Cara Violadelpensiero, ho 55 anni, vado per i 56.
Ne avesse indovinata una.
Ho avuto, almeno da un punto di vista educativo, un’infanzia felice. Un po’ per personali inclinazioni e possibilità, un po’ perché, vivendo in una famiglia numerosa, c’era sempre qualche adulto a portata di mano a cui rivolgere domande. Da solo ho imparato a leggere e scrivere, verso i tre anni e mezzo - quattro. Di quella faccenda ricordo solo lo sconcerto e il timore quando, resisi improvvisamente conto, in casa, che leggevo, mi sono ritrovato davanti a un giornale con tutta la famiglia intorno. Mi pare fosse "Il Giorno". Lì per lì la cosa mi allarmò, perché tutti mi guardavano e non capivo cosa avessi mai combinato. Deve essere per questo che ricordo ancor oggi l’episodio.
Non mi sono mai stati fatti mancare gli input giusti, specialmente i libri scientifici per ragazzi, e di questo sono profondamente riconoscente a chi mi ha educato.
Come vede, non sono stato per niente uno di quei ragazzini a cui degli adulti infami dicono continuamente che sono degli zucconi. Magari mi sarò rincoglionito crescendo...
Ma lei, cara Violadel pensiero., mi vuol far dire cose che non ho assolutamente detto.
Mai mi sognerei di dire che i ragazzi non hanno senso critico. Non solo sarebbe in contraddizione con i miei personali ricordi, ma sarebbe come dire che essi non hanno - che so - il fegato o il pancreas. Dico, però, che tale senso critico va coltivato, ossia si devono fornire tutte quelle opportunità che consentono un’armonico sviluppo delle facoltà. Armonico, sottolineo. Per fare un breve esempio, il primo "attrezzo" da padroneggiare è il dubbio, esteso a ciò che il mondo mostra in apparenza. Esso consente di non fermarsi alla superficie delle cose e permette di andare in profondità. Ma uno sviluppo armonico di esso implica che il medesimo strumento venga rivolto verso le stesse proprie illazioni. Si devono acquisire gli strumenti della falsificazione. Cosa che talvolta non fanno neppure gli adulti e, mi perdoni, mi pare che questa volta ci sia cascata lei.
Difatti lei è partita in quarta con considerazioni sullo scrivente - che non conosce personalmente - piuttosto che sullo scritto. E’ un modo di concepire la dialettica che dava buone leve a Karl Popper per dire che le scienze psicologiche sono in realtà pseudo-scienze perché, a parte ogni considerazione epistemologica, la confutazione delle idee altrui passava spesso per l’applicazione di quelle proprie alla mente di colui con cui si era in contrasto.
Non cerchi di psicanalizzarmi.
Trovi, se può, degli argomenti per dimostrare, almeno nei limiti entro cui questo concetto si applica alle scienze umane, quello che desidera dimostrare. Non faccia affermazioni apodittiche che richiedono il consenso anticipato di chi legge. Se fossimo già d’accordo non saremmo qui a discutere, e per quei noiosi (e un po’ ridicoli) teatrini in cui sostanzialmente ci si congratula l’un l’altro per le brillanti idee e ci si compiace che coincidano con le proprie davvero non sprecherei un secondo del mio tempo.
Un’ultima cosa. Per favore non si accodi anche lei alla lunga teoria dei dietrologi, sono come gli indovini. Raramente ne azzeccano una, e quando ciò accade si danno grandi arie di veggenti, dimenticando quante corbellerie hanno detto in tante altre occasioni.
La saluto cordialmente,
suo Jok.