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Strage di Capaci. Rino Formica: "Nel maggio ’92 l’Fbi prese in mano le indagini"

Rino Formica, esponente di spicco del Partito socialista, un tempo venivo chiamato, dentro e fuori il partito, "il matto", e non era una definizione irrispettosa. Tutt’altro. Spiegò Paolo Guzzanti che l’appellativo veniva pronunciato con ammirazione, perché gli si riconosceva "il dono di saper mettere in imbarazzo il prossimo con verità feroci".

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Rino Formica

Lo abbiamo incontrato nel suo studio romano e non ha affatto smentito oggi queste sue qualità.

Parlando, tra l’altro, della strage di Capaci, l’ex senatore ha ricordato che ancora adesso non è chiaro come fu possibile che dopo quel tragico evento nel quale furono ammazzati Giovanni Falcone, sua moglie Francesca e tre uomini della sua scorta, il coordinamento delle indagini fu assunto "dall’Fbi sotto il naso dello Stato". Secondo Formica, tutte le autorità italiane sapevano ma nessuno potè intervenire perché ci fu "una delega del controllo delle indagini".

In effetti, è ampiamente noto che a Palermo giunsero esperti e agenti speciali dell’Fbi che avrebbero dovuto collaborare alle indagini. La disponibilità degli uomini della polizia federale americana era stata preannunciata dall'allora ambasciatore degli Stati Uniti in Italia, Peter Secchia, proprio a Palermo, durante i funerali delle vittime della strage. L’ambasciatore Secchia aveva detto che il direttore dell'Fbi, William Sessions, ed il ministro della Giustizia degli Stati Uniti, William Barr, avevano offerto agli investigatori italiani la loro professionalità e determinazione a scovare gli assassini. Falcone con gli inquirenti statunitensi da anni aveva uno strettissimo rapporto di collaborazione. Qualche giorno dopo le bombe di Capaci si disse ufficialmente che non era "ancora precisato con quali compiti" sarebbero sbarcati gli statunitensi. Gli inquirenti non vollero "rilasciare in proposito alcuna dichiarazione".

L’arrivo dei super esperi americani fu confermato il 29 maggio dall'ufficio stampa dell'ambasciata americana a Roma che non specificò quanti agenti ed esperti dell'Fbi sarebbero stati impiegati. ''Posso soltanto dirvi – disse un portavoce dell' ambasciata Usa - che il governo italiano ha accettato la nostra offerta di assistenza che sarà fornita". Certamente non è a tutt’oggi nota pubblicamente la perizia sulla natura degli esplosivi che venne messa a punto separatamente dagli esperti del Fbi. Si sa, però, che l'esplosivo utilizzato dagli attentatori era in massima parte tritolo, che resiste agli effetti delle variazioni di temperatura e umidità dovuti alla posa in un cunicolo. La carica infatti era stata collocata alcuni giorni prima dell'attentato in un scolo per le acque piovane, sotto l'autostrada Palermo-Punta Raisi, in prossimità dello svincolo di Capaci. Ma quello era il contributo di morte dei mafiosi, come ha ampiamente spiegato anche il pentito Gaspare Spatuzza.

Solo poco tempo fa il boss-pescatore Cosimo D’Amato, cugino di Cosimo Lo Nigro, e già condannato in appello per le stragi nel continente, è stato accusato di aver messo a disposizione del clan Brancaccio il tritolo, all’incirca una tonnellata nel biennio 1992-1994. Altre indagini e una lucida requisitoria del Pm Tescaroli dimostrarono che c’era stata un’altra mano e che altre sostanze di tipo militare erano state messe a disposizione per la strage e per garantire la sua effettiva realizzazione. 

Tanti interrogativi potrebbero trovare risposte dalle nuove indagini. Intanto Formica "il pazzo" ha spiegato bene perché, dal suo punto di vista, il controllo delle indagini fu delegato. Secondo lui la nostra sicurezza è sempre stata piena di buchi, una specie di gruviera dove entravano "vermi". La linea seguita dal nostro paese è sempre stata quella della "neutralità della conoscenza". Però anche voi, senatore, non avete capito, o sbaglio? "Sì certo, anche noi abbiamo sbagliato perché non ci siamo posti il problema degli infiltrati nello Stato". 

 

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