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Claudio Lattanzi ci parla della mafia in Umbria

Non si sente tosto. Eppure, è per merito delle sue inchieste, che l’Umbria comincia a prendere coscienza di essere assediata dalla mafia e a conoscere intrecci robusti tra malaffare e politica.

Si tratta di Claudio Lattanzi, nato ad Orvieto nel 1970, laureato in Scienze politiche all’Università di Perugia e giornalista de La Nazione, autore di parecchi libri scandalo. Il primo, un’inchiesta sul sistema di potere nella città di Orvieto, dal tiolo “Orvietopoli, la casta, gli affari, la politica all’ombra della rupe”, che ha destato scalpore, soprattutto per la denuncia dei conflitti d’interesse di uomini politici e personaggi di potere.

Il secondo libro "Scacco al monsignore", sui retroscena legati alla clamorosa destituzione dell’ex vescovo Giovanni Scanavino, al centro di una macchinazione ordita contro di lui da una parte del clero. Ma il libro che ha sollevato più polemiche è l’ultimo. Intitolato Mafia in Umbria-Cronaca di un assedio (Ed Intermedia).

Dunque, Claudio, l’Umbria deve al suo lavoro scoperte piuttosto scomode. Da quanto lei scrive, sembra che solo da qualche anno si stia cominciando a fare i conti con una triste realtà. Ma perché solo di recente? Colpa dei media locali, delle istituzioni, che sulla colonizzazione della mafia in Umbria preferiscono tacere?

Io mi sono semplicemente limitato a fare una sintesi organica delle inchieste, che la magistratura umbra, a volte su input delle procure del sud, ha condotto nel corso dell’ultimo periodo. La cosa abbastanza paradossale è che non c’è nulla da scoprire.

In che senso?

Si tratta solo di guardare nella sua completezza un fenomeno serio, di cui finora non era stata proposta una lettura completa. Non credo che l’informazione umbra abbia delle responsabilità, perché è la natura stessa di queste mafie che “non fa notizia”. Un conto è un morto ammazzato su un marciapiede in una città dell’Umbria, un altro è l’infiltrazione mimetica, invisibile e silenziosa nel sistema economico regionale, di cui ci si accorge, quando va bene, solo se c’è una qualche operazione giudiziaria clamorosa, come il recente sequestro dell’immobile di Ponte San Giovanni, che si presume essere finito nella disponibilità di un clan vicino al casalesi.

Gli effetti di queste infiltrazioni sono in qualche modo evidenti?

Provocano solo un inquinamento progressivo della vita economica e alla fine un restringimento delle libertà personali dei cittadini.

E non è pocoDa quanto tempo è presente in modo massiccio la mafia in Umbria e cosa fanno le forze dell’ordine per fronteggiarla? Soprattutto, cosa ha favorito la presenza della mafia in Umbria?

L’incubazione del fenomeno è in atto da un paio di decenni, favorita dalla presenza di mafiosi nei supercarceri umbri, in cui si applica il regime del 41 bis, cioè le norme di carcere duro, previsto per i mafiosi, ma anche dalla presenza non trascurabile di soggetti inviati qui al soggiorno obbligato. Un altro elemento di contaminazione è stato il grande business della ricostruzione post sismica, che si è concretizzata in un dieci per cento di cantieri, affidati alle imprese campane pari a 916 appalti, ognuno dei quali di un valore medio pari a 277 mila euro.

E poi?

L’Umbria è anche un ottimo posto dove nascondersi, lontano dalle via di comunicazione e con una sensibilità sociale bassissima verso il fenomeno mafie. Anche per questo motivo l’interesse di queste organizzazioni è quello di avere alcune zone tranquille, che coincidono con le aree di colonizzazione economica o che sono vicine a quei territori, in cui la presenza dei clan malavitosi è ormai dilagante come il litorale laziale (Anzio, Nettuno), ma ultimamente anche la limitrofa provincia di Viterbo.

Cosa ha scoperto di preciso nelle sue inchieste? Quali sono i settori "assediati"? E, soprattutto, meglio parlare di ‘ndrangheta?

‘Ndragheta e camorra, cioè i casalesi, sono le mafie più agguerrite, anche perché il loro modello organizzativo è calibrato sull’espansione di zone esterne a quelle dei loro insediamenti originari. Nella provincia di Terni e nello Spoletino - Folignate si registra anche una presenza significativa di personaggi ritenuti vicini a Cosa Nostra. La mafia siciliana è da anni in fase di ridimensionamento e queste presenze nella parte meridionale della regione sembrano confermare il fatto che l’Umbria, oltre ad essere terra di nuova colonizzazione, continua ad essere ancora un luogo privilegiato per nascondersi.

Le mafie hanno soprattutto l’esigenza di riciclare i proventi enormi del narcotraffico, ma anche di controllare aziende umbre per ricevere appalti pilotati al sud, come ha dimostrato l’operazione Naos, o ancora per mettere in piedi attività commerciali pulite o per realizzare operazioni ibride, come nel caso dell’immobile di Ponte San Giovanni che, oltre alla vendita dei 320 appartamenti, era finalizzato a fungere da garanzia patrimoniale per ottenere affidamenti bancari in una pluralità di istituti di credito.

Dunque, l’Umbria, regione dominata non solo dalla massoneria, dai “rossi” e dalla Chiesa. E’ così? Che tipo di rapporti ci sono tra tutti questi soggetti?

Un conto è il clientelismo politico, un conto è l’infiltrazione mafiosa. Leonardo Sciascia diceva che se ogni forma di potere la si definisce come “mafia”, si rischia di non capire più cosa sia la mafia vera. Nel libro ci sono alcune testimonianze, che attestano come l’infiltrazione mafiosa sia arrivata a lambire anche la politica umbra, ma il sistema di potere che governa l’Umbria è una cosa diversa. Ciò non significa che nelle forme degenerate, legate ad un sistema politico cristallizzato da sessant’anni non si annidino comportamenti al di fuori della legge.

Non sarà forse un caso se il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Perugia, che si è occupato dell’indagine sui presunti appalti truccati alla provincia di Perugia, abbia usato l’espressione “sistema mafioso”, legato al corto circuito tra imprenditori e funzionari, accusati di essere corrotti.

Dopo l’uscita del suo libro cosa si aspetta? La società civile reagirà in qualche modo? Quanto la Regione ha dato importanza alle sue scoperte?

La società umbra è interessata ad approfondire l’argomento anche a partire da questo libro. Credo che sia un segnale positivo ed incoraggiante. Il Presidente della Commissione Regionale sulle infiltrazioni mafiose, Paolo Brutti, ha deciso di acquisire questa inchiesta agli atti della commissione. Ci sono normative regionali da aggiornare a partire dall’esigenza di ridurre in Umbria il ricorso alla pratica dei subappalti.

E veniamo a lei. Ha avuto minacce?

No

Ha paura?

No

Si sente tutelato?

Credo di non averne bisogno.

Non teme ripercussioni sulla sua famiglia?

No

Quanto si sente tosto?

Mi sento uno che fa il suo lavoro, assecondando la propria curiosità e voglia di capire.

Qual è il giornalista che ha sempre ammirato?

Ammiro molto Alberto Ronchey, un giornalista che parlava sempre con le cifre e i dati oggettivi. Mi piacciono i giornalisti non conformisti, quelli che non hanno una verità preordinata da dimostrare e concepiscono il potere non come un mondo in cui entrare, ma una realtà a cui guardare con sospetto e l’attitudine a svelarne le dinamiche.

Tra poco uscirà un altro libro. Il quarto. Può darci qualche anticipazione?

Sarà un’inchiesta sul potere in Umbria. Chi comanda davvero in questa regione, in una sovrapposizione tra politica, imprenditoria, massoneria, chiesa.

Ha anche un’agenzia di pubblicità e una casa editrice. Dove trova il tempo per fare inchieste così “pesanti”?

Con la mia socia, gestisco queste aziende, la cui sede si trova ad Orvieto. La casa editrice ha l’ambizione di svolgere un ruolo di approfondimento su tanti temi umbri poco indagati, perché qui c’è molta informazione, ma anche lo spazio per svolgere importanti inchieste. Il problema del tempo è notevole, diciamo che sottraggo parecchie ore al sonno e sacrifico tanti week end.

 

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