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Caso Moro: presto nuove carte, ma è buio sulla segreteria speciale del Viminale

Al tempo del sequestro Moro esisteva una segreteria di sicurezza che filtrava tutti gli atti sensibili, una sorta di imbuto delle informazioni delicate.

Lo rivelò nel 1992 il prefetto Vincenzo Parisi che non mancò di fornire pochi ma significativi, pregnanti, particolari, disse che si trattava della: 

struttura istituita sulla base del Patto Atlantico e della Nato, in virtù della quale nel trattamento delle notizie riservate ciascun paese informa tutti i paese dell’alleanza. Vi sono pertanto vincoli di registrazione e di conservazione, addirittura in luoghi blindati eccetera. (…) Vi sono criteri di conservazione assolutamente protettivi.

La faccenda non ebbe seguito, anche se meritava. Parisi parlò nel corso di una audizione nella quale il radicale Cicciomessere gli chiese spiegazione su documenti scomparsi relativi al caso Moro: fotografie e registrazioni. Il Ministro dell’Interno Cossiga il 30 marzo del 1978, a pochi giorni dalla tragica conclusione dei 55 giorni, chiese alla magistratura di inviare al Viminale tutti gli atti dell’attività istruttoria. Ma, seguendo le tracce di quegli atti, disse il radicale, mancano carte, come peraltro denunciò anche il magistrato Rosario Priore. Parisi minimizzò e disse che: "Atti come [quelli] non potevano sparire, se fossero arrivati sarebbero stati conservati nella segreteria speciale", chiudendo lì, pare per sempre, la partita.

Eppure sarebbe ancora oggi assai interessante, per capire i limiti della nostra sovranità nazionale, sapere quale fosse l’indirizzo finale al quale venivano destinate quelle carte, chi le aprisse e cosa ne facesse.

Tempo dopo, precisamente il 28 agosto del 1998, l’allora ministro dell’Interno, Giorgio Napolitano, aprì in parte quelle stanze e inviò parte del materiale (forse molto pregiato) alla Commissione Stragi. Ancora oggi si tratta di carte coperte ma attenzione: non c’è in ballo nessun segreto di Stato, spesso, e a sproposito, evocato dalla pubblicistica. Quello è regolato dalla legge di riforma dei Servizi Segreti, la norma più generale, e più diffusamente applicata, è quella che riguarda la declassificazione degli atti di tutta la Pubblica Amministrazione ed e' contenuta in un Testo Unico del 2000. Questa norma prevede la declassificazione di tutti gli atti "coperti" oltre i 40 anni ma, nel caso di documenti contenenti dati sensibili relativi alle persone, prevede una attesa di ben 70 anni. Un tempo infinito e insostenibile di fronte alla necessità di verità sulla strategia della tensione che ha segnato il nostro paese.

Tra breve, entro maggio, saranno desecretati i fascicoli sul sequestro e l'uccisione dello statista della Democrazia Cristiana conservati negli archivi della nostra Intelligence. A maggio, infatti, cadranno i trent'anni dalla chiusura della prima inchiesta. Ma attenzione: la maggior parte dei documenti è già "declassificata" e consultata dalla Commissione d'inchiesta sul caso Moro e dalla Magistratura. Sul sequestro di Aldo Moro mancherebbero da desecretare circa 1200 pagine. Ma è completamente buio sulle carte delle segreterie speciale di cui parlò Parisi: a quando la loro completa declassificazione? Finora restano senza risposte le interrogazioni parlamentari presentate da Gero Grassi e Marco Carra ma è chiaro che la questione non potrà finire nel dimenticatoio.

E comunque resta un interrogativo di fondo molto inquietante: a che serviranno tutte queste carte se ogni nuova ipotesi investigativa viene intossicata? Prendiamo il caso delle recenti rivelazioni dell’ex ispettore Enrico Rossi sui passeggeri della moto Honda che – sicuramente – passò in via Fani durante l’agguato e da cui partirono - sicuramente - gli spari che colpirono, schivandolo, Alessandro Marini, casualmente lì quella mattina. La sua storia è molto interessante ma subito dopo abbiamo visto la micidiale messa in opera di un’operazione di intossicazione molto grave:

1. Qualcuno ha rivelato il nome di uno dei due passeggeri (Fissore). Rossi non lo aveva fatto per tutelare le successive inchieste, chi è (S)tato?;

2. All’improvviso oscuri e innominati testimoni dicono che quell’uomo, Antonio Fissore, il 16 marzo era con loro;

3. Segue il rammarico, comprensibile, dei figli di Fissore, allora piccoli, perché il nome del loro papà è stato associato ad un evento così tragico;

4. Una ampia pubblicistica riporta alla luce la favola metropolitana di Peppe e Peppa, due autonomi del Comitato romano Primavalle che, pur non essendo mai stati interrogati e pur non avendo nulla a che fare con il caso Moro, vengono insistentemente e senza nessuna ragione indicati come i noti passeggeri della Honda, ancorché a loro insaputa;

5. Viene ribaltata l’unica certezza granitica del caso Moro, cioè che i “due dell’Honda” non hanno niente a che fare con le Br, così come dichiarano sempre, e incredibilmente senza contraddizione, tutti i brigatisti.

La lista delle anomalie potrebbe seguitare ma lasciamo stare, riflettiamo piuttosto sul fatto che finché non cadrà il muro dell’omertà degli apparati dello Stato, e finchè non ci sarà una classe politica pronta ad assumersene le conseguenze, non potremo ottenere nulla. Neanche l’apertura delle carte segrete potrà aiutarci nella ricerca della verità tanto quanto ha tentato di fare – ancora speriamo non inutilmente – l’ex ispettore Rossi. 

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