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Combattere l’aterosclerosi con la terapia genica

Uno studio pisano ha messo in luce il ruolo del fattore di von Willebrand nella produzione di stress ossidativo fra i responsabili dell'aterosclerosi, riuscendo a silenziare il gene coinvolto usando la terapia genica.

di Cristina Da Rold 

SALUTE – L’aterosclerosi è una malattia infiammatoria progressiva delle arterie causata principalmente da un accumulo di stress ossidativo nell’endotelio, che riveste la parete interna dei vasi sanguigni. I ricercatori del Laboratorio di Medicina Critica Traslazionale (TRANCRILAB) dell’Istituto di Scienze della vita della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa hanno scoperto che una proteina già nota in campo medico come procoagulante – il fattore di von Willebrand – è intimamente connessa con la produzione endogena dei radicali liberi dell’ossigeno e dell’endotelina-1, notoriamente dannosi per le arterie. E non solo: il gruppo ha messo a punto un protocollo di terapia genica riuscendo a “silenziare” il gene responsabile della sintesi del fattore di von Willebrand. In breve, inibendo il gene la “macchina” per la produzione di stress ossidativo dannoso si spegne.
Lo studio è stato pubblicato su Scientific Reports e alla ricerca hanno collaborato il Laboratorio di Biochimica e Biologia Molecolare, coordinato da Silvia Del Ry, dell’Istituto di Fisiologia Clinica del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Pisa e la Fondazione Toscana G. Monasterio.

“Il fattore di von Willebrand è una proteina la cui funzione è nota in letteratura dal 1926 nellacoagulazione del sangue, in relazione al ruolo delle piastrine. Solo oggi abbiamo compreso che questa molecola svolge un ruolo importante anche nelle cellule endoteliali, cioè indipendentemente dalle piastrine”, spiega Vincenzo Lionetti, responsabile dello studio e coordinatore del TRANCRILAB. Nel 1978 venne pubblicato il primo studio su questa proteina, che osservava come nei maiali affetti da Malattia di von Willebrand – caratterizzata da ridotti livelli del fattore di von Willebrand o da una sua ridotta attività – si riducevano i danni alle coronarie e i maiali non si ammalavano di aterosclerosi. “Per anni questa osservazione è stata dimenticata, dato che non si capiva come un fattore coinvolto nella coagulazione preservasse le cellule endoteliali, e per questo i suoi effetti sull’aterosclerosi sono stati considerati un epifenomeno”, racconta Lionetti. “Poi nel 2011 un articolo pubblicato sulla rivista Blood ha messo in luce nuovamente la funzione endoteliale del fattore di von Willebrand, in particolare nel modulare la formazione di nuovi vasi”.

Quello che il gruppo di Lionetti ha provato a fare è stato dunque disegnare un protocollo sperimentale in cui veniva silenziata l’espressione genica del von Willebrand nelle cellule endoteliali per osservarne gli effetti. La prima osservazione tuttavia non è stata positiva: le cellule silenziate non mostravano nessun cambiamento in assenza di stress. I ricercatori hanno dunque provato a esporre le cellule silenziate in un ambiente ricco di angiotensina II, un ormone altamente prodotto durante aterosclerosi, e lì si è verificato il fenomeno: la produzione di stress ossidativo ed endotelina-1 si arrestava.

“Con la terapia genica possiamo agire sull’espressione del DNA delle cellule per curare le malattie. Nella maggior parte dei casi si utilizzano vettori virali per veicolare la sonda genica, ma il nostro approccio vorrebbe utilizzare nanovescicole endogene, non sintetiche ma umane. Cavalli di troia meno rischiosi dei vettori virali, che possono invece innescare una reazione immunitaria in alcuni soggetti rendendo la terapia non adatta a tutti.” Per questo approccio si sfrutterà l’abilità naturale delle cellule endoteliali di inglobare le nanovescicole.

“Attualmente si tratta di una scoperta che cambia il punto di vista sul problema e apre le porte allo sviluppo di farmaci capaci di intervenire a livello genetico impedendo la formazione finale delle placche aterosclerotiche, che sono alla base di numerose malattie d’organo”, conclude Lionetti. “Tuttavia, per iniziare a ragionare in questo senso abbiamo bisogno di un partnerbiotech che ci aiuti a sviluppare la tecnologia per uso clinico e un supporto finanziario adeguato, che al momento stiamo cercando. Una volta ottenuti saremo in grado di partire con lo studio clinico vero e proprio per sperimentare gli effetti di questa scoperta sui pazienti in termini di terapia.”

@CristinaDaRold

Crediti immagini: Umberto Salvagnin, Flickr

Questo articolo è stato pubblicato qui

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