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Chi (o cosa) fermerà la precarietà?

Crisi dell'imprenditoria, licenziamenti e disoccupazione: il filo conduttore è la precarietà del lavoro. Eppure una piccola mossa per risolvere la questione c'è: e non è la flessibilità del lavoro, che anzi potrebbe creare più disoccupazione di adesso.

Ultimamente assistiamo al continuo evidenziamento della crisi dell’imprenditoria: il “suicidio di un imprenditore” è un titolo molto in voga, ma spesso ci si dimentica di mettere sotto la lente d’ingrandimento anche la situazione dei lavoratori. Per capirci, coloro che l’articolo 18 l’hanno soltanto letto sullo Statuto o sentito in Tv.

Proprio mentre il Parlamento s’appresta a varare la cosiddetta “riforma del lavoro”, che non fa altro che aumentare la flessibilità dello stesso, quasi come se fosse uno stimolo alla crescita economica, è opportuno sottolineare come ancora non siano state prese contromisure adeguate all’aumento incondizionato della precarietà, e in linea più generale della disoccupazione.

I morti sul lavoro non fanno quasi più notizia: a meno che non si tratti di eventi relativi a qualche concerto famoso. La sicurezza sul lavoro è vista come una pratica scomoda, è sempre meglio versare qualche lacrima in seguito all’accaduto che ingegnarsi in periodi di formazione e investimenti di prevenzione.

Di sindacati pronti a tutelarne le istanze manco a parlarne. Hanno già le proprie tessere cui tutelare gli interessi, come se non gli importassero altre iscrizioni. Il sistema ormai, ci considera come meri strumenti di una catena economica produttiva, basata sul consumo asfissiante e maniacale; da questa catena non è dato uscirne, pena l’emarginazione, che può condurre facilmente al suicidio.

Un circolo vizioso che s’è dimenticato che stiamo parlando di esseri umani, ha quasi dimenticato i valori fondanti della persona che hanno dato il via alle rivoluzioni a cavallo tra il ’700 e l’800. Una burocrazia eccessiva che frena lo spirito imprenditoriale e l’intraprendenza, mentre risalta leggi inutili ed ipocrite, creando danni per decine e decine di miliardi.

Una piccola, ma grandissima soluzione per contrastare la precarietà potrebbe essere l’introduzione di una forma di reddito minimo di cittadinanza. L’Italia su questo è sempre venuta meno ai vincoli del trattato di Maastricht, e forse siamo arrivati al momento in cui risulta fondamentale metterlo al centro dell’agenda politica. Non è una trovata per favorire i fannulloni, ma un modo per far diventare il lavoro da “necessità” a “esplicazione del proprio essere”. Non è molto inconveniente dal punto di vista economico, e se la Fornero (o chi per essa) dice di avere a cuore le sorti dei più giovani, non c’è riforma previdenziale alcuna migliore di questa, che favorisca le persone prima delle cose.

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