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Carlo Giuffrè esce di scena... per sempre

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Sei giorni consecutivi, dal 1 al 6 febbraio del 2000. Sono trascorsi poco meno di diciotto anni, ma la tenuta di uno spettacolo teatrale per una settimana consecutiva è un record che appartiene a Crotone e al teatro Apollo. A memoria d’uomo, vicino a quei numeri ci era andato solo Nino Taranto con uno spettacolo di varietà, sempre nello stesso teatro, sempre a Crotone. Ma a febbraio di diciotto anni fa andò in scena “Natale in casa Cupiello” diretto e interpretato da Carlo Giuffrè che all’età di circa novanta anni è uscito definitivamente di scena, dalla scena della vita stavolta.

Le sue sei serate di repliche al teatro crotonese furono sei tutto esaurito; l’ultima domenica pomeriggio del sei febbraio del 2000, appunto. Fu un vento eccezionale e irripetibile per la cultura crotonese, ma d’altra parte quell’anno correva il primo centenario della nascita di Eduardo De Filippo e le cose che accaddero tra palco e platea furono eccezionali. La gente accorreva ogni sera, ma quella domenica pomeriggio, giorno dell’ultima replica, il pubblico in sala era quello che si era abituati a vedere quando al cinema trionfavano i western ed i colossal.

Un pubblico fatto di famiglie, nonni compresi, con prole al seguito e tutto il necessario per ruminare durante il corso del film, se non fosse che quella volta si trattava di uno spettacolo teatrale dal vivo.

Questa cosa non poteva sfuggire a Carlo Giuffrè, e quando tra gli applausi scroscianti e la comprensibile standing-ovation finale si avvicinò alla ribalta per ringraziare e salutare, non aveva quasi completamente voce per via di un malanno che egli accusò per tutta la tournee. Una faringite, niente di più, ma egli, ipocondriaco di suo, ci vedeva i segni premonitori della malattia che aveva colpito suo fratello Aldo. In sala calò un silenzio surreale e quasi bisbigliando il grande attore, dopo aver ringraziato chi lo aveva invitato, la Provincia di Crotone, e aver confessato che vedeva quella sei giorni come una scommessa impossibile eppure tanto incredibilmente vinta, raccontò direttamente al pubblico quali erano state le sue impressioni e le sue emozioni nel corso di quella ultima replica crotonese di “Natale in casa Cupiello”.

Giuffrè paragonò quella pomeridiana al senso più antico e autentico del teatro; quello dove il pubblico era davvero la quarta parete laddove tutto si consumava nella piena normalità di una vita quotidiana circoscritta in uno spazio definito e con un racconto a fare da pretesto dello stare insieme. L’attore evocò la caotica bellezza e la vitalità di una suburra per descrivere al meglio quel pubblico che seguiva l’evolvere del racconto pur addentando del cibo, bevendo e comunque sgranando gli occhi durante il susseguirsi delle scene. Scene che chiunque ricorda da che De Filippo scrisse quella grande opera dove mai autore, prima di lui, abbia saputo equilibrare commedia e dramma sfiorando la perfezione assoluta.

Cosa che è riuscita spesso, per la verità, a Eduardo De Filippo soprattutto quando scrisse a quattro mani, con Armando Curcio, “La fortuna con la effe maiuscola”. Carlo Giuffrè, nel corso delle stagioni teatrali che organizzava direttamente la Provincia di Crotone, al teatro crotonese prima di quel febbraio del 2000, c’era stato altre due volte per due stagioni consecutive nel 1997 e nel 1998 sempre con opere di Eduardo, quantomeno solo di quell’autore quando portò “Non ti pago”. Perché a aprile del 1997 debuttò proprio con “La fortuna con la effe maiuscola” insieme a suo fratello Aldo. La programmazione teatrale crotonese, partita inizialmente con soli debutti, visto l’enorme successo e le richieste di biglietti, già nella seconda parte delle prima stagione, nel 97 appunto, fu riprogrammata in sue serate a titolo, debutto e replica e talvolta neppure quelle doppie serate bastavano a soddisfare l’enorme richiesta di teatro che si andava registrando. Ma torniamo ad aprile del 1997: protagonisti principali i due fratelli, Carlo (regista della messinscena) e Aldo Giuffrè, rispettivamente Giovanni Ruoppolo e suo figlio adottivo Enricuccio; ma c’era pure Nuccia Fumo, rispettivamente moglie di Giovanni e matrigna di Enricuccio.

Stiamo dunque parlando del meglio della tradizione attoriale napoletana. Come detto: la perfezione del difficile equilibrio tra dramma e farsa, nel senso pieno aristotelico del concetto. Una semplice annotazione su quanto ci fece vedere Carlo Giuffrè quel lontano aprile del 1997: nella sala del teatro Apollo, nel silenzio tombale calato sotto il colpi della vicenda narrata, oltre la voce degli attori, poteva distinguersi nitidamente l’impercettibile rumore che emana un nodo in gola quando il bisogno di pianto si fa insopprimibile. C’era gente che piangeva, dopo essersi sbellicata dalle risate per tre quarti dello spettacolo. Questo un doveroso ricordo del passaggio di un grande attore in una città che ha perso la rotta come i cefali e non ci prova neppure a ritrovarla. Un minimo sindacale che si deve dedicare, anche da una remota periferia del mondo, quale è Crotone, a un grande attore come Carlo Giuffrè, che ci ha lasciati il giorno di Ognissanti del 2018.

 

Antonella Policastrese

Questo articolo è stato pubblicato qui

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