia (forse solo i calabresi ci superano).

    Poi, studiando un po di storia patria, mi sono accorto che al nord c’era una marmaglia della peggiore specie, che aveva dato vita al fascismo (poi dilagato nel resto d’Italia) e successivamente al berlusconismo e alla sua versione degenerata: il leghismo.

    Questa marmaglia continuerà ad avvelenare la vita sociale e politica degli italiani fino a quando questi si decideranno a relegarli in un ghetto. La qual cosa è già avvenuta in qualche fase della nostra storia nazionale. Quindi c’è speranza!!!

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