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Cirio: un anima tutta piemontese, che pochi conoscono

Di Claudio Toce.

Generalmente gli archeologi che vanno in Egitto scoprono delle antichità egizie (e che altro?) ma, invece, capita che si imbattano (per caso) in oggetti di tutt'altra provenienza e non ci riferiamo alle improbabili tracce di Ufo arrivati lì per costruire le piramidi. Per esempio, il fortunoso ritrovamento di due lattine vecchie di un secolo documenta una pagina quasi dimenticata della storia della Cirio nonché della storia dell'Esercito italiano.

Un gruppo di ricercatori dell'Istituto Archeologico di Vienna, lavorando su due villaggi abbandonati nella regione egiziana della Nubia, ha rinvenuto due lattine con marchio Cirio, databili intorno al 1923, che in origine contenevano rispettivamente estratto di pomodoro e concentrato di carne.

Appunto, ma chi era Cirio?

CIRIO, Francesco. - Nato a Nizza Monferrato (Asti) il 25dicembre del 1836 da Giuseppe e Luigia Berta, di estrazione modestissima, trascorse l'infanzia nel vicino paese di Fontanile, dove il padre, già fallito come mediatore di granaglie, si provò a esercitare, senza fortuna, una piccola rivendita di generi alimentari. La condizione familiare gli impedì gli studi e lo costrinse a lavorare fin dalla prima adolescenza: fu sterratore ad Alessandria, garzone di pastificio a Torino, manovale a Genova. All'inizio del 1850 si stabilì a Torino e si dette al commercio girovago degli ortaggi, in proprio e per conto di alcuni grossisti, tra cui la ditta Gamba, lavorando contemporaneamente come scaricatore allo scalo ferroviario.

Attirato dalle possibilità di collocamento dei prodotti orticoli sui mercati francesi, nel 1855-56 viaggiò tra l'Italia e la Francia, da Spoleto a Parigi, avventurandosi in un precario - ma redditizio - traffico di esportazione, che coinvolgeva anche pesci d'acqua dolce e tartufi.

E qui inizia la storia:

l'uomo che ha inscatolato l'Italia in una soffitta di via Borgo Dora (Torino), dai muri anneriti, più antro che laboratorio, provando e riprovando sistemi di cottura sul fuoco del camino, rimestando verdure dentro due grandi mastelli da bucato, tra manciate di sale e mestoli d'aceto, ingaggiando e alla fine vincendo, la sua battaglia contro aria, botulino e altri batteri, perlopiù ancora sconosciuti (d'altronde siamo verso la fine dell'Ottocento).

Aveva un'ossessione, che solo un secolo più tardi i pubblicitari avrebbero trasformato in slogan: "Ciò che natura crea, Cirio conserva".

A modo suo, aveva in mente la globalizzazione dei mercati e quell'Italia unita che altri avrebbero effettivamente realizzato. Uomo risorgimentale con imbarazzanti mustacchi e pessimo carattere, il padre di tutte le conserve fece appena in tempo a vedere il passaggio del nuovo millennio morendo a Torino cento anni fa, il 9 gennaio del 900: ha sessantaquattro anni e sul letto di morte, stando a quanto tramandano i testimoni, si dimostra abbastanza seccato perché, dice, "non ho ancora finito l'opera mia".

Più o meno come Cavour, col quale lavorò nella sua sfida contro le leggi della decomposizione, Cirio comincia dai legumi, dopo molti rimestamenti e, immaginiamo, molti sprechi, i primi piselli in scatola fanno effettivamente la loro comparsa al mercato di Porta Palazzo nel 1875.

È inverno, una fitta nebbia avvolge Torino e superata la comprensibile differenza delle madamine torinesi, grande è la meraviglia per il sapore di primavera che arriva, intatto sulla tavola, insieme al cavolo e alla polenta.

I primi destinatari, e forse anche un po' cavie, furono i soldati piemontesi in Crimea che sopravvivono anche alla prova scatoletta. È fatta.

Nasce l'industria della conservazione, uno dei tanti miracoli torinesi di cui s'è persa memoria.

Il piemontese Cirio aveva cominciato a lavorare bambino, come tanti, scaricando cassette di verdura e vendendo sulla strada di Fenestrelle gli ortaggi raccolti a Nizza Monferrato.

A quindici anni aveva già spostato al Balon (storico mercato delle pulci) il suo banco, con un chiodo fisso " riuscire a conservare le verdure il tempo necessario per venderle in Francia" dove, a causa degli gli ottocenteschi mezzi di comunicazione, sarebbero arrivate clamorosamente marce.

È un segreto da capire "il metodo Liebig", di cui in quegli anni si cominciava a parlare, la strada all'inscatolamento perfetto, non dev'essere stata priva di salite e s'immaginano i tempi di cottura sbagliati, le pentole di piselli e cetrioli andati a male.

Di certo fallisce la prima spedizione di legumi a Vienna, nella primavera del 1869, la nascente linea ferroviaria funziona a singhiozzo e la merce arriva a destinazione già maleodorante.

Dopo i legumi, più facili da conservare, vengono le verdure e poi la frutta, la carne.

Lasciata la soffitta, quella soffitta annerita dal fumo degli esperimenti, il pioniere delle conserve, che ora al balon tutti chiamano "Luis", che per i torinesi più diffidenti è sinonimo di dritto", ha messo la sua boita (bottega), s'allarga e nel giro di pochi anni scopre il Meridione, dove apre i primi stabilimenti e, nel frattempo, inventa anche i carri ferroviari refrigeranti.

Ormai commercia con mezza Europa, manda quaglie in Russia, cavolfiori in Austria, uova in Ungheria e, persino, patate in Germania.

Nell'85 il ministro Depretis è costretto a varare una legge Cirio per concedere alla ditta particolari agevolazioni fiscali.

Per il povero "Luis", abile quanto si vuole, ma sprovveduto è un po' l'inizio della fine: avversari e concorrenti invidiosi lo accusano di essere uno speculatore, i cattivi consiglieri accorrono a frotte, morirà senza aver visto la sua azienda risollevarsi dalla crisi nella quale era temporaneamente sprofondata, ma dopo aver orgogliosamente rifiutato una candidatura a deputato con un molto piemontese telegramma "In parlamento sarei uno spostato".

Bella storia quella del Signor conserva: quando comprerete i piselli in scatola oppure i pelati, ricordatevi di questo Signore.

Foto: sito Cirio

 

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