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Commissione Giovannini: tanti dati, poche soluzioni

La manovra per la stabilizzazione finanziaria (decreto-legge 6 luglio 2011 n. 98, convertito dalla legge 15 luglio 2011, n.111 – “Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria”) ha previsto il livellamento retributivo Italia-Europa per i deputati e senatori, per i membri di altri organi di rilievo costituzionale, per i componenti gli organi di vertice di Autorità e Agenzie e per le figure apicali delle amministrazioni pubbliche. A tal fine il decreto, all’articolo 1, comma 3, ha previsto la costituzione di una Commissione che provveda all’individuazione “della media ponderata rispetto al PIL dei trattamenti economici percepiti annualmente dai titolari di omologhe cariche e incarichi nei sei principali Stati dell’Area Euro riferiti all’anno precedente e aggiornati all’anno in corso sulla base delle previsioni dell’indice armonizzato dei prezzi al consumo contenute nel Documento di economia e finanza”. Successivamente, la Commissione governativa per il livellamento retributivo Italia-Europa è stata istituita con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) 28 luglio 2011. A presiederla è il Presidente dell’Istat, Enrico Giovannini, mentre componenti sono cinque esperti accademici di chiara fama, tra cui un rappresentante dell’Eurostat e un esperto designato dal Ministro dell’economia e delle finanze (lo stesso Monti).

Insediata il 1° settembre 2011, il 31 dicembre scorso la Commissione ha depositato una relazione, pubblicata poi il 2 gennaio sul sito del Ministero della Funzione Pubblica, che illustra le attività svolte, i risultati finora raggiunti, nonché i piani della Commissione per l’anno 2012 e dalla quale, in maniera chiara per la prima volta, è possibile evidenziare tutte le anomalie del nostro sistema – a dispetto di quegli studi tesi a dimostrare che i parlamentari italiani costano individualmente meno dei loro colleghi europei. Sebbene le 37 pagine di relazione si limitino a fotografare il “puzzle” che compone la retribuzione complessiva dei parlamentari italiani, comparando i dati con quelli di Francia, Germania, Spagna, Paesi Bassi, Austria e Belgio, e nelle conclusioni si legga che “Nonostante l’impegno profuso […] la commissione non è in condizione di effettuare il calcolo delle medie”, i dati della Commissione Giovannini indicano certamente che, ad esempio, l’indennità mensile (lorda) percepita dai parlamentari italiani è la più alta d’Europa. A riguardo, il Presidente dell’Istat ha tenuto a precisare che la situazione analizzata è molto variegata per ciò che riguarda i c.d. acquisti di beni e servizi, cioè viaggi o diarie, e soprattutto per il trattamento dei c.d. segretari o portaborse dei parlamentari, voci i cui costi in Francia e in Germania sono molto più alti.

Ad ogni modo, nella relazione sono indicate le cifre degli stipendi dei politici nei sette paesi europei presi in esame. Si scopre, così, che ai deputati italiani arrivano in tasca più di 16.000 euro lordi al mese, contro i 13.500 di un francese, i 12.600 di un tedesco, poco più di 10.000 di un rappresentante della Camera olandese, e i 4.300 degli spagnoli. Nel dettaglio, se l’indennità lorda mensile di un deputato italiano è di 11.283 euro (11.550 euro per un senatore), tra i grandi paesi, Francia e Germania viaggiano fra i 7.100 euro e i 7.668; nel caso della Spagna, l’indennità è addirittura quattro volte inferiore (2.813 euro). Si consideri che si parla sempre di lordo e che in Italia, dopo le recenti decurtazioni, l’indennità netta è di poco superiore ai 5.000 euro. Inoltre, sebbene la Commissione Giovannini sottolinei le difficoltà incontrare in una corretta comparazione dei dati tra paesi europei, considerato il diverso livello di tassazione, l’indennità lorda mensile costituisce solo una delle 5 voci che – come si legge nella relazione – compongono il “costo” del parlamentare.

Altra voce che compone il “puzzle” del costo di un parlamentare è la diaria mensile o “indennità di residenza” di 3.500 euro. Non si tratta certamente di una prerogativa esclusivamente italiana e, strano ma vero, il nostro paese non “gode” di un primato per questa voce: ci supera la Germania, infatti, dove per le spese di soggiorno a Berlino il parlamentare tedesco riceve una cifra forfettaria più alta (3.984 euro). C’è inoltre da osservare che, da qualche mese, alla Camera e al Senato la diaria è decurtata in proporzione alle assenze dai parlamentari sia nelle sedute d’Aula, sia in quelle di Commissione. Dalla relazione si evince poi un’altra anomalia del sistema nostrano: se in Francia non esiste diaria, ma solo la possibilità di alloggiare a tariffe agevolate in residence di proprietà dell’Assemblea, (mentre a Madrid esiste, ma è di soli 1.800 euro) ridotta di 1.000 se il deputato è eletto nella capitale, nel nostro Paese, la gestione di questa indennità accessoria non tiene in debita considerazione, e dunque non prevede alcuna differenziazione, tra chi soggiorna a Roma per l’attività parlamentare e chi vive e risiede comunque nella capitale.

Ancora, nel “costo” del parlamentare rientra il c.d. benefit trasporto, voce di spesa che non esiste in nessun altro grande paese europeo e che fa del parlamentare italiano un vero privilegiato. È la stessa Commissione Giovannini a certificare, in maniera che definiremmo quantomeno “istituzionale”, la mancanza di corrispettivi europei per quanto concerne la “libera circolazione ferroviaria, autostradale, marittima e aerea” consentita dalla tessera di cui viene dotato il deputato e il senatore appena mette piede a Montecitorio e Palazzo Madama. Diversamente, infatti, in Francia i deputati dispongono di una carta ferroviaria, più 40 viaggi aerei tra il collegio e Parigi e 6 fuori dal collegio; in Germania, solo tessera ferroviaria e rimborso per i voli domestici con rimborso a piè di lista; in Spagna, è prevista una diaria da 150 euro per ogni giorno di viaggio all’estero e 120 per viaggio interno; nei Paesi bassi, addirittura, treno di prima classe e rimborso chilometrico da 0,37 euro al km, ma solo se non esistono mezzi pubblici che consentano al deputato di tornare a casa.

Inoltre, la Commissione Giovannini si è anche occupata di quelle che chiama “spese di segreteria e di rappresentanza”. Sotto questa unica voce si trovano il budget messo a disposizione da Camera e Senato per i parlamentari al fine di consentire a deputati e senatori di avvalersi di collaboratori e di segreterie nei territori di origine e a Roma. Proprio con riguardo a quest’aspetto del “costo” del parlamentare, come già emerso dall’intervista al Sen. Francesco Pardi , sembra terminato il tempo in cui era possibile nascondere scheletri nell’armadio della politica italiana. In questo caso, infatti, l’anomalia nostrana non si palesa guardando al quantum percepito dai singoli parlamentari – inferiore e in qualche caso di molto rispetto ad altri paesi quali Francia e Germania – ma ponendob piuttosto in evidenza le modalità con le quali si monetarizza la pur legittima esigenza dei parlamentari di poter usufruire dei servizi di propri collaboratori e segretari.

Se l’Europarlamento da sempre gestisce il budget assegnando al deputato il collaboratore richiesto e pagando quest’ultimo direttamente (lo stesso avviene in Germania e in Belgio), il deputato (3.690 euro) e il senatore (4.180) italiani ricevono la somma senza aver alcun obbligo di rendicontazione e senza dover dimostrare se hanno pagato regolarmente un collaboratore. Aggiungendo a ciò considerazioni come quelle illustrate da Sergio Rizzo relative alla possibilità di portare in detrazione dalle tasse il 19% dell’importo su una somma già esentasse, si fa lampante l’urgenza di una modifica su questi aspetti che perlomeno preveda la restituzione di quanto non utilizzato – con il correlato obbligo di rendicontazione – così come avviene in Francia.

Notevoli anche le differenze per quanto concerne l’aspetto previdenziale. Fermo l’assegno di fine mandato, dal 1° gennaio il vitalizo è stato sostituito da una pensione con metodo contributivo e solo al compimento dei 65 anni (60 con almeno due legislature). Come fa notare la relazione Giovannini, mentre in Italia, dopo 5 anni di mandato, il vitalizo finora è stato pari a 2.486 euro mensili, con un versamento pari all’8,6% dell’indennità lorda, in Francia, dopo lo stesso periodo di tempo (una legislatura), il vitalizo minimo è pari a 780 euro a fronte di un versamento del 10,5% dell’indennità legislativa, e se ne ha diritto a 60 anni. Ancora, in Germania l’età alla quale il deputato matura la pensione è stata innalzata gradualmente dai 65 ai 67 anni, mentre in Spagna la pensione è un beneficio di carattere integrativo ed è pari alla differenza tra la pensione che il deputato riesce a maturare nella vita lavorativa e la pensione massima raggiungibile in quel paese (integrazione che può essere richiesta se il mandato è stato almeno di 11 anni).

Inoltre, sulla scia delle reazioni alla pubblicazione della relazione Giovannini, come se non bastasse, è stato fatto notare che ai costi elevati dei parlamentari bisogna aggiungere anche quelli dei dipendenti di Camera e Senato: sono i barbieri, i commessi, i coadiutori, i segretari e i consiglieri. Al lordo delle tasse, i dipendenti del Parlamento percepiscono, infatti, uno stipendio che oscilla tra i 160.000 euro e i 417.000 euro. Si noti anche che, stipendi d’oro a parte, i dipendenti possono vantare progressioni di carriera inimmaginabili, il cui esempio più significativo l’ha fatto di nuovo il Corriere della Sera: si stima che uno stenografo, al massimo livello retributivo, arrivi a sfiorare uno stipendio lordo di 290.000 euro, ovvero solo 2000 euro in meno di quanto lo Stato spagnolo paga il Re Juan Carlos di Borbone. Per finire, a retribuzioni così alte non potevano che corrispondere pensioni altrettanto alte, grazie a incredibili meccanismi di calcolo: così, un commesso con la terza media, andato in pensione a 58 anni nel 2010, porta a casa 9.300 euro lordi al mese.

Per concludere, a tutto ciò si deve aggiungere che, già dal giorno immediatamente successivo a quello della pubblicazione della relazione della Commissione Giovannini, la battaglia sembra essersi spostata su cosa sarebbe opportuno considerare per fare i conti in tasca ai parlamentari. Il parametro è tra stipendio più diaria e la sola indennità: una differenza non da poco, dalla quale può dipendere il poco onorevole primato dei deputati italiani come i più pagati d’Europa. A riguardo, l’Ufficio di Presidenza della Camera ha fatto sapere che, per esempio, sarebbe corretto considerare i 5.000 euro netti percepiti per 12 mensilità dai deputati e non gli 11.283 euro lordi comprensivi delle ritenute previdenziali, fiscali e assistenziali. Ad ogni buon conto, sebbene il Presidente Giovannini abbia chiesto una proroga al 31 marzo per completare il lavoro su organi costituzionali e enti pubblici e la Commissione da lui presieduta abbia dichiarato, nelle conclusioni della relazione, di non essere “in condizione di effettuare il calcolo delle medie”, non mascheriamo il fatto che, anche in tempi di Governi “tecnici”, sempre di politica e di scelte politiche si tratta. Infatti, invocata ancora una volta l’autodichia, ovvero quella “giustizia domestica” che, in questo caso come in altri, consente ai parlamentari di “lavare i panni in casa propria”, entro il 31 gennaio toccherà ai Presidenti di Camera e Senato onorare l’impegno con Monti (e non solo). Staremo a vedere se e quanto sarà tagliato nelle tasche dei parlamentari, materia che, battezzata come “costi della politica”, non nasconde il suo carattere di forte impatto sociale, in un momento in cui Governo chiede al paese non pochi sacrifici…

di Francesca Petrini

Questo articolo è stato pubblicato qui

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