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Chi sta comprando Internet?

I recenti accordi tra i motori di ricerca di Google e Microsoft con Twitter e Facebook riaprono la partita della net neutrality. E’ proprio così? Quali implicazioni avrà col futuro della rete?

La rete è ancora neutrale? La domanda è ormai drammaticamente attuale dopo quanto è accaduto in questi ultimi giorni. 

La guerra sulla net neutrality sembrava vinta dal punto di vista legislativo. L’insidiosa legge che gli uomini di Bush avevano fatto arrivare al senato americano, e che di fatto consegnava il controllo del traffico on line ai grandi net provider (le telecom in europa e AT&T e Verizon in Usa), era stata di fatto affossata da Obama

Tutto a posto quindi? Nemmeno per idea

Quello che non è riuscito alla politica sembra realizzarsi per mano del denaro. Infatti nei giorni scorsi una sequenza di accordi fra i grandi global player dei servizi on line (Google, Facebook, Twitter e Microsoft) hanno aperto un varco micidiale nella rete. Le intese che tutti hanno fatto con tutti, e che vede la pulce Twitter al dentro delle mire dei colossi Google e Microsoft, stanno riclassificando il valore ancora neutro della navigazione in rete. Sia Microsoft che Google infatti hanno pagato grandi somme a Twitter, ed anche a Facebook, per poter pescare nel serbatoio dei cinguettii che arrivano da tutto il mondo. Questo significa che le risposte alle nostre query su Bing o su Google vi saranno anche i contenuti dei social network.

Ma questo significa anche che gli stessi contenuti dei social network, la loro gerarchia, la loro pertinenza, la loro interpretazione saranno piegati al marketing dei service provider. Si allarga di fatto l’area delle inserzioni, ossia di quelle presenze di contenuti che è stata contrattata, e dunque pagata, dai produttori.

La rete rischia di diventare un’enorme bacheca di avvisi pubblicitari. 



E’ chiaro che il rischio paventato è ancora di là da venire. 

E’ molto probabile che l’intelligenza collettiva del miliardo e mezzo di utenti sventerà questa possibilità. 

Ma al momento il quadro è questo. E la prima conseguenza di questa commercializzazione non è tanto che è svanita l’atmosfera un po’ naif dei primi tempi, quando non si capiva quale potesse essere il modello di business della rete, e tutti ci si accalcava, stupiti che il denaro fosse un accidente e non il motore del tutto. Forse quel clima non è mai esistito a giudicare dalle revenue sempre incassate dai grandi ideatori dei prodotti on line. 

Il problema è che con gli accordo di questi giorni si metta in moto ancora una volta una reazione a catena, che porta tutti i protagonistio del web, a cominciare dai centri servizi di connessione, a rivendicare parte della nuova torta.

Insomma la pretesa delle Telecom e di AT&T uscita dalla porta potrebbe rientrare dalla finestra. Così come la pretesa di certi governi, a fronte di una sfacciata commercializzazione da parte dei service provider, potrebbe farsi più pressante nel controllo economico (nuove digital tax?) e politico del traffico on line. 

Insomma in rete sta accadendo qualcosa di importante e sarebbe bene parlarne, molto e tutti.

 

Commenti all'articolo

  • Di Damiano Mazzotti (---.---.---.242) 23 ottobre 2009 17:37
    Damiano Mazzotti

    E inevitabile prima o poi i soldi si comprano quello che vogliono...

    Però possiamo ralllentare il processo e porre dei paletti con i limiti si ci impegnamo tutti a livbello internazionale...

  • Di Rocco Pellegrini (---.---.---.3) 23 ottobre 2009 18:42

     No non condivido molto il tuo ragionamento Michele e provo a spiegare perchè.
     Nessuno sta comprandosi Internet per la semplice ragione che nessuno può comprarla, neanche se fosse re Mida, il mitico sovrano che trasformava in oro tutto quel che comprava. Uscendo dalla simbologia la rete è per l’umanità e vive finchè tale resta, cioè aperta e libera. Qualora fosse limitata, qualora i regolamenti contro la net neutrality prendessero il sopravvento ciò comporterebbe un minore interesse della grande maggioranza degli utenti per la rete e così verrebbe meno la gallina delle uova d’oro. Oggi la rete così com’è garantisce lo sviluppo e costituisce la piattaforma base per un processo anticiclico che rimetta in moto lo sviluppo: così com’è, ripeto.
     Ma non voglio sottrarmi al cuore del tuo ragionamento cioè al significato che hanno gli accordi commerciali tra Google e Twitter e tra Microsoft e Twitter. Secondo molti analisti la quantità di cinguettii, che si muovono contemporaneamente, è così grande che neanche i sofisticatissimi servizi di Google e di Microsoft riescono ad intercettarli tutti in tempo reale: questo impedisce ai motori di ricerca di dar nozioni sui fenomeni che avvengono in tempo reale, sul cosiddetto flow web, su quel flusso istantaneo che sta diventando ogni giorno più importante per capire le tendenze nei più svariati settori di attività.
     Chi legge le discussioni che avvengono sulla ricerca di rete sa benissimo che da qualche anno è proprio questa l’accusa principale che si fa ai motori di ricerca: intercettano il passato e non il presente in divenire. Non è un’ossessione temporale questa ma è una realtà perché sapere un trend in formazione può dare grandi vantaggi competitivi.
     Ora è evidente che costa di meno fare un accordo con chi detiene questo servizio perchè fornisca il flusso pubblico al motore di ricerca attraverso un formato leggibile alle macchine (xml o json o altri ancora) piuttosto che impegnare milioni di spider alla ricerca dei tweets che volano nel rumore vorticoso de mondo della rete. Ed è proprio questo che spiega l’accordo di Google e Microsoft con Twitter. Twitter vende il flusso e questo cost di meno che inseguirlo nella rete. Punto e basta. Come spesso accade si spendono soldi per guadagnare ed avere dei vantaggi.
     Che c’è di strano? Quale è la minaccia? Francamente non la vedo ed il tuo ragionamento mi sembra un pò basato su paure o sul processo alle intenzioni. Per inteso la stessa cosa varrebbe anche per Facebook.
     Infine mi pare di poter dire che ai due grandi convenga pagare questi servizi in crescita piuttosto che averli come competitori nella violenta battaglia che c’è tra Microsoft e Google per il controllo della torta grandissima pubblicitaria che è la ricerca di rete. 
     Concludendo, nessuna paura, nessun Attila alle porte.
     Sic rebus stantibus.
     

  • Di Damiano Mazzotti (---.---.---.34) 24 ottobre 2009 00:54
    Damiano Mazzotti

    A me risulta che i server centrali dei grandi gruppi sono tutti negli Stati Uniti...

    Qualora un leader degli stati uniti volesse interrompere grand parte dei flussi lo potrebbe fare...

    A suo rischio e pericolo di perdere tutta la credibilità e il controllo di interi contineti... 

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