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Come prendere il potere con la scuola

 Il portavoce nazionale dei Cobas, Piero Bernocchi, commentando il prossimo sciopero generale del 17 ottobre contro la devastante legge Gelmini, ha detto:
 
’’Lo sdegno per l’inqualificabile tentativo con cui si cerca di smantellare l’intera scuola pubblica statale italiana e di ridurre i docenti a meri esecutori di ordini impartiti dall’alto a colpi di decreti imposti d’ufficio e’ tale da rendere necessarie mobilitazioni diffuse e momenti di incontro per rendere visibile una battaglia contro provvedimenti che ispirati dall’obiettivo di ’fare cassa’, di ripianare il debito pubblico, porteranno alla distruzione, disgregazione, impoverimento e ridicolizzazione della Scuola Pubblica, a tutto vantaggio della scuola privata. Noi saremo in piazza per salvare e migliorare la scuola pubblica’’.
 
 

A chi difende la legge Gelmini e considera queste dichiarazioni semplicemente strumentali, pura dietrologia, val la pena di ricordare un discorso pronunciato a Roma l’11 febbraio del 1950 da Piero Calamandrei, giurista, antifascista e padre costituente, durante il III Congresso in difesa della Scuola nazionale.
 
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Piero Calamandrei

Come prendere il potere con la scuola
Facciamo l’ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione , non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l’aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali. C’è una certa resistenza; in quelle scuole c’è sempre, perfino sotto il fascismo c’è stata. Allora, il partito dominante segue un’altra strada (è tutta un’ipotesi teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A "quelle" scuole private. Gli esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata. Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato per dare la prevalenza alle sue scuole private. Attenzione, amici, in questo convegno questo è il punto che bisogna discutere. Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d’occhio i cuochi di questa bassa cucina. L’operazione si fa in tre modi: ve l’ho già detto: rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. Dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico.

Discorso pronunciato al III Congresso in difesa della Scuola nazionale a Roma l’11 febbraio 1950

pubblicato in: http://eddyburg.it/article/view/11959/

Commenti all'articolo

  • Di Jok (---.---.---.3) 6 ottobre 2008 14:14

    A me pare che, sinora, le scuole siano state ben strumentalizzate da altri che non dall’attuale dirigenza politica. Ragazzi "educati" a ripetere acriticamente - come potrebbero fare diversamente se ad imbeccarli sono proprio quelli che dovrebbero coltivarne il senso critico? - slogan e concetti fabbricati con mire politiche, talvolta, chiedo scusa per l’espressione trita, per "bassi interessi di bottega" (leggasi della classe docente, sovente contrapposti a quelli dei discenti); verità comunicate in modo apodittico, non sostenute da ragionamenti accurati; organizzazione del lavoro in modo più utile agli insegnanti che agli alunni; nessuna possibilità per le famiglie di effettuare scelte significative; burocratizzazione delle carriere, e quindi nessuna possibilità di selezionare il meglio per chi deve ricevere un’adeguata istruzione. E via dicendo.
    Tempo fa, sulla legge Moratti, il mio nipotino, allora alle medie, aveva idee ben precise; tutte negative, naturalmente. Come si può pensare di formare, in un dodicenne, idee autonome e basate sulla ragione riguardo ad un progetto di legge che non è in grado assolutamente di capire nemmeno nei risvolti essenziali, come si può essere così cinici da ficcare in testa ad un bambino i risultati delle proprie personali elucubrazioni e dei propri punti di vista? Son questi i risultati della "pedagogia" progressista?
    Altro che neutralità della scuola. Nel caso specifico si può usare una sola parola: indottrinamento, e anche di bassa lega.
    Occorre ripristinare una cultura del rispetto degli studenti. Non quello, falso, basato solo sull’assemblearismo e l’agitazione semipermanente, ma quello del rispetto dei discenti come persone e non come semplici utenti. Rispetto di cui sono presupposti essenziale l’affezione ad una missione che è soprattutto quella di sviluppare la razionalità dell’individuo, più che di comunicare nozioni, e la distinzione dei ruoli tra chi insegna e chi riceve l’insegnamento. Distinzione che viene a mancare, ad esempio, quando si coinvolgono gli alunni in questioni di organizzazione della scuola di Stato, per non parlare di quegli insegnanti che non si curano di stabilire le condizioni minime per la fruizione dell’insegnamento, il minimo necessario di disciplina.
    C’è bisogno, sì, di una scuola neutrale (ma preferisco dire: che rispetti la persona).
    Non credo che questo sia un obiettivo raggiunto dalla nostra scuola. In mancanza, vogliamo dare alle famiglie almeno la possibilità, seppur minima, di effettuare una scelta tra una scuola pubblica, che può non piacere, e una privata? Altrimenti si richia di ottenere davvero una divisione di classe: quella tra chi può permettersi di far studiare i figli all’estero e chi non può.

  • Di Truman Burbank (---.---.---.148) 6 ottobre 2008 14:54

    @ Jok: La razionalità nella scuola c’è ed è dimostrata dal fatto che anche i ragazzini capiscono manovre come quelle della Moratti o della Gelmini. La scuola privata è una scuola di parte che difende interessi di parte. Non può essere neutrale perchè geneticamente nasce per sostenere degli interessi privati. Proprio per questo i padri costituenti decisero che la scuola privata non dovesse essere finanziata dallo Stato.
    Un branco di persone di bassa cultura e di grandi interessi personali ha stravolto la legge fondamentale ed i risultati si vedono. E il degrado continua.

  • Di Jok (---.---.---.4) 7 ottobre 2008 19:47

    Chiedo scusa in anticipo per l’ulteriore spazio che prendo. Non è assolutamante mia intenzione trasformare una pagina di commenti in un thread di discussione sulla scuola, ma devo precisare qualcosa sul rispetto della persona dell’alunno.
    Caro Burbank, lei dice che la qualità dell’insegnamento (si parla di ragione e quindi di comprensione della realtà) è dimostrata dal fatto che i ragazzini capiscono le manovre della Moratti e della Gelmini. La qualità del nostro sistema scolastico la si può dedurre da dati come quelli riportati in http://www.tgcom.mediaset.it/cronaca/articoli/articolo390806.shtml, non da sillogismi che partono da presupposti tutti da dimostrare. Dicendo, in modo assolutamente gratuito, che i ragazzi capiscono bene le questioni di cui stiamo parlando e usando questo per inferire che essi sono ben preparati al ragionamento e alla critica (e quindi, tautologicamente, in grado di esprimere giudizi corretti su questi argomenti), lei illustra bene la terribile riduzione che si fa oggi del termine ragione. In particolare, in questo caso, sembra che la comprensione di un argomento sia, per lei, la semplice comprensione degli enunciati che lo descrivono. Perché un conto è capire il significato della frase "la riforma XX avvantaggia i ricchi e svantaggia i poveri" - misero risultato - altra cosa è capire da dove discenda, se l’implicazione è corretta, una tale affermazione.
    E mi consenta, Burbank, ritengo poco probabile che una tale comprensione sia alla portata della gran parte dei ragazzini, e niente fa sperare che lo sarà in futuro. Almeno finché saremo, nella graduatoria delle scuole stilata dall’Ocse, in posizioni come il trentottesimo posto per quanto riguarda la matematica.
    Accontentarsi che i ragazzini che lei cita siano semplicemente capaci di ripetere quello che, sulla base di personalissime idee, qualcuno comunica loro non è solo un’offesa alla loro intelligenza. E’ un grande atto di disamore e quindi di negazione della loro persona.

    • Di Violadelpensiero (---.---.---.117) 8 ottobre 2008 17:07

      Ma quanti anni ha Jok? E a quanti anni ha preso coscienza di aver raggiunto la capacità critica? In realtà questa seconda domanda è un paradosso, in quanto presuppone anche che lei avesse già la coscienza per prendere coscienza della sua capacità critica..Comunque, probabilmente, durante l’adolescenza le devono aver detto che non capiva nulla della realtà e lei se ne deve essere fermamente convinto! Le potrei obiettare che anche ora non ha assolutamente raggiunto la capacità critica per comprendere un decreto legislativo, ma non a causa delle sue capacità critiche, ma della purtroppo diffusa ignoranza dei veri motivi che producono certi decreti: la gente "comune", anche quella con spiccato senso critco, non conosce questi motivi. C’è da rimanere, infatti, quantomeno sbalorditi, per esempio, nel pensare che il decreto che ha eliminato gli esami di riparazione a settembre fosse stato dettato dal ministero del turismo invece che da quello dell’istruzione! Comprendere la realtà è un processo che perdura tutta la vita, ma certo dovremmo escludere dalla capacità di pensiero critico sia i giovani sia i vecchi (non so se lei già è entrato nella categoria), per non parlare che potremmo dire che gli studenti del liceo classico potrebbero avere più capacità critica dei geometri....ecc....Insomma dare dell’ "incapace di intendere e di volere" alla maggior parte della popolazione...forse a tutti...forse resta solo lei fuori dal novero???? Allora complimenti...spero solamente non si rattristi per la solitudine!!

    • Di Jok (---.---.---.6) 8 ottobre 2008 20:38

      Cara Violadelpensiero, ho 55 anni, vado per i 56.
      Ne avesse indovinata una.
      Ho avuto, almeno da un punto di vista educativo, un’infanzia felice. Un po’ per personali inclinazioni e possibilità, un po’ perché, vivendo in una famiglia numerosa, c’era sempre qualche adulto a portata di mano a cui rivolgere domande. Da solo ho imparato a leggere e scrivere, verso i tre anni e mezzo - quattro. Di quella faccenda ricordo solo lo sconcerto e il timore quando, resisi improvvisamente conto, in casa, che leggevo, mi sono ritrovato davanti a un giornale con tutta la famiglia intorno. Mi pare fosse "Il Giorno". Lì per lì la cosa mi allarmò, perché tutti mi guardavano e non capivo cosa avessi mai combinato. Deve essere per questo che ricordo ancor oggi l’episodio.
      Non mi sono mai stati fatti mancare gli input giusti, specialmente i libri scientifici per ragazzi, e di questo sono profondamente riconoscente a chi mi ha educato.
      Come vede, non sono stato per niente uno di quei ragazzini a cui degli adulti infami dicono continuamente che sono degli zucconi. Magari mi sarò rincoglionito crescendo...
      Ma lei, cara Violadel pensiero., mi vuol far dire cose che non ho assolutamente detto.
      Mai mi sognerei di dire che i ragazzi non hanno senso critico. Non solo sarebbe in contraddizione con i miei personali ricordi, ma sarebbe come dire che essi non hanno - che so - il fegato o il pancreas. Dico, però, che tale senso critico va coltivato, ossia si devono fornire tutte quelle opportunità che consentono un’armonico sviluppo delle facoltà. Armonico, sottolineo. Per fare un breve esempio, il primo "attrezzo" da padroneggiare è il dubbio, esteso a ciò che il mondo mostra in apparenza. Esso consente di non fermarsi alla superficie delle cose e permette di andare in profondità. Ma uno sviluppo armonico di esso implica che il medesimo strumento venga rivolto verso le stesse proprie illazioni. Si devono acquisire gli strumenti della falsificazione. Cosa che talvolta non fanno neppure gli adulti e, mi perdoni, mi pare che questa volta ci sia cascata lei.
      Difatti lei è partita in quarta con considerazioni sullo scrivente - che non conosce personalmente - piuttosto che sullo scritto. E’ un modo di concepire la dialettica che dava buone leve a Karl Popper per dire che le scienze psicologiche sono in realtà pseudo-scienze perché, a parte ogni considerazione epistemologica, la confutazione delle idee altrui passava spesso per l’applicazione di quelle proprie alla mente di colui con cui si era in contrasto.
      Non cerchi di psicanalizzarmi.
      Trovi, se può, degli argomenti per dimostrare, almeno nei limiti entro cui questo concetto si applica alle scienze umane, quello che desidera dimostrare. Non faccia affermazioni apodittiche che richiedono il consenso anticipato di chi legge. Se fossimo già d’accordo non saremmo qui a discutere, e per quei noiosi (e un po’ ridicoli) teatrini in cui sostanzialmente ci si congratula l’un l’altro per le brillanti idee e ci si compiace che coincidano con le proprie davvero non sprecherei un secondo del mio tempo.
      Un’ultima cosa. Per favore non si accodi anche lei alla lunga teoria dei dietrologi, sono come gli indovini. Raramente ne azzeccano una, e quando ciò accade si danno grandi arie di veggenti, dimenticando quante corbellerie hanno detto in tante altre occasioni.

      La saluto cordialmente,
      suo Jok.

    • Di Violadelpensiero (---.---.---.32) 9 ottobre 2008 14:37

      Caro Jok, ovviamente non faccio l’indovina e la mia era una provocazione! E’ abbastanza stupefacente che abbia scambiato la mia provocazione per un’analisi della sua infanzia e che le sia venuta anche voglia di descrivere i ricordi di un bimbo prodigio!!! Ma in questo modo è lei che offre il fianco all’analisi! Fortunatamente il contesto non lo richiede! Quindi mi limiterò a salutarla cordialmente, facendo presente che, a mio parere, ciò che lei chiama filosofia, forse può essere "sofia", esclude cioè il dubbio, che lei ha tanto "dottrinamente" elogiato...
      P.s.: La parola tra virgolette è un’ulteriore provocazione, ma non "ad personam": siamo tutti indottrinati! Il suo forbito parlare, paradossalmente, ne è una dimostrazione! Il linguaggio mette in comunicazione, ma è, allo stesso tempo, un mezzo che si interpone fra le persone. Pertanto più si evolve il nostro linguaggio più barriere ci crea intorno...

    • Di Violadelpensiero (---.---.---.217) 25 ottobre 2008 18:47

      Comunque, Jok, spero di leggere qualche altro suo commento su questo sito...

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