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Camorra Cosa nostra

Negli anni Ottanta Riina affiliò alla mafia siciliana alcuni clan della camorra, affrontò i Casalesi già allora emergenti e trasferì l’antica usanza della lupara bianca in Campania. Oggi i suoi affiliati risalgono la gerarchia della criminalità organizzata locale grazie al business "monnezza"

Il passato a volte ritorna a condizionare il presente. Questo vale anche per le relazioni fra le "grandi famiglie" delle mafie italiane, da Cosa nostra alla ’ndrangheta e alla camorra. È sugli investimenti, sulla suddivisione strategica della ripartizione finanziaria, che si creano le alleanze. Non è una strategia di questi ultimi anni, ma è profondamente radicata nella storia della criminalità organizzata italiana. Ma si va ben oltre, a volte, dalle semplici alleanze: si colonizzano letteralmente territori di altre mafie assorbendo e affiliando, in maniera organica, intere famiglie. Questo tipo di affiliazione identitaria - ottenuta grazie a carisma e capacità di attrazione - è stata prerogativa della mafia siciliana, di Cosa nostra.

Per capire quanto sia profondo questo aspetto "carismatico" dei sodalizi mafiosi siciliani e dell’influenza che questi hanno avuto negli anni e probabilmente continuano ad avere, si può risalire anche a vicende di più di vent’anni fa. Al 1984, quando le famiglie emergenti e pronte a conquistare il predominio in Campania, ovvero i Casalesi - che facevano capo alla famiglia Bardellino - e il clan Alfieri decisero di mettersi in affari con i "fujiuti" siciliani che stavano perdendo la guerra di mafia contro i Corleonesi, contrapponendosi in armi sul territorio campano alle famiglie Nuvoletta, Gionta e Lubrano. Si tratta di un momento particolare, con un processo di riorganizzazione profondo della criminalità organizzata campana dopo la sconfitta della "Nuova camorra organizzata" di Raffaele Cutolo. Sono gli anni del boom dell’eroina in Italia, e Cosa nostra ha la necessità di avere salde alleanze in Campania. Inoltre stanno arrivando i soldi della ricostruzione per il terremoto dell’Ottanta e non si può abbandonare un business di quelle dimensioni.

Nell’estate del 1981 presso la masseria della famiglia camorrista dei Nuvoletta, presente per Cosa nostra Totò Riina, i boss si riuniscono per cercare di porre fine alla mattanza avviata da Cutolo. Singolare che a gestire una crisi del genere ci sia proprio Riina, che da due anni e mezzo ha aperto una guerra di dimensioni ancora più devastanti in Sicilia. Un accordo a quanto pare viene raggiunto, Cosa nostra inizia ad affiliare alcune famiglie, e si decide comunemente di liquidare gli emergenti provenienti dal casertano: i Casalesi che intanto si stavano alleando con i nemici di Riina in Sicilia. Ci vorrà tempo, ma l’operazione studiata dai Corleonesi e dai Nuovoletta alla fine va in porto.
Il 19 settembre dell’84 a Poggio Vallesana, presso una masseria dei Nuvoletta, si tiene una riunione alla quale vengono invitati i camorristi Vasterella (che avevano rapporti con Antonio Bardellino, dei Casalesi e vicino ai siciliani Badalamenti, Bontate e Inzerillo) con l’obiettivo di un’affiliazione a Cosa nostra. Ma si tratta di una trappola. Vittorio e Luigi Vastarella, Gennaro Salvi, Gaetano Di Costanzo e Antonio Mauriello vennero strangolati da Angelo Nuvoletta e da Giovanni Brusca e un altro sicario dei Corleonesi. I cadaveri delle vittime furono poi disciolti nell’acido. Mandante, a quanto ipotizzato nel 2007 il pm Paolo Itri, Totò Riina. Per la strage è indagato anche un altro pezzo da "grosso" della mafia, Antonino Madonia.


«L’eccidio di Poggio Vallesana - si legge in una nota della procura -, per come è stato accertato attraverso la ricostruzione operata in precedenti sentenze, anche grazie al contributo dichiarativo di molteplici collaboratori di giustizia, maturò nell’ambito della "guerra di mafie" che vide, nella prima metà degli anni Ottanta, aprirsi allo stesso interno della coalizione Nuova famiglia, appena uscita vincente dal cruento scontro con la Nuova camorra organizzata di Raffaele Cutulo». Questo fronte vedeva contrapposti, appunto, il cartello casertano dei Bardellino e la rete di alleanze nel napoletano degli Alfieri, fedeli alleati delle famiglie palermitane dei Bontade, Badalamenti e Inzerillo.

Risultato dell’operazione è il ridimensionamento dell’espansionismo dei Casalesi e la formazione di almeno tre clan nel napoletano che sono a tutti gli effetti parte di Cosa nostra, con tanto di riti (la "punciuta") e giuramenti. Giovanni Falcone descriveva, pochi giorni prima dell’attentato di Capaci, questa operazione avviata da Riina in prima persona come la dimostrazione che Cosa nostra fondi la sua forza su «compattezza ed autonomia che può dialogare e stringere accordi con chicchessia mai però in posizioni di subalternità». Una di queste famiglie campane, quella Gionta, diventate a tutti gli effetti parte della mafia corleonese, è stata smembrata da arresti e pentimenti, ma un altro clan, quello dei Nuvoletta di Marano, senza la chiassosità degli emergenti Casalesi e senza dedicarsi allo spaccio minuto, soggetto a guerre territoriali, diventa a tutti gli effetti un pezzo di Cosa nostra sul continente, ne assume comportamenti e modalità, si specializza in un settore illegale (quello dei traffici di cocaina) e reinveste i proventi in attività apparentemente legali. Già nei primi anni Novanta possiedono un piccolo e solido impero: aziende di calcestruzzo, imprese di pulizia, alberghi, edilizia, forniture di enti pubblici, finanziamenti della Cee per produzione agricola, allevamenti ippici. Questo il quadro economico, ricostruito dagli inquirenti, del clan Nuvoletta, con un giro da 1.200 miliardi delle vecchie lire di fatturato. Affari, e non solo a Marano. Dichiarava Tommaso Buscetta: «In Campania vi sono tre famiglie mafiose, guidate da Michele Zaza, Antonio Bardellino e dai fratelli Nuvoletta. Ma i campani sono rappresentati nella commissione, la cupola mafiosa, dal più anziano dei fratelli Nuvoletta, cioè da Lorenzo». Ma a rendere ancora più solida l’alleanza fra Marano e Corleone, sono una parentela (con la famiglia di Cosa nostra Sciorio) e un’amicizia che risale a quasi quarant’anni fa, come documentato dai carabinieri che intercettarono numerose telefonate fra Lorenzo Nuvoletta e Luciano Liggio. E dopo l’arresto del capofamiglia, Lorenzo, il clan oggi sembra essere pronto a riconquistarsi l’antico ruolo di collegamento con la Sicilia.

La città dormitorio alle porte di Napoli, Marano, è il feudo dei Nuvoletta. è una città densamente popolata, le case sono ammassate senza rispetto delle leggi. Palazzoni, frutto della speculazione edilizia iniziata alla fine degli anni Settanta e proseguita ininterrottamente fino alla metà degli anni Novanta. E accanto maestose ville con tanto di piscine, campi da tennis, muri di cinta e videosorveglianza. E dopo la stretta dello Stato sui Casalesi dell’ultimo anno, che ha costretto il ferocissimo clan di Casal di Principe a territorializzare il proprio business (la "munnezza") e cedere fette del traffico internazionale di scorie industriali, i Nuvoletta sarebbero riapparsi come d’incanto a gestire prima l’affare "piccolo" dei rifiuti solidi e speciali del territorio per poi passare all’affare grosso, quello internazionale. Business sul quale sia "Binnu" Provenzano, prima dell’arresto, che il latitante trapanese Matteo Messina Denaro (come emerso dai pizzini ritrovati nel covo di Montagna dei cavalli) avevano già concentrato l’attenzione. Affare che oggi, con i Casalesi sulla difensiva, ritorna disponibile senza neanche dover tirare fuori le armi per conquistarlo. ■

LEFT NUMERO 50/2008

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