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Cambia la condizione e la cultura giovanile, i dilemmi della scuola che si interroga

Un approccio all’indagine sociologica sugli universi giovanili (dai rapporti Iard alle letterature di genere fino alle ricerche socio-antropologiche) può rivelarsi utile a stabilire una relazione feconda tra docenti e discenti, ovvero tra diverse generazioni portatrici di autonomi universi subculturali. La dialettica sempre più veloce e multidirezionale tra le agenzie formative – famiglia, scuola, mass e personal media – ha modificato, nella percezione comune, anche la concezione stessa del termine “generazione” non più utilizzato per definire i padri e i figli ma l’alternarsi di codici, stili di vita e modelli di consumo che vengono prodotti autonomamente o indotti dall’industria culturale.

Dei quattro pilastri dell’educazione, suggeriti dal celebre Rapporto Delors dell’89, (“imparare a conoscere, imparare a fare, imparare a vivere insieme, imparare ad essere”) gli ultimi due pilastri, prima dell’autonomia scolastica, erano posti in secondo piano, se non proprio rimossi, così da rendere immutato il gap tra scuola e società, discenti e docenti che continuano spesso a leggere gli universi giovanili in base a stereotipi collettivi o alle esperienze personali.

La condizione giovanile, nell’arco di mezzo secolo, è notevolmente modificata dai processi di produzione e di frammentazione sociale: i giovani non sono più adulti in miniatura, né si percepiscono come una generazione complessiva. Significativo e al tempo stesso sempre più difficile osservare la mutazione delle categorie interpretative degli universi giovanili a partire dagli anni ’70 (subcultura, marginalità, crisi delle agenzie di socializzazione, perdita di rilevanza del passato e del futuro, individualismo, attenzione al corpo, aprogettualità, disponibilità per le mobilitazioni più che per i movimenti e le associazioni) fino a definizioni in auge come quella di giovani senza maestri, Generazione X (identificata dalla mancanza di ottimismo nel futuro, dallo scetticismo, dalla sfiducia nei valori tradizionali e nelle istituzioni). Da alcuni anni, per marcare le nuove generazioni cresciute all’interno dei nuovi processi innescati dalla rete e dalla multimedialità si parla di “iGeneration”. Peraltro, i flussi migratori determinano una categorizzazione anche etnicamente o religiosamente determinata. Le tassonomie si intrecciano e si rivelano fluide ma sembrano sedimentate alcune costanti come l’individualismo, la propensione al consumo, la debole relazione con la politica e con gli universi valoriali delle grandi narrazioni, la costruzione di identità fittizie (come accade tra gli ultras curve degli stadi).

Dai rapporti Iard emerge con chiarezza il calo della fiducia nei confronti degli insegnanti e la difficoltà di comunicazione dei docenti con gli alunni. Bullismo, droga, violenze sessuali, volgarità sembrano alludere a una sorta di “crisi del super-io”. Nel corpo docente, tutto ciò induce risentimento e frustrazione, in parte, o il rifugio dietro la neutralità del ruolo, in altri casi, e solo in parte quell’alleanza cordiale sebbene talvolta conflittuale, finalizzata alla formazione dei cittadini del futuro prossimo.

Ma come favorire nei giovani l'acquisizione di capacità autonome, assecondando e favorendo il loro impegno culturale e civile, nel quadro delle finalità formative della scuola? Le iniziative complementari e le attività integrative, previste da una serie di circolari negli ultimi anni, nonché gli strumenti dell’autonomia scolastica, consentono di accorciare la dissonanza di linguaggi e codici elaborati dalle culture “a vita breve” delle giovani generazioni e l’intreccio, didatticamente fecondo, tra i programmi ministeriali e le produzioni dell’industria culturale (cinema, musica, fumetti, letterature, mass media).

Compito del docente è adottare e rielaborare un linguaggio professionale che vada al di là dei saperi disciplinari specifici, che faciliti la mediazione educativa con i giovani, cercando di non respingere acriticamente le culture degli universi giovanili. Non basta far lezione e interrogare, ma è necessario stimolare la curiosità conoscitiva e il desiderio di lavorare insieme - in classe anche attraverso il lavoro di gruppo, e nella scuola partecipando ad attività varie di tipo culturale, ricreativo, sportivo.

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