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 Home page > Tribuna Libera > Camusso: un pacato realismo. Esattamente quello che serve

Camusso: un pacato realismo. Esattamente quello che serve

"Forse l’Italia non si avvia ad essere un nordico paradiso delle relazioni industriali, ma sembra perlomeno avviarsi in quella direzione"

Susanna Camusso ha rilasciato a Repubblica un'intervista su cui val la pena fare qualche riflessione.

E’ giustissima, va subito detto, la richiesta che il Segretario della Cgil fa alle aziende pubbliche o partecipate dallo stato di accelerare i propri investimenti, tema centrale delle sue dichiarazioni. Nella situazione in cui siamo, ogni euro in più pompato nell’economia reale può essere determinante per conservare un posto di lavoro: se ci sono risorse già accantonate è questo il momento di tirarle fuori; se ci sono programmi di sviluppo, è questo il momento di avviarli.

Nessun appunto da muovere anche all' analisi che Camusso fa della congiuntura; in particolare di quella della grande industria legata alla produzione di beni durevoli. Esiste, a parte le crisi finanziaria, un problema mondiale di sovrapproduzione ed è inutile puntare in quella direzione: la nostra economia potrà ripartire solo se cresceranno le aziende, di dimensioni solitamente minori, che operano in settori nuovi o in quelli tradizionali, per cui continua ad esserci un mercato potenzialmente in espansione, del made in Italy di alta qualità.

Una realistica affermazione della “centralità” della nostra media e piccola imprenditoria, tutt’altro che scontata da parte di un rappresentate di uno dei grandi sindacati nazionali, che, assieme al tono pacato, privo di spunti inutilmente polemici dell’intervista, non può che far ben sperare chi tiene al futuro dell’Italia.

Un moderato ottimismo che nasce anche dal differente atteggiamento assunto negli ultimi mesi da Confindustria, i cui rappresentanti, dopo aver smesso di recitare il mantra della “riduzione del costo del lavoro”, paiono essersi resi conto che altre sono le strade da perseguire per rilanciare la nostra economia, e prima di tutto quella quasi esattamente contraria della restituzione di potere d’acquisto ai salari, senza la quale il nostro moribondo mercato interno non può risollevarsi. 

Lentamente, gradualmente, il nostro mondo produttivo sembra stia arrivando alla stessa conclusione cui sono arrivati da decenni in altri paesi europei, che si è tutti sulla stessa barca e che non si può pensare di fare i propri interessi senza fare, contemporaneamente, anche quelli degli altri.

Forse l’Italia non si avvia ad essere un nordico paradiso delle relazioni industriali, ma sembra perlomeno avviarsi in quella direzione e, fino ad ora, non trasformando in scontro l’inevitabile confronto tra le parti sociali, ha evitato di commettere quello che nella sua situazione sarebbe stato il più tragico degli errori.

Il calo del costo del nostro debito (toccando ferro) è certo merito del governo Monti e delle alchimie di Draghi, ma non bisogna sottovalutare il messaggio che siamo riusciti a mandare al mondo come comunità nazionale. Nonostante i soliti masanielli e gli inevitabili tifosi del tanto peggio tanto meglio, proprio grazie al senso di responsabilità dei sindacati, con grande delusione di tanti che non conoscono lo spirito italiano, la CNN o la BBC non hanno potuto trasmettere da Roma delle spettacolari immagini di assedi al Parlamento o di quotidiane battaglie tra folle di contestatori e coorti di poliziotti; l’Italia è sembrata, in questi ultimi mesi, esattamente quello che è: un grande paese, in serie difficoltà, ma con le risorse, prima di tutto civili e morali, per ripartire.

Gli italiani, soprattutto, hanno mostrato uno dei loro volti migliori: quello di un popolo capace di sacrificarsi e stringere i denti, se chi glielo chiede gliene fornisce una ragione, magari mugugnando, ma senza cedere all’isteria.

Un popolo a cui si può benissimo continuare a prestar denaro e un paese, se solo fosse un po’ meno complicato farlo (e questo è uno dei compiti che attendono la nostra politica) in cui si può pensare di tornare a lavorare.

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.236) 9 febbraio 2012 16:18

    Analisi condivisibile, eccetto sul punto sacrifici: chi li sta facendo NON sono né le BANCHE (che hanno provocato la crisi) né i politici (che nulla hanno fatto per contenerla o impedirla).

    E infatti le banche nonostante abbiano iniettato liquidità a basso costo grazie alla BCE, invece di prestarli a chi dovrebbero ci comprano BOT e BTP, lucrando alla grande sugli interessi...e indovinate chi li pagherà quegli interessi stratosferici??
    NON NE USCIREMO SE NON CON UN DEFAULT!! Argentina docet...
  • Di (---.---.---.207) 9 febbraio 2012 19:14

    la Camusso si stà assuefando troppo alle logiche liberaliste di cisl e uil...loro sì che fanno parte di un progetto che viene da molto lontano..Licio Gelli insegna!......Marchionne realizza!, i sindacati anestetizzati e complici dei padroni abbassano la testa..altro che equità, alto che posto fisso o art. 18, altro che spread.

    La crisi (mondiale) è tutta una messa in scena per far abbassare la testa al popolo (mondiale), un popolo che attraverso la "rete" comincia a conoscere ma allo stesso tempo comincia ad essere sempre più un personaggio pirandelliano...uno nessuno e centomila. 

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